Pisa crociate
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Non un Mediterraneo qualsiasi da raccontare, ma un mare “speciale” raccontato nei suoi porti, dagli accenti tanto diversi quanto simili tra loro. Luoghi d’incontro e d’addio che, in epoche diverse, sono stati testimoni dell’avventura umana su quelli che, ancora nelle cronache ottocentesche, si chiamavano “legni”, fragili e coraggiose imbarcazioni alle prese con le acque d’un mare spesso temuto.

Di recente la letteratura sui porti s’è piuttosto accresciuta ma è d’obbligo un distinguo. Occorre sgomberare il campo dai vaniloqui di certi scrittori della domenica, clandestini della storia, alla deriva tra miraggi di immeritate fortune editoriali e travisamenti pacchiani, con osceni bestsellers oltre i confini del ridicolo. Va detto che ultimamente è il turno degli Shardana, omerici popoli del mare, inflazionati e perseguitati da “inciampi” per troppi versi analoghi a quel “folklore nuragico” in passato lamentato da un inascoltato G. Lilliu. La Storia però, compresa quella dei porti, è ben altra cosa…

Da sempre i porti hanno mostrato i due volti dell’umanità. Antico punto di incontro tra genti straniere, luogo di scambio di idee, di tecniche e di prodotti della cultura materiale, ora indigena, ora orientalizzante, ora ellenizzante, globale in una certa misura. Porti luogo di scontro, di minacce piratesche, perfino d’assedio contro flotte nemiche a volte smisurate, basti ricordare l’enfasi del “catalogo delle navi” nell’Iliade.

Da semplici approdi per i naviganti stranieri, come nel caso delle prime fasi fenicie in Occidente, i fondaci più favorevoli si trasformano presto in veri e propri porti organizzati, sotto l’egida delle divinità garanti dei marinai. Così i primi elementi caratterizzanti divengono gli spazi sacri, accanto ai quali gravitano le prime comunità destinate poi a divenire insediamenti portuali. Ed è relativamente recente la smentita interpretazione del “cothon” di Mozia, in Sicilia, un singolare bacino chiuso di tradizione fenicia che si riteneva essere un porto, ma che ora rivela sempre più i connotati di un luogo di culto esso stesso. E’ intorno al 1200 a.C. che dal Vicino Oriente inizia l’avventura dei Fenici: la potente città di Tiro arma solide navi e salpa dai suoi porti facendo vela verso l’Occidente mediterraneo. Lungo le sue rotte fonda numerose colonie tra le quali Cartagine, Tharros e, probabilmente, Karales. Gli esploratori tirii cercano terre produttive, ospitali e ricche di materie prime, che riconoscono grazie al loro talento di abili pionieri e ad una spiccata vocazione mercantile.

Roma descriverà la valorosa rivale Cartagine come una “nave all’ancora”, perché così appariva la città di Didone, potenza mercantile e militare da cui salpavano vere e proprie flotte che, prima coi Greci e poi con i Romani, si spartivano i tesori del Mediterraneo. Cartagine era dotata di un formidabile porto militare, il cosiddetto “porto rotondo”, un bacino al cui centro era situato un isolotto attrezzato con cantieri per l’alaggio delle navi da guerra. Accanto, comunicante per mezzo di un breve canale, vi era un altro grande bacino, di forma rettangolare, adibito a scalo commerciale e presso cui si concentrava l’intenso traffico mercantile. Roma, d’altro canto disponeva di un porto eccezionale già in età repubblicana. Lo testimoniano le ben conservate rovine di Ostia antica, fondata tra il V e il IV sec. a.C., e ad oggi estese quanto il sito di Pompei. Rovine straordinariamente leggibili poiché esenti da fenomeni di sovrapposizione urbana da parte degli abitati moderni.

L’insediamento, prettamente militare al principio, ubicato a ridosso della foce del Tevere, denuncia l’intento di conseguire molteplici obiettivi: proteggere l’area dalle non infrequenti incursioni di Greci e Siracusani; sfruttare il percorso fluviale quale via di comunicazione preferenziale con Roma; avviare un forte sviluppo della marineria romana sempre più proiettata verso il dominio sul mare. E’ dagli scavi archeologici di Ostia che è emersa, tra l’abbondanza di magazzini e strutture portuali, anche una testimonianza di altre due antiche città marittime, Karales (Cagliari) e Thurris Libisonis (Porto Torres). Ad Ostia antica, che ha il tipico volto di un insediamento portuale, ma che non è priva di architetture raffinate indice di benessere, nel cosiddetto “piazzale delle Corporazioni”, è oggi possibile ammirare numerosi mosaici a tessere bianche e nere. Tra le rappresentazioni di queste corporazioni spiccano i mosaici dei “Naviculari et Negotiantes Karalitani” e dei “Naviculari Turritani” testimonianze eloquenti dell’efficiente organizzazione degli scali sardi e del ruolo attivo e primario svolto da essi nel sistema navale e portuale tra Roma e la Sardegna. Accade però, talvolta, che eventi naturali modifichino l’ambiente e provochino la scomparsa dei porti, come è avvenuto ad esempio a Nora in ragione di un bradisismo, o a Tharros dove gli archeologi hanno rivelato solo di recente il ritrovamento di strutture portuali, o in Egitto ad Alessandria, come è emerso da tempo grazie alle campagne di scavi archeologici subacquei.

Per la Sardegna antica, di cui non si devono trascurare le straordinarie navicelle della bronzistica nuragica, l’individuazione di strutture portuali remote resta incerta e problematica. Ciononostante, una corretta e prudente lettura del territorio e dei suoi ritmi insediativi litoranei, unitamente allo studio dei reperti recuperati, consentono di ricostruire un quadro generale parziale ma sufficientemente attendibile della marineria sarda antica. La cui cantieristica, verosimilmente, potè in seguito avvantaggiarsi e migliorare la propria qualità anche grazie all’apporto delle collaudate competenze di maestri d’ascia levantini.
Insomma i porti del Mediterraneo, anche nell’antichità, erano luoghi vissuti intensamente, trafficati e pieni di fermento, capolinea tra le rive di paesi lontani e in contatto tra loro, concretamente non meno che idealmente, proprio grazie ad attrezzati sistemi portuali, pronti ad offrire la giusta ospitalità ed accoglienza all’amico marinaio e a chiunque si trovasse in difficoltà o a riservare un altro genere di attenzioni, all’occorrenza, al nemico all’orizzonte.

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