Paolo Fresu
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Articolo di Milena Fadda

Il concetto di ospitalità assume i connotati del mondo, con i suoi volti e i suoi luoghi variegati: in senso lato assume significati diversi, a volte quello della commistione di generi, di sonorità, di incontro di anime, di popoli.

Abbiamo incontrato Paolo Fresu, jazzista noto in tutto il mondo, con Omar Sosa, pianista e compositore cubano, è protagonista di un tour tutto italiano, con tappe a Milano, Oristano, Bari e Pavia. Fresu, cinquantuno anni portati da ragazzo, incarna in qualche modo l’archetipo dell’ospitalità: dai Cinquanta concerti sardi, organizzati gratuitamente per il cinquantesimo compleanno dell’artista, tour che lo ha impegnato per un anno intero, nell’isola che gli ha dato i natali, all’ospitalità artistica nel racconto sonoro per diverse opere cinematografiche, basti pensare al film Ilaria Alpi, il più Crudele dei Giorni, con la regia di Ferdinando Vicentini Orgnani, sempre per la regia di Orgnani la collaborazione al film Vino Dentro che dovrebbe essere girato quest’anno, fino a L’Isola, di Costanza Quatriglio, con una colonna sonora a cura di Fresu insignita del premio Nastri d’Argento, in cui la contaminazione di sonorità, è il fulcro della scrittura musicale.

Nella serata oristanese, anticipazione del Dromosfestival, giunto alla XIV edizione, che quest’anno reca il titolo Santa Hispanidad, e ospita artisti provenienti da tutto il mondo; Fresu ci riceve nel suo camerino, l’accoglienza che ci riserva è di un’affabilità fuori dal comune.

Come vive, e vede, Paolo Fresu, musicista aperto alle più svariate contaminazioni culturali, il panorama della musica Mediterranea?

Mah, bene, direi, nel senso che anche il progetto di stasera è il progetto che racconta meglio questo fattore: a me piace contaminare la musica con tutto quello che c’è; il Mediterraneo, poi, è un bacino ricchissimo: avverto molto l’esigenza di lavorare con musicisti del Mediterraneo: è vero che se ne parla spesso, ma in definitiva non sempre uno scambio è fattibile… si tratta comunque un territorio che mi appassiona moltissimo.
Quali sono i generi musicali, che più si adattano a questo tipo di sperimentazione?
Credo le musiche del mondo. Non parlerei di “generi”, è un fatto soprattutto di suoni, ad esempio, parlando di musica etnica ho lavorato con musicisti del Marocco: i Gnawa, oppure con musicisti algerini, della Tunisia, adesso a Beiruth, in Libano, con musicisti libanesi, ho fatto delle cose con musicisti della Sicilia, della Spagna, coi greci, diciamo che sono interessato a tutto ciò che lambisce il Mediterraneo, quindi non parlerei piuttosto di stili, ma di geografie, nel Marocco, ad esempio, ci sono una miriade di mondi musicali, quello che appassiona di più non è tanto lo stile, ma soprattutto le sonorità, quindi, quando ci si incontra così, a metà strada, ognuno porta quelle che conosce: lo stile che si crea è un edificio nuovo, cui si contribuisce alla creazione.

Per quanto riguarda i luoghi della musica: Qual’è il posto migliore, per struttura e acustica in cui ha suonato?

I parametri sono diversi, perché alcuni luoghi possono essere belli come acustica: spesso si tratta di teatri, ad esempio il Teatro del Palladio di Vicenza, con un’acustica bellissima, il teatro greco di Taormina… Ma ce ne sono tantissimi, in genere tutti i teatri antichi, che sia Vienna, che sia il teatro di Cagliari, o di Nora, di Catania, tutti quei luoghi che rappresentano la storia, l’antichità; e poi ci sono luoghi anche moderni, che hanno un’acustica veramente buona; ma credo che per essere ricordati, i luoghi, debbano avere anche qualcos’altro. Essere portatori di un’atmosfera, un ricordo, legato alla memoria. Devo dire che nei Cinquanta Giorni Sardi, dello scorso anno, alcuni teatri erano improbabili, però hanno lasciato un segno profondo: quindi, al di là del fatto profondamente acustico, c’è anche una ragione ”alta”, data dalla magia del luogo, dalla sacralità dello stesso, dal pubblico…. Toscanini diceva che all’aperto si gioca a bocce, e per certi versi aveva ragione: spesso suonare all’aperto significa trovare dei luoghi adatti. Ho suonato sulle Dolomiti a 3000 metri d’altezza alle cinque del mattino, il ricordo che ne ho è bellissimo e magico, perché il luogo era davvero particolare, però, in quell’occasione, in compagnia di Marco Paolini, lui giustamente disse “l’impressione che deve aver avuto Fresu, suonando a quell’ora il flicorno, è baciare una grondaia”, per l’umidità e il freddo. Diciamo che il ricordo dei luoghi va di pari passo con una serie di parametri, non solo legati al fatto acustico, ma anche legati alle atmosfere: fare musica è difficilissimo, perché ciò che decreta il successo di un concerto è l’amalgama di diversi ingredienti: inclusi quelli che ti fanno sentire a casa: sarebbe ingiusto definire un luogo, perchè la storia della musica ne è costellata; poi ci son luoghi storicamente prestigiosi, come la Carnegie Hall, ad esempio, o la Salle Pleyel di Parigi, in cui hanno registrato musicisti classici, o Miles Davis; la cosa fondamentale è che i luoghi abbiano un’anima.

La Banda Comunale di Berchidda, nata nel 1913, si può definire l’unica realtà musicale istituzionale in Gallura; in che modo l’ha avvantaggiata tutto ciò?

Se non ci fosse stata la banda io non sarei diventato un musicista. Devo alla banda moltissimo, è stata preziosissima, come esperienza di vita, come luogo di apprendimento, in cui ho imparato a solfeggiare, ho imparato lo strumento. Naturalmente con tutti i difetti e limiti, che una banda può avere. È stata fondamentale, e tutt’ora ci suono, quando sono a Berchidda: rappresenta un po’ l’aspetto collettivo di un paese, ci sono ragazzi molto giovani, che vi partecipano, stiamo ultimando la produzione di un documentario, il cui girato si è protratto per tutto il 2011, e che racconta la quotidianità del musicista, con quello che implica: ci sarà uno dei ragazzi appena entrati in banda, che ha undici anni, e interpreterà me, all’epoca dell’ingresso nella banda. In definitiva, la banda mi ha solamente dato, perché per quanto io poi sia andato al conservatorio, il mio insegnante diceva “ah, cos’è questo bocchino, che usi!….chi ti ha insegnato a suonare così”, dato che il maestro della banda insegnava la tromba, il clarinetto, il trombone, il basso-tuba, la grancassa, con tutti i limiti che può avere un maestro di banda… Per me rimane una scuola straordinaria, musicalissima, ho imparato veramente molto, lì, evviva le bande.

Quali sono i suoi progetti futuri?

Intanto stiamo portando avanti questo tour, che è molto bello, con Omar Sosa, partito il tre marzo, che si chiude fra tre giorni, domani suoniamo a Bari, veniamo da Milano, Venezia, Bologna, Parigi, (anche la puntata di Caterpillar), il tour è iniziato il 3 di Marzo, si chiama Alma, il disco che prende lo stesso nome del brano è uscito da poco, dopodiché io partirò in Norvegia, per un’altra tournée di cinque giorni, con un altro gruppo che si chiama Sub-Trio e un quartetto d’archi, poi un altro tour in Italia, prima con i Virtuosi Italiani (musica da camera), con i quali suoniamo un repertorio che si chiama Back to Bach, è un progetto di musica barocca, con compositori che scrivono ispirandosi al barocco, per arrivare a Tartini, Bach, etc ..

Sarò poi col quintetto italiano, con la mia formazione storica in India, in Thailandia, in alcuni paesi da quelle parti, suonerò col quartetto Devil, dove avremo anche Bebo Ferra alla chitarra, abbiamo anche un disco in uscita, con quel gruppo, in programma per l’anno prossimo per la mia etichetta. Con molta probabilità farò anche un disco in duo, con Daniele di Bonaventura, che suona il bandonéon, abbiamo fatto anche un disco con l’EPM, con musicisti della Corsica, e poi, mille altri progetti, in realtà, perché in estate sarò in tour con Ludovico Einaudi.

Poi arrivo a Berchidda. Insomma, un anno particolarmente ricco, a dispetto della crisi; anche perché l’anno scorso, avendo fatto i 50 Concerti Sardi, non ho avuto modo di frequentare altri palcoscenici o festival estivi, non sono stato in grossi festival europei: quest’anno avevo un debito, verso molti festival, e sarò un po’ in giro per l’Europa. Lo spettacolo di Fresu, a Oristano, vede un teatro gremito. Fotografi, donne, bambini si ammassano sulle uscite, alcuni siedono per terra, pur di sentirlo suonare. È commovente, come in sala il silenzio faccia da cornice agli a solo di tromba, al flicorno di Fresu, e al piano di Omar Sosa.

Nel pezzo Alma (Anima), tratto dall’ omonimo disco, Fresu e Sosa danno il meglio, con sonorità che vanno dal jazz classico alla commistione etnica. La serata è permeata dal connubio tra musicalità tradizionale e elettronica. In cui è determinante il contributo culturale delle isole del jazz: Cuba e la Sardegna. Il risultato è efficace e delicato. Il concerto termina con il dovuto omaggio a uno dei più grandi interpreti e autori della musica italiana: sulle note di Caruso, del compianto Lucio Dalla, l’accoglienza è appassionata, i minuti di applausi si susseguono. Fresu e Sosa lasciano la sala alla fine di una serata in cui il pubblico si è sentito parte di un tutto: culturale, storico, musicale.

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