Share

di Valeria Gentile

San Giovanni
San Giovanni

C’è un luogo, nella Sardegna dei vip, che resta genuino e fresco, poco contaminato, generoso di natura e sole, libero. Qui – nella Baronia tra Budoni e il Golfo di Orosei – la torre della Fava e il faro di Capo Comino imperano sulle notti silenziose di questo lato di Mediterraneo. Poi sul mare, appena sotto il Monte Longu, oltre lo stagno dei fenicotteri rosa e le pinete di Su Triarzu, si apre San Giovanni. È un minuscolo centro abitato, frazione dell’antico borgo di Posada; vi risiedono circa duecento abitanti e racchiude in sé tutto il possibile necessario al vero riposo del corpo e dello spirito.

Questa è la terra dei venti. Della voce del mare che si lamenta e si tormenta e poi canta, si riposa, e torna a cantare. Un mare chiaro, pulito e cristallino, dimora di una grandezza animale e vegetale senza eguali: dalle meduse di minacciosa trasparenza a granchi e ricci succulenti. E poi bacche di mirto, launeddas, cestini, porticine ancestrali. Si dice che questa zona sia stata una delle prime tappe sarde della civiltà degli Shardana, il popolo del mare. E come nel IV millennio a.C, quando la Sardegna era la più potente isola del Mediterraneo, i gabbiani continuano indisturbati a godersi i tramonti viola e arancio; e le donne anziane, con le loro gonnellone nere di vedovanza, spettegolano all’ombra dei pini profumati.

Ci fu un tempo in cui San Giovanni era il centro nevralgico delle estati baroniesi, con le sue passeggiate a fiumane lungo il viale Sardegna, i suoi concerti, le sue sagre, i balli nei suoi locali in spiaggia. Durante gli anni Settanta un’attrazione particolare cominciò ad andare in voga tra i giovani del circondario – diciassettenni dai pantaloni a zampa e polo o camicette, quando le canottiere si usavano solo come intimo. Era lo stabilimento balneare della Polizia di Stato, a una trentina di metri dal bagnasciuga, con serate danzanti aperte a tutti. Balli scatenati da LP, compilation disco ’70, i top dell’hit parade, nuovi amori che fiorivano a bordo pista. All’interno, il bancone del bar era affollato come un alveare colmo di miele, con cocktail da due lire; fuori, sotto i pini e il cielo stellato, enormi tende militari accoglievano le famiglie dei poliziotti in licenza, da tutta la Sardegna e da oltremare. Poco più avanti, prima della foce del Rio Posada, anche la trattoria La Tartaruga aveva la balera, e i balli di gruppo eccitavano l’estate di salti e colpi di bacino.

Dopo cena, tra le famiglie della zona, era tutto un prepararsi, un imbellettarsi, un “Andiamo alla Piesse!”, “Andiamo alla Tartaruga!”. Poi, dal decennio successivo, il nulla. Divieto di campeggio, divieto di musica, “Piesse” abbandonata, balera della Tartaruga smantellata. Case sfitte. Ora i servizi e gli alloggi dello stabilimento sono carcasse e scheletri di una gioia finita, edifici decadenti tra ciuffi d’erba incolta alta due metri. Una serie di eventi avversi ha dato il via alla disfatta di San Giovanni, ora ospizio per coppie anziane e località di noioso raccoglimento. Quest’anno, con la crisi mondiale che ha colpito anche l’Italia – solo come ultima discesa di un calo costante – le attività legate al turismo risentono di perdite pesanti.

“Non è che loro non vogliano spendere” mi dice Silvano, il ragazzo che gestisce l’edicola di famiglia appena dietro la foce, “è che non possono. Vengono soprattutto da Lombardia e Toscana, i francesi sono in aumento. Ma si buttano più che altro sugli articoli da mare: punto più su un materassino o un boccaglio che su una rivista”. Non mi guarda negli occhi mentre mi parla e ha sempre un fare preoccupato. “Non è che non vogliano. Ma devono dosare le finanze, devono porsi dei limiti. Prima la classe media faceva il discorso quando sono in vacanza non bado a spese, ma oggi è diverso: se vanno al ristorante un giorno, poi devono tirare la cinghia per una settimana”.
.
La trattoria La Tartaruga è gestita dalla stessa famiglia dagli anni Sessanta e se lo passano di generazione in generazione. Quest’anno conta undici dipendenti in tutto e lo chef prepara le migliori cozze alla marinara dell’isola, per non parlare degli spaghetti vongole veraci e bottarga o il trancio di spada. Ma quest’anno conta anche mille coperti in meno rispetto all’anno scorso e persino i tedeschi ordinano un caffé da dividersi in due, lo stesso per la pizza. “Si comprano la spesa al discount e campano a scatolette di tonno” scherza Giovanni, il proprietario. Al negozietto di alimentari all’angolo, la signora Giuseppina sospira: “vengono a comprare al massimo pane fresco e salumi, se ne stanno in spiaggia anche all’ora di pranzo perché non hanno soldi da spendere”.

Sullo sfondo, la rassegnazione generalizzata di un’isola dalle mille risorse ma dall’organizzazione quantomeno contraddittoria. Perché lo stabilimento balneare della Polizia è stato chiuso e mai sostituito con altre attività ricreative? Una delle tante domande che restano sospese nell’aria, sospinte sulle onde dal vento di maestrale. E mentre la classe media risente della crisi soprattutto quando è l’ora della vacanza, i ricchi sono sempre più ricchi. Resort, ville di lusso e cinque stelle fanno il pienone. Yacht ovunque. La Sardegna, con la sua veste di divina follia, continua ad essere solo per pochi.

Colonna sonora consigliata: Cordas et Cannas – Terra De ‘Entos

Leave a comment.