Come un uomo sulla terra
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Bologna (ITALIA)

La cosiddetta riabilitazione internazionale del regime libico del colonnello Gheddafi, acerrimo nemico del blocco occidentale e fiancheggiatore quando non esecutore di attentati terroristici prima, poi passato ad una graduale ricollocazione all’interno di quella nutrita schiera di “eterni leader” attivi e per questo premiati nella difesa dei propri confini rispetto ai vasti movimenti “fondamentalisti”, nasconde un duplice tornaconto votato al rinnovato interesse economico di portata esterna da un lato e di portata umana dall’altro.
Ma se per il primo settore l’interesse dei mass media è elevato e viene costantemente inserito nelle pagine principali, per il “secondo” sembra proprio non esserci spazio. Quanto volutamente, non è dato saperlo. O forse, basta informarsi un po’ più della spessa linea della normalità per rendersi conto che alla Libia, così come ad altri Paesi rivieraschi sud mediterranei è stato affidato quel compito repressivo in materia di contrasto all’immigrazione che l’Europa non vuole più avere.
“Come un uomo sulla terra”, film documentario di Dagmawi Yimer, Andrea Segre e Riccardo Biadene rappresenta quindi quel tentativo (ben riuscito) di fare luce sugli ultimi episodi scaturiti dagli accordi recentemente stipulati tra il governo italiano e quello libico con il concorso e il tacito consenso dell’Unione Europea sulla pelle dei tanti migranti d’Africa (qui in particolare provenienti dall’Etiopia, in fuga dalla coscrizione obbligatoria e dall’assenza di libertà giudiziaria) che cercano di bruciare le frontiere per giungere nel Vecchio continente.
Ma questo documentario dice molto di più; parla delle disumane condizioni in cui sono rinchiuse queste persone nei “Centri di permanenza” libici (finanziati dall’Italia proprio su quel suolo già reticolato in epoca coloniale) e del voluto immobilismo europeo, narra della corruzione della polizia e del suo “rapporto” con gli intermediari di questo nuovo commercio degli schiavi, parla di quei cittadini africani che, pur rimanendo in territorio libico e non avendo alcuna intenzione di partire, devono nascondersi perché divenuti “candidati ad emigrare”.
E sullo sfondo la paura e la difficoltà a raccontare delle sevizie e delle torture subite a Kufrah piuttosto che a Ajadabyah, a Misratah o a Tripoli e degli infiniti viaggi di deportazione nel deserto chiusi in gabbia nei container, reso possibile, come ricordato dallo stesso Biadene presente in sala, grazie ad un lungo lavoro di interviste e testimonianze svolto all’interno della scuola di italiano gestita a Roma da Asintas Onlus. Il coraggio di queste persone va ripagato partecipando alla visione del documentario che invita ad un ragionamento nettamente critico su questi accordi e più in particolare sulla rivisitazione del ruolo delegante assunto dall’Europa nei confronti di questi regimi.
Per informazioni sul documentario e sulle prossime proiezioni:
http://comeunuomosullaterra.blogspot.com

 

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