In questo numero si parla di censura, se ne parliamo siamo ancora liberi di farlo, e speriamo rimanga un piacere che si possa ripetere per sempre!
La censura riguarda un’infinità di sfere della nostra vita. Si censurano i programmi violenti o a contenuto sessuale per i bambini (ma lo si fa veramente?). Si censurano le verità troppo tristi ai malati terminali (ma è giusto?). Si censurano le singole parole contenute nella sceneggiatura di un film, o nei testi delle canzoni a seconda della sensibilità e del famoso “senso comune vigente” (la censura dovrebbe risparmiarci l’offesa per la pubblica decenza). Insomma la censura è sempre funzionale ad uno scopo preciso: serve a difendere qualcosa o qualcuno. In certi casi si agisce bene, in altri si nasconde la semplice e legittima realtà.
La censura non è sempre l’opposto della libertà, come qualcuno cerca di far credere in questi giorni, e la libertà non è fare quello che si vuole, compreso censurare le notizie scomode. La libertà riguarda la capacità di realizzarsi senza nuocere al prossimo, ne utilizzare il prossimo per raggiungerla.
La censura è un’attività antichissima, descritta anche dal codice ai tempi dell’impero romano. Dal latino censùra, da censeo, sia l’ufficio del censo, ma anche l’attività del magistrato che doveva punire i comportamenti che offendevano il pubblico costume. I romani si differenziavano ovviamente da noi per quanto riguarda il senso comune: l’omosessualità era normale a quel tempo, oggi invece ci troviamo a dover difendere ancora una semplice scelta di relazione.
Le società cambiano ma il significato della censura riguarda sempre il difendere un modo di pensare, e contemporaneamente nascondere e vietare altri e/o opposti comportamenti o modi di pensare.
Studiando il significato etimologico della parola “censura”, non si trova il significato più umano, ossia la difesa dell’esistente. Io applico la censura per mantenere lo status quo, perché nulla possa scalfire l’idea di vita che mi sono costruito col potere, il potere difende la sua stessa esistenza. E’ un atteggiamento che fa parte anche della mafia o della camorra. Saviano ce lo spiega bene: lui è stato quello che ha disobbedito all’ordine di censura sugli affari della famiglia.
L’intellettuale vicino al potere, oggi come ieri, è chiamato a creare una nuova realtà. Più bella di quella che si vede tutti i giorni, più vincente, più sorridente. Niente più tristi poemi negativi ma solo positivi inni all’ottimismo…
Ma non si può neanche far finta che la realtà sia una guerra di opinioni. Si vive all’ombra di una censura continua e di una continua esposizione al pubblico. Tutto è pubblico eppure molte informazioni importanti vengono censurate, o semplicemente nascoste. Si cerca di far sapere tutto di se con i reality e allo stesso tempo cerchiamo di difendere un estremo bisogno di privacy, di nascondere i nostri dati sensibili. Ci si chiede perciò: siamo veramente pronti a capire e analizzare la verità senza censure? Nascondere e cancellare sono due azioni necessarie, anche il nostro cervello agisce così per difendersi dalla troppa memoria.
Si dovrebbe forse analizzare il concetto di pubblico, di verità e di realtà per poter definire la censura.
Nascondere e mentire è un istinto umano, (mai in voga come ai giorni nostri). La realtà è più difficile da capire, è più complicato districarsi negli infiniti livelli di verità e di interpretazioni. Sembra sempre valida la teoria ermeneutica di Gadamer, per cui la verità è come “una cipolla che si scopre a strati”. L’importante è che si scopra…
C’è bisogno di verità, c’è bisogno di liberarsi dal fardello della menzogna continua, della confusione delle informazioni, della manipolazione dei dati, della falsificazione della realtà. Si pretende dall’informazione, legata a doppio filo con le istituzioni, che ci informi sulle molte stragi irrisolte, sui misteri d’Italia e semplicemente sulla realtà, per capire come comportarci anche a livello individuale, per capire il mondo che ci circonda.
L’informazione
“Viviamo in un mondo inventato dai media”, si dice, e pare essere veramente così. La realtà è quello che ci fanno vedere alla tv. Nel campo dell’informazione, la televisione detiene ancora oggi la percentuale più alta di ascolti: è lo strumento prediletto dagli italiani. In particolare ci si informa tramite i telegiornali, e tra i Tg, quelli più ascoltati sono sempre il Tg1 e il Tg5. Quando ci si lamenta della censura di alcune notizie su queste reti, e su questi Tg, si vuole affermare che la censura copre la maggioranza degli italiani, perché sono la maggioranza degli ascoltatori. Se si lasciano le altre reti di potersi esprimere “liberamente”, forse, è solo perché non hanno gli stessi ascolti dei TG e dei programmi delle reti principali. Anche la carta stampata è in certi casi libera, ma in crisi di vendite da molti anni, e in ogni caso non è così determinante per la formazione di un’opinione diffusa.
Forse lo spazio più importante, nel senso di qualità e quantità dell’informazione, si trova proprio su internet. Ma quanti italiani usano questo strumento? E di questi, quanti lo usano per informarsi? Sono ancora molto pochi e poco esperti, poco propensi a vedere più possibilità e pluralismo. E soprattutto, la popolazione che supera i 50 anni, ossia la metà circa degli italiani, usa pochissimo internet (neanche il 30%). Se la maggioranza di chi usa internet ha meno di 20 anni, è difficile che questo mezzo di informazione abbia un impatto importante sull’opinione pubblica.
I casi concreti
Ci sono casi di censura clamorosi di cui non capiamo neanche il motivo, come il film Videocracy, (ne parla Laura Boi nel suo pezzo) che comunque andrà nelle sale, ma non è stato permesso a nessuna tv di mandare il trailer.
I casi più tipici della censura si trovano in letteratura, nei romanzi più della saggistica. E continuo a seguire Saviano nel suo ragionamento. Il romanzo rende immortale la realtà, la racconta in un livello altro, così da poterla oggettivare, farla vivere continuamente in una dimensione indipendente dall’autore. Il saggio, probabilmente conserva il suo carattere di interpretazione personale dell’autore, difficilmente universalizzabile, o meglio questo avviene in rarissimi casi.
La censura agisce perciò nei romanzi, come quello che presentiamo per questo numero di mediterranea. La storia di Imprimatur è veramente incredibile, ma più comprensibile se si usa la chiave del racconto come oggettivazione popolare della realtà.
Sì, paradossalmente, il romanzo storico ad esempio, contiene sicuramente dei dati certi, delle informazioni comprovate da ricerche in archivi e database, ma è pur sempre un romanzo.
Anche un’opera d’arte figurativa diventa pericolosa quando è giudicata da un organo religioso, una storia raccontata da Serena Maffei sul museo archeologico nazionale in Palestina.
La censura sui veri dati economici delle aziende modifica, sporca il mercato finanziario a vantaggio delle speculazioni che hanno provocato la famosa crisi mondiale a cui assistiamo ancora oggi. Vicenda descritta molto bene da Paolo Sigura nel suo pezzo “Le asimmetrie informative e i conflitti d’interesse nel sistema finanziario”.
Questo mese abbiamo un nuovo redattore afro-portoghese di Coimbra, un amico del periodo erasmus che scrive un bel pezzo sulla questione ambientale che riguarda il tonno rosso nel Mediterraneo. A breve la traduzione in italiano.
Vi lascio scoprire tutti i nostri pezzi dedicati al tema fondamentale della nostra vita, perchè poter parlare, poter esprimere senza paura le proprie opinioni non “du paga dinai” (non riesce a pagarlo il denaro), come si usa dire in Sardegna.
Buona lettura