Con l’avvento dell’era digitale, la maggior parte degli individui sbarcati in rete vive uno sdoppiamento di identità, conducendo la propria esistenza nel quotidiano offline e in quella che è stata definita dal filosofo Luciano Floridi Onlife, per rappresentare l’esperienza che l’uomo vive nelle società iperstoriche. Una doppia opportunità di espandere il proprio raggio d’azione e di pensiero e ampliare la propria rete di relazioni sociali, ma un rischio doppio per la privacy e per i diritti individuali, compromessi da chi pone in essere condotte contrarie ai pincipi del vivere civile, finendo per sconfinare spesso nel cybercrime. Si pensi all’utilizzo di informazioni personali illecitamente ottenute, che può essere volto non solo ai danni del patrimonio personale, ma anche a scopo di diffamazione o offesa all’onore o alla reputazione digitale della vittima. Ne parliamo con Marco Tullio Giordano, avvocato presso il Foro di Milano specializzato in cybersecurity e protezione dei dati personali, partner di 42Law Firm, una società di avvocati e tecnici delle nuove tecnologie, e co-fondatore di LT42, una delle prime legal tech company italiane.
Cos’è esattamente e quanto conta oggi la web reputation?
Con il termine web reputation si intende la reputazione online di una persona fisica o giuridica, costituita dalla percezione che gli utenti della rete hanno di uno specifico soggetto o di un’azienda. Ogni azione che si compie in rete, pertanto, va a incidere sulla propria web reputation, poiché ogni comportamento e ogni notizia reperibili su siti web, bacheche pubbliche o social network contribuiscono a formare l’idea che gli altri si creano e il giudizio che gli stessi saranno poi disponibili ad esprime con riferimento ad una persona o ad un brand. Nel caso in cui dati personali o informazioni illecitamente ottenute vengano utilizzate per offendere, denigrare, diffamare un individuo, unitamente alla lesione dell’onore della vittima bisognerà fare i conti con il “danno reputazionale”: un nocumento ulteriore che solitamente finisce per amplificare le conseguenze del reato, potenzialmente segnando per sempre il nome e la persona della vittima.
Vuol fare un esempio significativo?
Pensiamo alla diffusione non autorizzata di video pornografici, illecitamente sottratti e fatti circolare su siti web o applicazioni di messaggistica tra i giovani. Tali fattispecie hanno portato più di una volta le vittime a vergognarsi al punto da rifuggire la vita pubblica o, peggio ancora, finire per commettere gesti estremi. In questi casi, si parla di ri-vittimizzazione: al danno diretto da reato si aggiunge quello della memoria eterna, spesso ancor più dolorosa e insostenibile per le persone coinvolte.
Esiste una tutela penale per chi sia vittima di discredito social o molestie per mezzo tecnologico?
La sensibilità verso questi nuovi fenomeni sociali è cresciuta nel corso degli ultimi anni e, finalmente, l’ordinamento ha approntato strumenti di tutela effettivi, che permettono l’immedito interessamento delle autorità e l’intervento altrettanto repentino di operatori legali e forze di polizia specializzate. Lo stalking, ad esempio, prevede tutele intermedie, che possono andare da un ammonimento del Questore a non reiterare comportamenti lesivi dell’altrui libertà a vere e proprie misure cautelari, come il divieto di avvicinamento o di utilizzo di dispositivi di comunicazione elettronica.
Nel caso di soggetti deboli della popolazione sono previste misure più severe?
La legge 19 luglio 2019, n. 69, comunemente conosciuta con il termine “Codice Rosso” è stata introdotta proprio per prevedere la tutela delle donne e dei soggetti deboli che subiscono violenze, per atti persecutori e maltrattamenti: prevede la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5.000 a euro 15.000 per coloro i quali, dopo averli realizzati o sottratti, inviano, pubblicano o diffondono, senza l’espresso consenso delle persone interessate, immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati.
E’ possibile ottenere la rimozione dei contenuti denigratori, o la macchia del discredito è indelebile?
Spesso i “cocci” di reati commessi sul web sono ancora più pericolosi delle medesime condotte illecite subite, perché più persistenti e di difficile rimozione. Così la persona offesa si ritrova spesso a dover combattere contro decine, se non centinaia, di contenuti illeciti e di risultati della ricerca su Google, che sembrano rimandare a ciò che è successo e negare il “diritto all’oblio”. Le piattaforme web ormai hanno imparato, o sono state costrette a suon di provvedimenti giudiziari, ad approntare rimedi e cautele per permettere la cancellazione dei dati personali, o quanto meno la loro deindicizzazione. Le autorità garanti della privacy, in Italia e in Europa, sono poi gli enti preposti a ricevere le segnalazioni dei cittadini e ad intervenire nel caso di soprusi e malcostumi da parte degli utenti dei social network, delle testate giornalistiche online e dei blogger che riprendono e ripubblicano contenuti frutto di violazioni e condotte illecite.
Ha qualche consiglio da dare a chi si ritrovi ad essere vittima di tali attacchi?
Il mio invito è quello di non demordere di fronte alle difficoltà e al senso di impotenza che potrebbe assalire chi è oggetto di questi reati. Se non si è in grado di intervenire personalmente, si deve sapere che professionisti specializzati, imprese o associazioni a tutela delle categorie più deboli sono a disposizione per fornire un aiuto concreto. Non è quindi il caso di darsi per vinti o di lasciar correre: bisogna lottare per i propri diritti in rete.