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Un lavoro, verrebbe da rispondere, e già basterebbe dato che il lavoro per la generazione dei trentenni, dei quasi trentenni e degli oltre trentenni è il principale motivo d’ansia e di stress. Ma non doveva essere un diritto ed un dovere di tutti gli italiani il lavoro? Le cose sono cambiate da che un gruppo di politici firmarono il primo ed il quarto articolo della nostra beniamina: la Costituzione.

L’Italia allora era un stato che si fondava sul lavoro, e ad ogni cittadino era garantito “.. il diritto al lavoro e al promuove le condizioni che rendessero effettivo questo diritto. Ogni cittadino aveva il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorresse al progresso materiale o spirituale della società.”

In eredità il passato lascia il dovere al lavoro (la pagnotta a casa questo esercito di trentenni se la dovranno pur portare in qualche modo), ma di diritti si parla sempre meno. Generazione sfortunata questa che vive in un’epoca in cui l’incontro fra domanda ed offerta non riesce a trovare un punto d’accordo. Non che il lavoro non ci sia, piuttosto a non esserci è il lavoro che i laureati vorrebbero svolgere: in ufficio, vestiti da manager con tanto di valigetta e palmare sempre a presso.
Peccato, di questi tempi sono più gettonati i meccanici, i muratori, gli agricoltori, i falegnami, i vetrai, le sarte, le estetiste, insomma tutte quelle professioni che lavorano con le mani e non solo con la mente e con il cellulare, pur comunque gratificanti ed oneste. Eppure a grande sorpresa nel grande cestino dei lavoratori che si cercano ma non sempre si trovano, spunta fuori anche il mestiere del web writer, per farla semplice dello scrittore web.
E’ chiamato in moltissimi modi, ma raramente svolge mansioni diverse dallo scrivere; impossibile non aver sentito parlare di blogger, di articolisti, di web content, di copy writer o di web manager. Nella stragrande maggioranza si tratta di giovani dotati di cultura universitaria che lavorano indipendentemente, dal proprio ufficio (che il più delle volte è la propria stanza), e che amano farsi chiamare freelance.

Il mercato dell’informazione li cerca, e loro si fanno trovare puntuali su quella infinita piazza di possibilità che è il web. Il fatto che siano figure particolarmente richieste non significa assolutamente che siano particolarmente conosciute.
<<Che lavoro fai?>>
<<Il Web Content.>>
<<Eh?>>
Si tratta di una conversazione tipo che uno scrittore web può trovarsi ad affrontare ogni qual volta fa delle nuove conoscenze, eppure questo popolo di fantasiosi non si lascia demotivare dai contratti precari, dai pagamenti che si barattano in cambio della visibilità (tutta da accertare), dalla totale assenza di diritti e di sicurezza, dalle retribuzioni irrisorie.

Non c’è scampo, sarà pure un lavoro richiesto e una professionalità nuova di zecca, eppure nemmeno il lavoro dello scrittore web sfugge alla legge del precariato e i denti forti e tenaci spuntano fuori solo alle penne più appassionate che superano presto o tardi le difficoltà e si impigliano in un network di client seri ed affidabili che condividono la recente sentenza di un Tribunale Torinese che ha sancito incostituzionale una retribuzione oraria pari alle 5 euro. Perché? Semplice, perché non sarebbe capace di assicurare a nessun lavoratore (e famiglia) una vita dignitosa e libera. A dirlo non sono io, ma l’art. 36 della costituzione che dà alla norma valore di legge. E per fortuna ancora qualcuno si ricorda dei diritti del lavoratore.

Dalla sua questo popolo di scrittori del web ha il coraggio di aver costruito dal nulla una professione nuova sulle ali della quale l’informazione, che essa sia giornalistica, di massa o di nicchia, viaggia da computer a computer, da regione a regione, da paese a paese.
Un lavoro che si divide fra fascino, avventura e insicurezza, fatto di scrittura, moleskine, blog e giornali virtuali, pezzi pubblicati e da rieditare, da inviare e da condividere, pezzi rubati, copiati e non pagati, futuro traballante e pensione affascinante e imprendibile quanto una chimera.
Ci sarebbe di che lamentarsi, e le lamentele potrebbero essere lunghe pagine scritte fitte fitte, ma ci sarebbe anche di che imparare.

Quale lezione? Che in un paese in cui il cestino dei lavori offre poco o niente il giovane trentenne disoccupato più che piangersi addosso dovrà rimboccarsi le maniche, esplorare le proprie passioni e farne un lavoro.

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