Iran paese delle rose
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Articolo di Daniela Zini

Viaggiare è il più personale dei piaceri. […]

con questa frase Vita Sackville-West introduce i suoi ricordi di viaggio in Persia.

Iran, il paese delle rose

[…]

Hame-ye alam tanast va Iran del

Nist qaviyande zin qiyas khejel

[…]

Nezami Ganjavi, Haft peykar

VII. Iran, terra degli Arii

Our revels now are ended. These our actors,
As I foretold you, were all spirits, and
Are melted into air, into thin air:
And like the baseless fabric of this vision,
The cloud-capp’d tow’rs, the gorgeous palaces,
The solemn temples, the great globe itself,
Yea, all which it inherit, shall dissolve,
And, like this insubstantial pageant faded,
Leave not a rack behind. We are such stuff
As dreams are made on; and our little life
Is rounded with a sleep.

William Shakespeare, The Tempest Act 4, scene 1, 148-158

à mon Père

Ma petite D, “la Philosophie te fournira le fond, la Rhétorique, la forme de ton discours.” [Fronton].

me répétait mon Père. Mon père n’a jamais été pour moi la personnification du pouvoir, de la force et de l’autorité. C’est pour cela que je l’aimais. Le calcul différentiel et intégral n’a jamais semblé convenir à sa personnalité. Mais peut-être étais-je victime du vieux préjugé selon lequel les mathématiques sont une science aride et le mathématicien un homme d’une autre espèce. Je n’arrivais absolument pas à comprendre comment cet homme ardent et timide pouvait avoir le moindre point commun avec les théorèmes de Pythagore ou avec le binôme de Newton. Tout cela ne m’intéressait pas à cette époque. Il aimait trouver en moi les qualités féminines et n’essayait jamais de les rabaisser ni de les ignorer. Il était pour moi la grande personne autour de laquelle tournait la mécanique de la vie.

J’aimais sa perplexité devant mon indépendance précoce.

Puisque son fils était irrémédiablement d’un autre monde, avec une autre philosophie de la vie, une autre morale, alors pourquoi cette petite fille si avide d’apprendre et de comprendre ne serait-elle pas son héritière véritable, l’héritière de ses ruptures et de sa liberté, de son esprit indépendant, de sa culture, de son cosmopolitisme et de son non-conformisme?

Elle avait eu la chance d’échapper à l’amour des mères, qui tendait à ramener les filles du côté de la tradition et de la passivité.

En serait-elle moins femme?

La question ne préoccupait pas mon Père. Il n’aurait su dire ce que devait être une femme.

Une fille sage ou une rebelle à l’humeur imprévisible?

Antigone, Phèdre, Marguerite de Navarre ou la Princesse de Clèves?

Mon père, si plein de préjugés à l’égard des femmes, ne pensait pas en ces termes quand il songeait à l’avenir de sa fille. Aux yeux de cet homme qui répétait sans cesse que rien d’humain ne devrait nous être étranger, l’âge et le sexe n’étaient que des contingences secondaires. Si elle le souhaitait, il l’aiderait à devenir, elle, un individu libre. Elle serait son prolongement. Elle le suivrait et continuerait, accomplissant ce qu’il n’avait pu mener à bien. Elle ne se soucierait pas d’entretenir et de faire prospérer le patrimoine, de perpétuer le nom. Elle serait quelqu’un, c’est-à-dire quelqu’un d’autre, radicalement.

Il n’aurait osé rêver que je suivisse sa pente à lui, au moins pour ce qui était du nomadisme – on n’est bien qu’ailleurs – et de la Liberté solitaire. Et pourtant je l’ai fait, y ajoutant, certes, une forme de conjugalité et une obstination au travail qu’il eût prise, peut-être, pour un acharnement excessif. Sa mort a été une disparition, non un abandon.

Je n’ai pas eu à me libérer des suites d’une éducation bourgeoise comme Louis Aragon ou Jean-Paul Sartre. J’ai grandi en France à une époque où l’on savait que le vieux monde allait, de toute façon, à sa perte. Personne ne défendait sérieusement les anciens principes, du moins pas dans mon milieu. La contestation était l’air que nous respirions, elle a nourri mes premières vraies émotions. Beaucoup plus tard seulement, à l’âge de vingt ans, j’ai su que j’appartenais de par ma naissance à la bourgeoisie. Je ne me sens absolument pas liée à elle. En tant que classe social, elle a toujours éveillé en moi cependant plus de curiosité et d’intérêt que les débris de l’aristocratie et au moins autant que la classe ouvrière. Mais c’est de l’Intelligentsia, déclassée ou non, que je me sens la plus proche. Me sont étrangers, par contre, ceux qui détiennent le pouvoir, les dictateurs, les triumvirs, les hommes à qui on rend un culte, ceux qui y aspirent, les rois de tout poil. A ces dinosaures, je préfère encore les requins, au sens propre et figuré.

Se fosse esistita, un giorno, una lingua comune, non dovrebbe, necessariamente, essere stata parlata da un popolo originario?

Se tutte le lingue indo-europee discendono da una unica lingua, i popoli che parlano queste lingue sono, similmente, i discendenti di un unico popolo, che avrebbe colonizzato l’Europa e una gran parte dell’Asia fino ai confini della Cina?

L’indo-europeo è, innanzitutto, una ipotesi linguistica di cui alcuni eruditi hanno l’intuizione fino dal XVIII secolo, osservando la stretta affinità tra le lingue di un gran numero di popoli, dall’Europa all’India, dall’Iran al Mar Nero. Per scivolamento progressivo, questo concetto linguistico si arricchirà di un aspetto etnico: “cultura archeologica = etnia” [Gustaf Kossinna]. E da questa equazione, l’estrema destra europea formulerà l’ipotesi, secondo cui gli indo-europei, etnia all’origine della maggioranza delle ingue europee ed elemento importante della civiltà europea, sarebbero il popolo indigeno dell’Europa, che si sarebbe, in seguito, insediato nella penisola indiana e in Iran.

Il termine “indo-europeo” è usato, per la prima volta, nel 1813, da Thomas Young [1773-1829], ma la affinità indo-europea è riconosciuta molto prima, nel 1583, da un gesuita inglese, Thomas Stephen, che soggiornò, in India, dal 1579 al 1619. Lo stesso Filippo Sassetti [1540-1588], un mercante italiano, vissuto a Goa [India], dal 1583 al 1588, con il “carico di assistere a tutto il negozio de’ pepi che d’India si navicano in Portogallo; negozio principalissimo di quel traffico, e tale che, doppo il viceré, lui era il primo uomo di quel reggimento”, nei suoi scritti anticipa gli studi linguistici futuri:

Sono scritte le loro scienze tutte in una lingua, che dimandano sanscruta, che vuol dire bene articolata, della quale non si ha memoria quando fusse parlata, con avere [com’io dico] memorie antichissime. Imparanla come noi la greca e la latina e vi pongono molto maggior tempo, sì che in sei anni o sette se ne fanno padroni: e ha la lingua d’oggi molte cose comuni con quella, nella quale sono molti de’ nostri nomi, e particularmente de’ numeri el 6, 7, 8 e 9, Dio, serpe, e altri assai.

Filippo Sassetti, Lettera a Bernardo Davanzati del 22 gennaio 1586

Molto lavoro è compiuto, particolarmente nei Paesi Bassi, da Marcus Boxhorn [1640] e, in Francia, da Claude de Saumaise [1643], sul lessico delle lingue indo-europee, che non avevano questo nome, soprattutto sul sanscrito, il greco, il latino, il persiano e le lingue germaniche. Le similitudini evidenti di queste lingue, sono spiegate nel quadro dell’origine scitica, talvolta, anche chiamata giapetica.

Nel 1705, il filosofo tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz [1646-1716], che contribuirà a propagare questa ipotesi di una diffusione scitica, osservando le affinità tra germanico, greco, celtico e latino, conclude:

Si può congetturare che ciò derivi dall’origine comune di tutti questi popoli discesi dagli sciti, venuti dal Mar Nero, che hanno passato il Danubio e la Vistola, di cui una parte potrebbe essersi diretta in Grecia e l’altra avere occupato la Germania e le Gallie.

Su quale fondamento riposa questa idea?

Su nessun argomento archeologico, ma su una assimilazione tra struttura sociale e struttura linguistica. Nell’assenza di tracce indiscutibili di un popolo originario, è, dunque, permesso dubitare della sua esistenza. Al tempo di Leibniz, la Francia, l’Inghilterra e la Spagna sono monarchie centralizzate e territori unificati da lunga data. Diversamente, l’Europa germanofona è disseminata in un pulviscolo di Stati. Le lingue degli scambi internazionali e degli uomini di scienza sono il latino e il francese. La lingua tedesca, nonostante una traduzione della Bibbia di Martin Lutero [1483-1546], non ha né regole, né unità e Leibniz deve eprimersi, per essere letto e compreso, o in latino o in francese. Uno dei suoi rari saggi redatti in tedesco è, precisamente, dedicato “alla pratica e al miglioramento della lingua tedesca”. Preoccupazione che si combina con questa convinzione:

L’origine e la fonte del carattere europeo devono essere cercati in gran parte di noi.

In quel tempo, fondandosi sul racconto biblico della Torre di Babele, si guarda all’ebraico, la lingua di Dio e di Adamo, come alla madre di tutte le lingue e Leibniz aggiunge:

La lingua germanica […] ha eguali e più segni di qualcosa di primitivo dello stesso ebraico.

Questa aspirazione nazionale prende l’avvio con la Rivoluzione e il Romanticismo. Se la Nazione è considerata, in Francia, come una comunità di cittadini uniti da ideali universalistici, in seno a un territorio “un et indivisibile”, gli intellettuali e gli artisti evocano la Nazione tedesca, frammentata della sua “anima” e della sua “lingua” e, più tardi, anche del suo “sangue”. Il modello dell’albero genealogico è onnipresente: l’idea di una lingua madre germanica, alla fonte dei numerosi dialetti tedeschi, è l’immagine inversa di una unità primordiale, quella che è, politicamente, da riconquistare.

Durante le guerre di liberazione contro Napoleone il nascente sentimento nazionale tedesco riuscì ad unificare la frammentata realtà politica della Germania e il pensiero rivoluzionario cominciò a credere fiduciosamente di poter operare un profondo rinnovamento della società arretrata dei vari staterelli tedeschi.

Ulrike Kindl, Storia della letteratura tedesca II. Dal ‘700 alla prima guerra mondiale

Un punto di vista, marcatamente moderno, sull’evoluzione delle lingue è espresso da Jakob Ludwig Karl Grimm [1785-1863]:

Tutti i dialetti si sviluppano in un ordine progressivo e più si risale verso l’origine delle lingue, più il loro numero diminuisce e più le loro differenze svaniscono. Se le cose non stessero così, la formazione dei dialetti e la pluralità delle lingue resterebbero inesplicabili. Ogni diversità è emersa, gradualmente, da una unità primitiva. I dialetti tedeschi si riallacciano tutti a una antica lingua germanica comune e questa, a sua volta, accanto al lituano, allo slavo, al greco e al latino, non era che uno dei dialetti di un idioma primitivo ancora più antico.

Jakob Ludwig Karl Grimm, Geschichte der Deutschen Sprache [Storia della lingua tedesca], 1848

Un’altra presentazione moderna della parentela indo-europea è formulata da Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel [1772-1829] in Über die Sprache und Weisheit der Indier [Sulla lingua e la saggezza degli indiani], pubblicato a Heidelberg, nel 1808.

Il sanscrito presenta un legame molto forte con il latino, il greco, il germanico e il persiano. Le similitudini non si limitano solo a un grandissimo numero di radici che queste lingue hanno in comune, ma esistono anche nella struttura e nella grammatica. In conseguenza di ciò l’approccio non è accidentale, spiegabile con scambi, ma fondamentale, determinato da un’origine comune.

Ma il merito della dimostrazione della parentela spetta a Franz Bopp [1791-1867] che, nel 1833, pubblica Die Vergleichende Grammatik des Sanskrit, Zends, Griechischen, Lateinischen, Litthauischen, Gotischen und Deutschen [La grammatica comparativa del sanscrito, del persiano, del greco, del latino, del lituano, del gotico e del tedesco].

Nel 1861, August Schleicher [1821-1868], influenzato dal darwinismo, traccia nel suo Compendium der vergleichenden Grammatik der indogermanischern Sprachen [Compendio della grammatica comparativa delle lingue indo-germaniche] il primo albero genealogico [Stammbaum] delle lingue indo-europee, alla base del quale non pone il sanscrito, bensì una lingua ipotetica, ricostruita, il proto-indo-europeo, da cui, per filiazioni successive, avrebbero avuto origine le lingue attuali.

Nel 1871, con la nascita del II Reich, sotto il governo autoritario di Otto Eduard Leopold von Bismarck-Schönhausen [1815-1898], la rivendicazione di una identità germanica diviene un tema dell’estrema destra nazionalista, sia populista sia erudita. Rivendicazione che accentuerà la grande depressione economica del 1873-1876. È in questo contesto che, a partire dagli anni 1890, l’archeologo Gustaf Kossinna [1858-1931] fa conoscere i suoi lavori che confluiscono, come altri, nell’idea di una superiorità naturale del popolo originario indo-germanico. La razza ariana viene definita, soprattutto, su basi linguistiche, come razza dei locutori indo-europei, ed è contrapposta alle altre razze, considerate inferiori. L’intero problema della lingua e della razza acquista, in questo momento, notevole rilevanza e costituisce una parte dello sfondo culturale in rapporto al quale va considerata la storia del pensiero linguistico. Ricondurre la formazione di questa ideologia e la sua diffusione alla situazione politica della Germania e al contesto storico del periodo, in cui questa inizia, lentamente, a formarsi, può aiutare a comprendere meglio quali siano state le profonde motivazioni, che porteranno a quelle travisazioni, che determineranno, in modo funesto, i destini di tutta l’Europa fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In Germania, il regime di Napoleone [1769-1821] concede l’emancipazione legale agli ebrei e la lotta condotta, in quel Paese, contro l’empereur diviene una lotta contro tutto ciò che le sue riforme hanno realizzato. Folle tumultuanti, al grido di slogans liberali e patriottici, distruggono case e sinagoghe ebraiche. Il maltrattamento degli ebrei diviene un fatto quasi quotidiano. In Germania, l’antisemitismo è una forza politica, fino dalle guerre di liberazione, e il periodo di Bismarck lo rende un movimento popolare. E, agli ebrei, verrà imputata la crisi finanziaria che pone termine alla prosperità economica degli anni successivi alla guerra del 1870. Tutti gli elementi del nazionalismo di destra esistono, dunque, sotto Guglielmo II [1859-1941]. Più tardi, Adolf Hitler [1889-1945] non dovrà che riprenderli, insistendo sul razzismo, cui pretenderà di dare un fondamento biologico. È, dunque, questa commistione tra cultura, sentimento patriottico e scienza, cui contribuiscono Arthur Schopenhauer [1788-1860] e, soprattutto, Joseph-Arthur de Gobineau [1816-1882], con il suo Essai sur l’inegalité des races humaines [Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane], a fare da base al pensiero tardo ottocentesco e dei primi del novecento.

Gli ariani, che rappresentano il piu alto potenziale della “razza bianca”, invasero il sub-continente indiano e iniziarono a mescolarsi con la popolazione nativa. Comprendendo il pericolo, il legislatore indiano implementò il sistema castale come mezzo di preservazione. Per questo motivo, i processi di degenerazione e bastardizzazione sono stati in India molto più lenti rispetto alle altre civiltà.

Hayden V. White, Gobineau, Comte Joseph Arthur de [1816–1882]

Per espandere il movimento dell’arianesimo, si impegnano scienziati, gruppi sociali, uomini illustri. Nel 1900, il magnate Friedrich Alfred Krupp (1854-1902) indice una competizione scientifica dal titolo:

Che cosa possiamo apprendere dai principi del darwinismo, per applicarlo agli sviluppi politici interni e alle leggi dello Stato?

La maggior parte dei saggisti che vi partecipano sostengono essere della massima importanza il criterio biologico, cornice entro la quale si dovrebbero creare, onde assicurare la continuità dello Stato, quadri di elementi razzialmente adatti. Il premio è assegnato al medico Wilhelm Schallmeyer [1857-1919], autore di Eredità e selezione nella vita delle Nazioni, che, pur non essendo attratto dall’idea della superiorità della razza ariana, propugna il dovere dello Stato di assicurare l’idoneità biologica dei propri cittadini per migliorarne i caratteri razziali e da ciò fa discendere l’autorizzazione alla poligamia per i soggetti “razzialmente superdotati”.

Gli studi indo-europei hanno un carattere, essenzialmente, tedesco, fino al XX secolo. Non suscitano che un interesse limitato nell’Hexagone. Gli eruditi francesi, che, nondimeno, rilevano affinità tra greco e sanscrito, le attribuiscono ai contatti culturali, seguiti alle conquiste di Alessandro il Grande. È solo, alla fine degli anni 1860, che alcune grandi opere tedesche di grammatica comparativa sono tradotte in Francia. Ferdinand de Saussure [1857-1913], che, insegna a Parigi, a cavallo tra i due secoli, prende le distanze dalla grammatica comparativa per fondare la prima linguistica generale. E la scienza inglese manifesta lo stesso disinteresse. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la grammatica comparativa conosce, in Germania, un certo declino, mentre a Parigi, a Praga e a Copenaghen, fiorisce la linguistica “saussuriana”. A Parigi, questa nuova scienza permetterà ad Antoine Meillet [1866-1936] e a Emile Benveniste [1902-1976] di sviluppare metodi comparativi. Georges Dumézil [1898-1986] [http://www.dailymotion.com/video/x97vci_dumezil-indo-europeens-1-2_news, http://www.dailymotion.com/video/x97v8l_dumezil-indo-europeens-2-2_news, http://www.dailymotion.com/video/x97uyx_dumezil-recits-indo-iraniens_news] li seguirà sul terreno delle religioni. Lavori importanti, sovente appassionanti, che mostrano, in modo concreto e dettagliato, che società europee antiche hanno diviso un certo numero di elementi comuni. Dumézil ritrova la coppia degli Eroi salvatori, l’uno cieco da un occhio, l’altro monco, sia nella mitologia germanica [Odino/Tyr] sia nella storia leggendaria di Roma [Horatius Cocles/Mucius Scaevola]. In modo molto singolare, si scopre, negli anni 1920-1940, in Meillet, Benveniste e Dumézil, in termini quasi identici, una stessa visione catastrofica ed elitaria della diffusione indo-europea. Questa visione, in Francia, non è influenzata né da un’opinione politica né da un a priori culturale: se Dumézil collabora, negli anni 1930, alla stampa di estrema destra, Benveniste proviene dalla comunità ebraica siriana e Meillet è repubblicano. Tutti adottano, tuttavia, spontaneamente, senza la minima interrogazione critica, il modello genealogico ereditato dalla scienza tedesca. E lo trasmettono tale quale.

Per quale ragione era stato costruito?

La dimostrazione scientifica di un legame genealogico tra diverse lingue, fornita dalla linguistica comparativa, si prestava a fini politici. Le diverse tesi archeologiche, linguistiche, filologiche, biologiche, razziali, qui riportate sono rifiutate dagli specialisti di questi campi. Di fatto, gli specialisti condannano l’assimilazione degli indo-europei a un gruppo razziale determinato, assimilazione abusiva, frequente negli ambienti di estrema destra e largamente diffusa da Hans Friedrich Karl Günther [1891-1968] e dai suoi discepoli, Roger Pearson [1927], fondatore della Northern League [1957], Jürgen Rieger [1946-2009] [http://www.youtube.com/watch?v=bpCBCwJ6wXw&feature=results_main&playnext=1&list=PLA3144200A613C9CA], Jean Haudry [1934] [http://www.youtube.com/watch?v=aAhRWSORYss] e Alain de Benoist [1943], principale ideologo della Nouvelle Droite [http://www.dailymotion.com/video/x23rf4_alain-de-benoist-la-nouvelle-droite_news, http://www.dailymotion.com/video/x23viv_alain-de-benoist-la-nouvelle-droite_news#, http://www.dailymotion.com/video/x23w4x_alain-de-benoist-la-nouvelle-droite_news#, http://www.dailymotion.com/video/x23wdp_alain-de-benoist-la-nouvelle-droite_news#, http://www.dailymotion.com/video/x23wkm_alain-de-benoist-la-nouvelle-droite_news#, http://www.dailymotion.com/video/x23wr1_alain-de-benoist-la-nouvelle-droite_news#], secondo i quali la razza indo-europea sarebbe minacciata da una serie di pericoli: l’islam, l’immigrazione, percepita come una colonizzazione dell’Europa, il métissage e l’imperialismo anti-europeo degli americani. La soluzione a questo “etnocidio” consisterebbe, allora, in una difesa dell’identità razziale, una “etnopolitica” per la promozione di un grande insieme europeo “bianco” da Brest a Vladivostok.

Dalla lontana civiltà egizia a oggi, l’Occidente attua il suo intero sviluppo storico, sotto il segno di due funzioni immutevoli e distintive: la espansione di sé e la negazione dell’Altro. Dalle persecuzioni faraoniche contro gli ebrei, fino al colonialismo e all’etnocidio in massa delle tribù amazzoniche, l’intera storia occidentale è una storia di espansione e di eteronegazione.

Non è escluso che un popolo ardito originario sia partito, un giorno, da qualche parte per diffondere, dappertutto, la sua lingua e i suoi valori. Ma niente lo dimostra, né nel campo della linguistica, né in quello dell’archeologia, né in quello della mitologia, né in quello dell’antropologia fisica. Una società non è dotata di un’anima ereditata dai millenni passati. È un mélange provvisorio e, sovente, instabile di elementi – ideologici, sociali, tecnici, linguistici, ecc. –, di origini molto diverse e riassemblate, un “bricolage”, come suggerisce Claude Levy-Strauss [1908-2009].

Il modello operativo non è l’albero, ma la rete, come si pratica, da lungo tempo, in molti altri campi del sapere.

Il nazionalismo non è l’amore del suolo natale. Cela, sovente, più odio che amore. Non è solo la coscienza dei cittadini di appartenere a una comunità territoriale, politica e morale, dotata di proprie “peculiarità”, ma è anche esaltazione di queste “peculiarità”, affermazione della loro superiorità, fede in una missione: offrire o imporre al vicino queste eccezionali “peculiarità” e, in ultima analisi, riformare il mondo secondo queste eccezionali “peculiarità” nazionali.

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