CinemaSpagna 2012
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Potrebbe essere letta come una vendetta contro il mondo intero quella di Héctor, protagonista di “Open 24h” dello spagnolo Carles Torras.

Contro la sua stessa vita di guardia notturna, fatta di gesti che si ripetono sempre uguali ogni giorno; contro il padre autoritario, incapace di affrontare l’handicap dell’altro figlio adolescente, di cui Héctor si deve occupare da solo; contro un sistema fatto di lavori saltuari; contro l’avvocatessa che lo difende in una causa di licenziamento convincendolo a patteggiare, ma che poi si rivela essere amica dell’avvocato della parte avversa; contro la ragazza del supermercato che non lo degna neanche di uno sguardo quando paga alla cassa.

La sensazione di oppressione che questo thriller drammatico trasmette è palpapile, grazie anche all’uso del bianco e nero, che risulta decisamente utile nel comunicare il senso di tragedia che rimane sospeso per tutta la durata del film. Pur sapendo che il dramma si realizzerà in qualche modo, quando esso si consuma lo spettatore è comunque impreparato, forse perchè non si aspetta che la spirale di apatia e rabbia repressa nella quale Héctor è risucchiato trovi sfogo in quel modo.
La storia di Héctor racconta una realtà terribilmente attuale, dalla quale ci si sente spesso soffocati e nella quale è facile per molti identificarsi. Il sistema é percepito come qualcosa di ostile, che stritola e schiaccia, esasperando l’individuo fino a portarlo a gesti estremi, come dimostrano molti fatti di cronaca, in una sorta di vendetta diretta a volte contro gli altri e, più spesso, contro sé stessi.

Open 24h
Open 24h

“Open 24h” è uno dei pochissimi film drammatici presentati all’interno di “CinemaSpagna”, il Festival del cinema spagnolo che anche quest’anno ha offerto al pubblico romano le novità e i grandi classici della produzione iberica. La rassegna si è aperta con il thriller “No habrá paz para los malvados” (Non c’è pace per i malvagi), di Enrique Urbizu, vincitore di 6 statuette ai recenti Premi Goya (tra cui miglior film, regista, attore protagonista e sceneggiatura originale), una caccia all’uomo nella Madrid dello spaccio di droga e del terrorismo dove Santos Trinidad, un poliziotto violento, bracca senza tregua chi lo ha visto uccidere a sangue freddo tre persone in un locale a luci rosse.

La commedia però si conferma il genere caratterizzante del cinema spagnolo, con delle pellicole che non risultano mai banali e aprono invece larghi spazi di riflessione su importanti tematiche sociali e politiche, pur affrontate con uno sguardo ironico e di leggero disincanto. Un esempio su tutti è “Arrugas” (Rughe), di Ignacio Ferreras (tratto dall’omonima graphic novel di Paco Roca), che racconta con sensibilità e tratti di umorismo il dramma degli anziani relegati a trascorrere gli ultimi anni nelle case di riposo, spesso abbandonati a sé stessi e terrorizzati dalla prospettiva di perdere il controllo della propria mente e del proprio corpo. Nel geriatrico si intrecciano le storie degli ospiti (resi più umani da flashback che riportano addirittura alla loro infanzia lontanissima e ad un tempo in cui erano padroni della propria vita) che, essendo diversi fra loro, si trovano ad affrontare gli stessi fantasmi in modo differente: chi con preoccupazione per una malattia che vuole negare, chi con allegria e un po’ di cinismo per esorcizzare la vecchiaia a cui non vuole arrendersi, chi annullandosi nella cura del coniuge ormai demente.

Molto più leggera la commedia “Primos” (Cugini) di Daniel Sánchez-Arévalo, che nasconde però, dietro il sorriso e l’ilarità delle situazioni, le difficoltà comuni a molti giovani di oggi. I tre cugini del titolo si rifugiano nel paesino dove strascorrevano le vacanze da adolescenti per sfuggire alle proprie delusioni, ma si troveranno a fare i conti con sé stessi e ad accettare il fatto di essere diventati adulti. Diego, lasciato dalla fidanzata il giorno prima delle nozze, dovrà finalmente decidere di prendere in mano la sua vita senza farsi più condizionare dagli altri; Julián userà la propria esuberanza per riappacificare un padre con la propria figlia e smettere di essere un eterno Peter Pan; José Miguel si libererà dal controllo oppressivo della fidanzata che lo imprigiona nella sua stessa ipocondria.
Anche i protagonisti di “Dias de fútbol” (Giorni di calcio), di David Serrano, tentano di esorcizzare i loro problemi presenti rifugiandosi nel passato e rimettendo insieme la stessa squadra di calcetto che aveva vinto il torneo del quartiere. Anche loro però non potranno fare a meno di fare i conti con le loro crisi di trentenni in preda a piccole tragedie sentimentali e professionali, spesso preoccupandosi di aiutare i compagni prima di risolvere ognuno il proprio dramma personale.

“Sin vergüenza” (Senza vergogna), di Joaquim Oristrell, è invece un’acuta commedia sul mondo del cinema, dove vengono messe a nudo le rivalità e gli odi reciproci esistenti fra attori – che si sentono schiavi di registi-dittatori ai cui capricci devono sottostare e che li sfruttano per mettere in scena le loro storie – e registi – che si considerano ugualmente usati da attori impegnati più a fare carriera e diventare famosi che a trasmettere quella che è l’idea di una sceneggiatura. In un microcosmo in cui le relazioni personali sembrano basarsi solo sugli interessi di ciascuno e non su un progetto comune, le isterie dei personaggi vengono messe a nudo e trovano sfogo in una furibonda mischia finale che ha quasi valore catartico nel suo rivelare finalmente la parte più vera delle persone. Solo in quel momento il gruppo si trasformerà in un unicum capace di mettere in scena un lavoro condiviso.

A chiudere la rassegna, l’anteprima italiana di “Madrid, 1987” di David Trueba, una sorta di scontro generazionale fra Miguel, autorevole giornalista e scrittore, e Angela, giovane studentessa. I due, costretti a trascorrere insieme un’intera giornata rinchiusi in un bagno, danno vita ad accese discussioni basate su punti di vista diametralmente opposti su temi come la professionalità, l’ispirazione, il talento e il desiderio.
Il Festival ha anche dedicato un omaggio al regista Luis Buñuel, con “El angel exterminadór” (L’angelo sterminatore) e “Simón del deserto” (Intolleranza – Simon del desierto), entrambi del periodo dell’esilio messicano. Il primo, attraverso una storia surreale ed onirica, svela le assurde eccentricità della classe aristocratica e clericale, simbolicamente imprigionata in una casa e paradigma di tutto il genere umano, prigioniero delle proprie sovrastrutture e paralizzato nella sua parte più intima. Buñuel critica l’ordine costituito, sbeffeggiando i riti e le usanze della borghesia rappresentata da questo gruppo umano che, diventato preda di bisogni primari, dà sfogo alle proprie frustrazioni lanciandosi in una serie di accuse e litigi che danno voce a tematiche sociologiche basilari. Quando finalmente il gruppo, riuscito ad uscire dalla casa grazie ad un colpo di genio, si riunirà in chiesa per ringraziare della libertà riacquistata, si ritroverà nuovamente prigioniero fra le mura consacrate.

La polemica anti-religiosa è al centro anche del secondo film, che racconta la storia di un santone stilita che vive in cima ad una colonna per penitenza. L’ironia di Buñuel, tesa a dimostrare l’inutilità della sofferenza e dell’espiazione religiosa, è aggressiva e violenta e si realizza in scene surreali e paradossali in cui il demonio (ovviamente nei panni di una bella donna…) tenta l’eremita fino a riuscire a trasportarlo con un jet in una discoteca beat di New York. Nel suo alternare pellicole impegnate ad altre più divertenti, che aprono comunque ampi spazi di riflessione su problematiche concrete e condivisibili, “CinemaSpagna” anche quest’anno non ha deluso le aspettative, confermandosi un appuntamento immancabile per gli amanti del cinema iberico.

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