Siviglia
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Viaggio come evasione, viaggio come cambiamento, viaggio come scoperta. Qualsiasi sia il corrispettivo dell’andare, viaggiare è cosa che fa parte dell’essere umano. Fuga dal quotidiano, incontro con il nuovo, contatto con ciò che non ci appartiene. E’ per questo che la scoperta di paesi nuovi mi ha sempre affascinata. Conoscenza che è un alchimia perfetta di lingua altra, cucina nuova, paesaggi mai veduti, profumi che si spera di non dimenticare troppo presto.

Tutto si è riproposto, preciso e puntuale come in un circuito ininterrotto, nel mio ultimo pellegrinare. La terra nella quale sono approdata, molti dicono assomigli alla Sardegna. Baciata dal mare, colorata, allegra e solare come l’isola, signora a lungo della sfuggente Hyknusa. La Spagna ha il grande potere di sorprendermi ogni volta. Dovessi paragonarla ad un oggetto direi che è uno scrittoio ricco di cassetti segreti, di alcove da esplorare, di scomparti differenti gli uni dagli altri.

A Siviglia sono arrivata a notte fonda, in un giovedì come tanti. Il rumore di rotelle della valigia contro il ciottolato delle strade strette m’ha messo allegria fin da subito. Oh forse l’allegria è da imputare alla vita notturna, che si spegne d’improvviso, ma che si ciba di un divertimento semplice, fatto di cerveza e tapas, chiacchiere e musica.

Anfratto ben custodito di Spagna moresca, mi sarei accorta solo col sole che Siviglia è esplosione di azulejos, che si mostrano d’improvviso agli occhi di chi cerca, all’interno di quelle antiche case che ora sono hostal. Ma di moresco conserva ben altro. E’ stato chiaro quando ho avuto il mio primo incontro con il complesso imponente della Cattedrale. La seconda per grandezza solo dopo San Pietro, accostata all’elegante e sprezzante Giralda. Ne ha visto di storia lei. Faceva parte d’un complesso ben più antico. Una bella moschea che nel XV secolo si decise di abbattere. Si diceva perché vecchia oramai. In realtà si vocifera si volesse costruire una struttura immane, che superasse in bellezza e dimensioni quella di Toledo. Ci riuscirono indiscutibilmente. Dalla Giralda si domina Siviglia. Una torre alta 96 mt, che permette d’essere scalata per non più di 70, e che deve il suo nome alla statua posta sulla sua punta. Rappresenta la fede e segna la direzione del vento, girando appunto a seconda della brezza che tira.

Gli Alcazares Reales sono qualcosa di indescrivibile. Vari, immensi, tutto colore e contrasto. È il covo in cui meglio che altrove cristiani e mori si sono incontrati in quell’arte che viene detta mudejar.
Ma quello che più sorprende in Siviglia è il suo essere labirinto di milioni di strade, fini e strette, sulle quali si affacciano abitazioni alte che oscurano il passante. Tutte diverse, tutte dalle tinte allegre, sulle quali dominano con maggiore insistenza il bianco, il senape e il blu, che mai come in Siviglia hanno trovato un perfetto equilibrio. E’ così anche nella incantevole e timida Plaza de Dona Elvira. Azulejos, panchine, vegetazione, rumore d’acqua e profumo di cucina spagnola. Mi sono domandata se esita un angolo di mondo più bello.

Il Guadalquivir lo si scopre un poco per caso. Taglia in due la bella città fatta di quartieri divisi nettamente. Alcuni battelli lo attraversano, ma il consiglio è quello di vivere Siviglia a piedi, solo così si potranno assaporare gli odori, ci si potrà riposare nelle piazze, meravigliarsi dei piccoli negozi e degli intimi locali. E’ stato durante la traversata del fiume che ho avuto il mio primo incontro con la Plaza de Toros. Chi ama la Spagna non si può esimere dal vedere almeno una volta la corrida. Cruenta, è vero. Animali muoiono, e la sfida è impari, seppure quegli uomini abbigliati sontuosamente rischino davvero.

Una sabbia gialla pulsante, un bianco delle pareti circolari intenso e pulito, il rosso sparpagliato ovunque, come fiori in un prato di primavera. Si respira la tensione in quell’arena. E avrete modo di dire più della corrida guardando gli occhi degli spettatori, piuttosto che non i protagonisti dello spettacolo. Ansiosi, presi, eccitati. E’ una cosa che gli scorre nel sangue. Un rito antico, una danza fatta di regole precise, che chi non conosce si consuma nel tentativo di comprendere. Ho pensato che farsi spettatore in Agosto, quando il sole acceca e i colori esplodono, debba essere davvero eccezionale, ma pure sotto una leggera pioggia la manifestazione ha dato di se il meglio. Nessuna voglia di dare un giudizio in merito. Il viaggiare è privo di preconcetti. S’assaggia e si racconta poi d’averlo fatto. Semplicemente.

Così come è accaduto per l’immensa costruzione che è il semicerchio di Plaza de Espana. Una struttura antica, che di eventi ne ha visto, verrebbe da dire. No. Si tratta di un palazzo che non si agguanta con un solo sguardo, costruito nel 1929 in occasione dell’Expo. Miriade di ponti, di panchine, di piccioni, di fontane e laghi, sui quali troneggia il palazzo. Le stanze non si contano. Dubito che siano mai state utilizzate per davvero tutte assieme. Un presuntuoso sfarzo che lascia davvero a bocca aperta, il tutto ingoiato dal grande Parque de Maria Luisa, polmone verde della piccola Siviglia.

Una città incantevole dove il tempo pare essersi fermato, dove avrete la possibilità di passeggiare per il centro storico placidamente, senza fretta, ad accompagnarvi il suono di qualche violino e il rumore di zoccoli di cavallo contro il ciottolato. Un altro mondo, che verrebbe voglia di vivere per molto altro tempo.

Ci ho pensato per davvero, mentre pronti per la partenza, il rumore delle rotelle della valigia contro le strade irregolari, non appariva più tanto allegro, di vivere più a lungo quell’angolo di Spagna che è bello si, ma regala di più. Insegna il pregio della convivenza, perché raramente l’arte mora, e l’arte cristiana separate, sono state tanto belle.

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