Copertina Senza Paracadute
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“C’è chi gli anni sabbatici se li prende per scelta e chi li subisce. Nel senso che qualcuno lo costringe a prenderselo, il periodo sabbatico. Antonio Loconte fa parte dei secondi: più o meno un anno fa lo hanno cacciato dalla Tivù dove lavorava, e la sua “vacanza” è cominciata lì.” Inizia così la recensione di Stefano Tesi per “Senza paracadute, diario tragicomico di un giornalista precario” (Adda Editore, 242 pagine, 15 euro), con la prefazione di Antonio Caprarica e i contributi di Alessandro Banfi, Enzo Iacopino, Carmelo Sardo, Giorgio Santelli, Massimo Alberizzi, Vincenzo Iurillo. L’intervista concessa da Loconte a mediterraneaonline per il numero di settembre “Io valgo” parla di un giornalista di periferia licenziato all’improvviso da “Telenorba”, tv locale in cui lavorava, snodandosi attraverso il racconto di esperienze e situazioni del lavoro giornalistico, la condizione di precariato, che diventa per Antonio un’opportunità per rispondere alla crisi costruendo una storia positiva su un mucchio di macerie.

Quale e quanta è la capacità di sacrificio, la voglia di crescere con le ansie, le incertezze e i desideri tipici della tua generazione, la passione insieme ai difetti, e la normalità con la quale non esiti a mettercela tutta pur di non rinunciare alle tue aspirazioni e ai tuoi sogni?

“Il coraggio, insieme a una buona dose di tenacia sono le doti che la nostra generazione ha dovuto sviluppare in un momento di grande indecisione. Un periodo in cui il futuro è incerto e sembra che nessuno voglia darti un’opportunità seria, non parlo di lavoretti occasionali, sottopagati, in cui la soglia dello sfruttamento è stata ampiamente superata. Essere licenziati (a mio avviso senza giusta causa) un anno dopo il matrimonio, con una casa da ristrutturare e senza altre entrate, dopo 8 anni di onorata gavetta non è la più salutare delle passeggiate. A quel punto, però, devi assolutamente credere che ci possa essere di meglio e le opportunità te le crei rimboccarti le maniche, ritornando agli esordi se necessario, a investire nuovamente su te stesso. Certo, la paura di non farcela è sempre dietro l’angolo, ma preferisco vivere provandoci, mettendomi sempre in discussione, come fanno i giovani, ormai non più tanto giovani, della nostra generazione.”

Hai imparato a pagare le tue opportunità con il coraggio.

“La mia passione, così come quella di chiunque altro il giornalismo ce l’ha nel sangue, non ha limiti. E’ quella chi ti fa credere che prima o poi qualcosa possa cambiare e che ti fa lavorare anche 18 ore al giorno per guadagnare in un mese cifre che a un cameriere sono assicurate in due settimane. Non ci sono feste comandate, ricorrenze personali, non importa che ci sia da lavorare sotto la pioggia, la neve o un sole cocente. Lo devi fare perché la nostra è una vocazione, qualcosa di più di un lavoro. Certo, la passionalità può essere spesso un difetto, così come l’essere testardi. Grazie a Dio non ho buona parte dei difetti che contraddistinguono buona parte dei giornalisti: mancanza di umiltà, supponenza, arroganza, narcisismo e quel fastidioso essere vigliacchi quando c’è da sposare la causa della propria categoria e non a distanza quelle degli altri. A un certo punto, però, mi sono chiesto quanto possa durare una gavetta. Una risposta me la sono data, e quindi la data di scadenza della passione sta per arrivare: agosto 2013, l’ultimo mese di disoccupazione. Fino a quel momento cercherò di raggiungere il mio sogno con le unghie e con i denti, in caso contrario faremo altro, perché di sogni non si vive e soprattutto non fai vivere la tua famiglia.”

Percorsi ad ostacoli, salti mortali e qualche soddisfazione, rigorosamente “Senza paracadute”. Raccontaci com’era “ieri”: le critiche e le difficoltà più feroci che ti stavano frenando, e in che modo sei riuscito a superarle?

“Faccio il cronista di strada da 17 anni. Credo di essere uno degli ultimi ad aver iniziato questo mestiere alla vecchia maniera, quando entravi in redazione ramazzando e facendo il caffè. I primi pezzi, per Eco motori, li ho scritti nel periodo in cui ero impiegato a fare ronde nel corso Vam 295 dell’Aeronautica Militare. Scrivevo tra un turno e l’altro. Poi Scienze politiche e il bivio: professionista a tempo pieno o laurea? Ho scelto di diventare professionista a 25 anni mollando gli studi. Probabilmente se non avessi fatto così non sarei riuscito a lavorare per Telenorba e a collaborare con La7, Sat e Tv 2000, Corriere della Sera Salute, Il Messaggero, Leggo, La Gazzetta del Mezzogiorno, e vincere persino qualche premio, incassando soldi che mi hanno permesso di sopravvivere quando l’alternativa era davvero fare la fame.
Se non avessi avuto mia moglie e la mia famiglia al mio fianco probabilmente non sarei mai riuscito ad arrivare alla pubblicazione del libro. Se conduci certe battaglie di dignità umana prima ancora che professionale non puoi essere solo. Ricevo tanti apprezzamenti, ma decine di critiche, di contestazioni. Qualcuno dice che ho scoperto l’acqua calda, ma almeno ho avuto il buon senso di aprirlo quel rubinetto. Non volevo più restare alla porta a vedere chi non ce la faceva e si ammazzava per la vergogna di avere superato i 40 e non poter pensare a un futuro dignitoso. Purtroppo non tutti i rappresentanti delle istituzioni giornalistiche hanno capito che la mia non è una battaglia personale, ma un modo costruttivo e propositivo per restituire tutti insieme dignità a questo mestiere che, per quanto mi riguarda, resta il più bello del mondo.”

Perché scrivere “un diario tragicomico”, e quali sono stati i risultati raggiunti dopo la pubblicazione?

“Senza paracadute l’ho sognato di notte, condividendolo con mia moglie che dormiva beatamente. Avevo chiaro in testa ciò che avrei dovuto fare: vendicarmi con l’azienda che mi aveva messo alla porta. Dopo poche pagine, però, mi sono accorto che non era ciò che volevo realmente. A quel punto ho virato verso il racconto autobiografico del giornalista di strada, quello lontano da stipendi faraonici, dai riflettori e dai benefit della casta. L’ho fatto attraverso l’autobiografia per renderlo assolutamente vero. In sostanza è la fotografia di una categoria che regge l’informazione in Italia, quelli che spesso guadagnano meno di 5mila euro l’anno e sono il 55% dei 110 mila iscritti all’Albo dei giornalisti. Quelli che patiscono la concorrenza sleale di dopolavoristi e hobbisti: insegnanti, medici, geometri, sportivi e chiunque abbia la passione per la scrittura a tempo perso, ben voluti dagli editori perché costano meno. Drammi e pezzi esilaranti si alternano con un ritmo serrato per catapultare il lettore nella vita al limite della follia che conduciamo quotidianamente. I risultati sono stati insperati. In poco meno di 100 giorni ho fatto 40 presentazioni in tutta Italia, mi chiamano a scuola e nelle Università, mi propongo a più livelli perché questo è un libro per tutti, non solo per giornalisti. Mi sono fatto anche molti nemici, quelli che continua a far finta che va tutto bene, molti dei garantiti e tanti precari che, pur di essere giornalisti si fanno trattare da zerbini o peggio ancora da schiavi.”

Antonio loconte e Antonio Caprarica
Antonio loconte e Antonio Caprarica

Nonostante le difficoltà oggettive, ritieni di essere riuscito a costruire la tua storia lavorativa, sociale e personale?

“Le difficoltà iniziali sono state notevolissime. Non riuscivo a trovare un editore disposto a rischiare, colleghi che sposassero la mia causa. C’era la paura di poter restare fuori da un sistema che contesto e in cui non mi riconosco più, poi le perplessità di chi mi suggeriva di essere più soft. Dico sempre che questo libro l’ho scritto quattro volte, addolcendolo nei contenuti pur avendone lasciato inalterato l’impianto complessivo e i messaggi che si porta dietro. La consapevolezza di poter far altro nella vita, proprio perché non sono legato alla smania di apparire e firmare, mi ha dato coraggio. E ora siamo qui.
La soddisfazione personale non ha niente a che vedere con l’affermazione nel mondo del lavoro, ma è anche vero che essere soddisfatti aiuta ad affermarsi. Sono stato assunto per quattro anni a tempo indeterminato, ho fatto fatture, ho avuto co.co.co.; e poi co.co.pro., e ho persino guadagnato 2.500 euro al mese per sei mesi, con tutti i benefici della casta. Ora sono disoccupato e non riesco a vivere del mio lavoro nonostante tutto e nonostante l’aver collaborato con importanti realtà editoriali. In compenso ho seminato bene, quindi sì, una posizione me la sono fatta, ma con il passare del tempo viene meno pur essendo ancora riconosciuto al supermercato come il giornalista di Telenovela, come chiamo nel mio libro l’azienda al centro della contesa. Una contesa che si celebrerà anche nelle aule di un Tribunale, con la speranza di non dover aspettare una vita prima di sapere se davvero il mio licenziamento è stato ingiusto.”

Cos’è la soddisfazione personale?

“La soddisfazione personale è l’arma in più che ti fa decidere di andare avanti, di sperare che un treno con un posto libero per te prima o poi passi. Io sono soddisfatto tutte le volte che riesco ad aiutare qualcuno a migliorare la propria condizione di vita, che qualcuno si rivolge a me pur sapendo che non sono più il quotato giornalista televisivo che ero fino a due anni fa. Essere tagliati fuori da un sistema mina la tua soddisfazione, ma ciò che più è dis-integrante è la paura di non essere in grado di sostenere la tua famiglia.”

Il tuo percorso fino ad oggi può essere definito positivo rispetto a cosa, guardando al futuro?

“Il mio percorso può essere definito positivo perché so fare meglio il mio mestiere, perché ho imparato ad ascoltare gli altri, perché grazie al lavoro sono riuscito a mettere in piedi una famiglia meravigliosa e una casa. Non so per quanto altro tempo la sensazione di soddisfazione e positività possa resistere, ma sto cercando di rivalutare le cose semplici della vita, quelle con le quali devi fare i conti quando pensi al tuo futuro e ti rendi conto di essere già ora un cosiddetto “nuovo povero”. Rifarei tutto però, comunque vada a finire e insegnerei a mio figlio a lottare e se proprio volesse fare il giornalista, a non credere che sia un lavoro possibile solo in un regime di sfruttamento e schiavitù.”

Antonio Loconte – biografia

Antonio Loconte, classe 1978, è un giornalista di strada, professionista dal 2003 dopo una lunga gavetta. Scrive, racconta, indaga e rompe le scatole a chiunque da 17 anni. Ha comunque più amici che nemici. Ha vinto il premio Michele Campione (sezione cultura) nel 2006 ed è stato segnalato nel 2011 (sezione cronaca). Ha lavorato per il Tg Norba e il canale all news Tg Norba 24; realizzato servizi televisivi anche per La7, TV e SAT 2000, Adnkronos. Alcune sue interviste sono andate in onda nei principali telegiornali delle reti Mediaset.
Dal 2005 e fino alla chiusura del giornale, ha collaborato con il free press Leggo, coordinando per un breve periodo la redazione di Bari; ha scritto per Corriere della Sera Salute, Il Messaggero, le iniziative speciali de La Gazzetta del Mezzogiorno e alcune riviste specializzate nelle due e quattro ruote. E’ redattore di Eco Motori ed Eco Motori Trasporti.
E’ direttore de www.ilquotidianoitaliano.it, é capitan loconte per www.cittadeibimbi.it; docente in diversi corsi di formazione sul giornalismo televisivo e gli uffici stampa. Si è occupato della comunicazione della Fiera del Levante; del Centro di Servizio al Volontariato San Nicola per la Provincia di Bari e della Federazione italiana muay thai. Nonostante i devastanti effetti della crisi e un numero ormai spropositato di giornalisti e presunti tali, crede ancora che questo sia il mestiere più bello del mondo.

 

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