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Senza avere l’illusione di imbrigliare la complessità del fenomeno dell’editoria digitale in una definizione perfetta o univoca, potremmo affermare che si tratta di una molteplicità di fattori e processi in continua evoluzione, e tra questi: la “produzione” di contenuti editoriali; la loro articolata elaborazione ai fini della commerciabilità; la loro distribuzione e, spingendosi oltre senza timore di uscire fuori tema, perfino la fase di fruizione del prodotto editoriale.

Il tutto realizzato, gestito, distribuito e soprattutto fruito attraverso tecnologie digitali. Su ognuno di questi fattori si è scritto e si continuerà a scrivere ancora a lungo e gli interrogativi aperti restano tanti ed in continua evoluzione. Ad esempio: quali sono gli strumenti che permettono alla rapida innovazione tecnologica di traghettare l’editoria nell’era digitale? In che misura questa evoluzione sarà capace di trasformare l’editoria dei prossimi decenni? Quali settori dell’editoria sono più sensibili ai cambiamenti dovuti alla disponibilità di nuove tecnologie? I contenuti sono disponibili in quantità sempre maggiori e talvolta meno controllati, la tecnologia aiuta oppure rende più complesso fruirne, anche se siamo “digitalmente educati”? Quali sono e che peso hanno gli effetti di queste rivoluzioni sull’ambiente? In che misura queste innovazioni trasformano i comportamenti, gli usi e i consumi dei singoli individui e delle rispettive relazioni sociali?
Pensando al pubblico più giovane è facile immaginare che prediligano gli strumenti tecnologici più evoluti per fruire dei diversi tipi di contenuti quali libri, quotidiani, riviste tematiche ed informazione in generale. Si va dalle ultime versioni dei tablet che, con appositi software, racchiudono le funzioni dell’ebook reader (libro elettronico), della navigazione internet, oltre alla possibilità di creare contenuti da condividere (testi, audio, video, foto e loro combinazioni); i vari tipi di lettori di ebook (che vanno dal più “egoistico” Kindle con formato di lettura esclusivo, limitando la condivisione dei contenuti, ai più universali ebook reader che condividono numerosi formati di lettura); i telefoni smartphone, sempre connessi ad internet e capaci di contenere decine di libri o leggere quotidiani e riviste in formato elettronico; i computer portatili ecc… ognuno con pregi e difetti non sempre oggettivamente identificabili. Aspetto secondario, che non di rado prende perfino il sopravvento, è una certa attenzione all’immagine che di sé l’individuo proietta sull’oggetto stesso, se pensiamo al mercato di cover, borse, accessori per auto e moto o persino prodotti per la cura maniacale di questi oggetti divenuti idoli.

Altra testimonianza dei piccoli cambiamenti comportamentali legati all’uso della tecnologia nella fruizione dell’editoria digitale è quella legata alla ricerca tematica delle informazioni sul web. Se cercassimo di informarci, ad esempio, su una determinata patologia, la prima ricerca che faremmo, avendo a disposizione un computer ed una sufficiente istruzione informatica, probabilmente sarebbe ingaggiata su internet dove troveremmo un mare di informazioni grazie ai motori di ricerca. Senza addentrarci nel capire i motivi dell’ordine con cui i motori di ricerca ci propongono i siti internet contenenti le informazioni ricercate (che magari potrebbero rispondere più a ragioni d’interesse economico degli sponsor, che ad una selezione della qualità dell’informazione), aprendo le prime pagine verremmo catapultati in contenitori con testi fiancheggiati dai banner pubblicitari del medicinale “adatto” a quella patologia, con dei link che rimandano ad altri testi e poi a delle immagini oppure a dei video e ad altri testi ancora che magari contraddicono le informazioni contenute nel primo sito visitato. Da simili piccole esperienze ripetute in vari ambiti, compresi quelli di propria competenza, è facile dedurre come l’abbondanza di contenuti scritti non filtrati con criteri di qualità da soggetti terzi rispetto ai “produttori di testi” sia servito solo a far perdere di vista l’orologio. Quante volte di fronte ad un computer, senza quasi rendersene conto, passano le ore alla ricerca di un informazione e poi, dopo aver letto tante cose, ci si chiede “cosa stavo cercando?”. Capita anche, più raramente a dire il vero, di far caso che a volte avremmo potuto trascorrere parte di quel tempo a fare quattro risate con gli amici anziché in compagnia dell’imperturbabile “amico pc”, a cui qualcuno da pure il nome per non sentire il peso dell’isolamento che queste abitudini producono.
In fondo, in un certo senso, anche il vecchio libro cartaceo è un mezzo di isolamento legato al relax dove tutta l’attenzione è assorbita, il più delle volte in modo esclusivo, dalla lettura, accompagnato solo dall’insostituibile odore della carta. Non così nel mezzo multi-mediale, dove la lettura può essere arricchita da un giusto mix di stimoli audio, video, fotografici oppure, di contro, disturbata o distolta da un bombardamento eccessivo degli stessi stimoli, che permette di spaziare e perfino interagire con altri utenti sugli stessi argomenti. Le due diverse esperienze potrebbero non essere altrettanto rilassanti.

L’elemento centrale di questo periodo storico di transizione tra la tradizione editoriale e la sua evoluzione nell’era digitale è, senza voler cadere in banali luoghi comuni, l’individuazione dell’obiettivo che tale passaggio deve perseguire: la diffusione dell’informazione, che diviene cultura diffusa, sarebbe il grandissimo risultato di una trasformazione accompagnata e guidata verso il miglioramento della società.
Uno dei passi importanti da compiere è spostare il baricentro degli sforzi e degli interessi sulla bontà dei contenuti più che sul puro business, (ad esempio scovando il miglior contenitore per diffonderli, sia esso cartaceo o digitale), senza però dimenticare che l’editoria è anche impresa ed in quanto tale deve ricavare, in ogni caso, i suoi giusti guadagni. Si potrebbe affermare, in questo senso, che il fine giustifica i mezzi.

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