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Tra le tipologie di vasellame costituente i reperti più diffusi rinvenuti sia presso i siti archeologici che sui fondali marini ci sono anfore vinarie di ogni forma e dimensione. Il termine quartara da solo riesce ad evocare molteplici significati: l’antichissima tradizione artigianale dei manufatti in terracotta in tutta la Magna Grecia, un’importante unità di misura variabile di capacità per carichi liquidi, un oggetto di uso quotidiano dell’antica civiltà contadina, un elemento decorativo ed anche uno strumento di folklore.

Non sono poche le tracce di questa antica tipologia di anfora ritrovate nell’area di Paestum, per quanto testimonianze ben più antiche rivelano un legame persino tra l’Homo Camerotensis e gli abitanti delle isole Eolie già in epoca preistorica; nei secoli successivi la quartara ha assunto dimensioni diverse a seconda dell’uso che se ne poteva fare: con o senza manici, ad una o tre bocche, usata per contenere acqua, olio o vino che, nella sua versione più piccola, veniva posta a tavola assolvendo al compito della giara; dal periodo normanno, attraverso la dominazione aragonese e sino all’annessione del Regno delle Due Sicilie la quartara aveva un’importante funzione nella commercializzazione del vino: una botte corrispondeva a 40 quartare, una salma e 16 quartare, mentre un barile era costituito da 2,5 quartare; si pensi che nel 1647 in Puglia, al fine di aumentare il ricavo derivante dai dazi sul vino, venne ridotto il volume contenuto da una caraffa a seguito del frazionamento della quartara che passò da 14, 5 caraffe a 16, come era già consuetudine a Napoli.

Essa dunque ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella quotidianità del Sud Italia da moltissimo tempo, d’altronde non era estraneo alla saggezza contadina che la capacità di traspirazione della terracotta con cui era fatta la quartara consentisse al liquido di evaporare lentamente, sottraendo così il calore al contenuto mantenendolo sempre fresco. La quartara dunque ha idealmente rappresentato quella sorta di paesaggio umano fatto dal via vai delle donne del Sud, chiamate “furmechelle” nel salernitano per quanto laboriose, le quali sbarcavano il lunario trasportando i pesanti otri sul capo, proteggendosi con la “cercina”, per portare acqua e refrigerio ad operai e braccianti di un’epoca quasi del tutto dimenticata. Sovente le quartare fanno oggi bella mostra di sé all’ingresso di ville di campagna e fungono anche da strumento musicale nelle feste popolari in Sicilia: infatti soffiandoci dentro emettono un suono cupo piuttosto caratteristico.

Grazie a Mario Mazzitelli, patron delle Cantine Lunarossa Vini e Passione, Quartara è oggi sinonimo di vino in anfora da oltre un decennio. L’azienda, ubicata a Giffoni Valle Piana alle pendici dei Monti Picentini, adotta una gestione sostenibile tanto in vigna quanto in cantina, tutelando e valorizzando il proprio territorio.

Il blend che compone il Quartara è a prevalenza di uva Fiano con una percentuale non superiore al 10% di Santa Sofia i cui vigneti, posti ad un altitudine media di 186 metri dal livello del mare, affondano le radici in terreni calcarei di origine alluvionale dalla matrice sabbiosa ed argillosa, con buona alternanza di breccia a granulometria variabile; le viti, allevate col sistema a guyot bilaterale e coi filari disposti in direzione est/ovest, si giovano delle particolari condizioni pedoclimatiche dovute alla presenza del Monte Licinici e grazie alla brezza marina proveniente dal vicino Golfo di Salerno.

Verso metà settembre gli otri di terracotta da 250 litri vengono colmati d’uva appena diraspata e, sul nascere della fermentazione alcolica innescatasi in maniera spontanea, poi rinchiusi con coperchi dello stesso materiale, studiati per consentire la fuoriuscita dell’anidride carbonica fermentativa e garantire una buona protezione dall’ossigeno durante tutto il processo di macerazione. Dopo tre cicli di riempimento una parte del vino nuovo viene fatto riposare nelle Quartare sulle sue bucce e fecce per un periodo variabile dai 60 ai 90 giorni, per essere poi travasato e passato in botti di rovere per due o tre mesi. Dopo ulteriori 9 o 10 mesi di affinamento viene imbottigliato senza filtrazioni, per affinare per ulteriori 10 mesi. Nessuna stabilizzazione e solforosa ridotta al minimo.

Il millesimo di questo anforato campano preso in considerazione, davvero “sui generis” per la forma ibrida di elevazione anfora-legno, è il 2009. L’annata in questione è risultata particolarmente umida ed ha prodotto condizioni fitosanitarie piuttosto complesse, per quanto sia stata caratterizzata da microclimi eterogenei sulle diverse parcelle; le precipitazioni avvenute in prossimità della vendemmia hanno rallentato la performance fenolica dei frutti, lasciando però dei buoni livelli di acidità. È bene altresì considerare che dalla “first edition” fino all’annata 2011 il Quartara veniva sottoposto ad iper ossidazione, una sosta in legno di ben 9 mesi ed altri 6 mesi in vetro.

Il Quartara 2009 sfoggia una complessa veste di antico giallo dorato con riflessi di ambra pura ed un accenno d’unghia verde topazio, una veste danzante che, vivendo di luce propria, comunica delle interessanti aspettative. All’inizio le sferzate iodate hanno incastonate in sé il profumo madreperlaceo dell’ostrica e di una gessosa mineralità, a cui segue il fruttato della mela cotta, della pesca sciroppata, dell’albicocca disidratata e del tamarindo, con note di burro di nocciola, cera d’api ed uno scampolo di mineralità che ritorna all’olfatto. La consistenza riscontrata all’esame visivo non tradisce le aspettative e rivive copiosa nel corpo del vino con appaganti sorsate scandite da nota glicerica, carezzevoli tannini ed un’acidità sorprendentemente vivace e capace di veicolare succose percezioni agrumate. Sublime corresponsione tra l’olfatto ed il percepito a livello gusto olfattivo che regala persino sensazioni da caramella toffee. Elegante equilibrio, sapido e persistente il finale. Una cernia di fondale infornata con patate e porcini al profumo di timo limonato saprà ripagare le speranze e le aspettative di una vendemmia per niente facile eppur superbamente interpretata.

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