Max Papeschi
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Nella “Phénomenologie de l’experience estetique”, Dufrenne coglie la dimensione sociale dell’arte attraverso la considerazione del “pubblico”, non solo inteso come insieme indistinto di individui, scorgendo analogie nel senso universale del termine, dove l’esperienza estetica si rinnova aprendo voragini in cui scorgere nuove chiavi di lettura.

Arte e Politica sono due istituzioni inserite e ben radicate nel nostro sistema sociale, e attraverso l’arte si instaura una nuova genealogia della verità.

Così il nostro itinerario si sposta verso un’Etica-politica e l’estetizzazione di essa. Questo è il primo pensiero analizzando l’opera di Max Papeschi, artista milanese, esponente di punta della Digital-art. Italiano e politicamente scorretto Max Papeschi, si pone come medium e ci invita nel suo mondo, coraggioso e irriverente della grafica contemporanea, divenuta un autentico prodotto artistico ed esposta in musei e gallerie delle più svariate parti del mondo.

Max Papeschi arriva alla digital art dopo esperienze legate al cinema, al teatro e alla televisione. Osservo queste icone pop che spaziano dai cartoni animati ai grandi dell’immagine, perdendo la loro natura per poi trasformarsi in messaggi potentissimi al culmine dell’utopia…

Max, come e quando nasce tutto questo?

Il mio approdo al mondo dell’arte in senso stretto è accaduto abbastanza recentemente, e in maniera del tutto casuale. Avevo creato nel 2008 una pagina su Myspace che doveva servire a promuovere uno spettacolo teatrale a cui lavoravo. Per dare forza alla pagina promozionale avevo realizzato con Photoshop delle immagini che rappresentassero il senso dello spettacolo che stavo scrivendo, una gallerista di Milano mi ha contattato e chiesto di esporle nella sua galleria, ho accettato e così è cominciata questa nuova avventura.

Le icone che utilizzi nelle tue immagini cosa rappresentano e perché scegli proprio queste?

Sono personaggi ancestralmente legati alla nostra infanzia, è come se fosse stata fatta una sorta di imprinting dal quale è molto difficile liberarsi. Il mio lavoro estremizza il concetto di “banalizzazione del male” già in atto nella società attuale. Le armi di banalizzazione di massa tendono a semplificare e “disneyzzare” la nostra percezione della realtà, personaggi ed eventi sono spogliati nella rappresentazione mediatica da qualunque complessità finendo inevitabilmente per assomigliarsi al punto da essere intercambiabili.

Il simbolo che valore ha nel tuo lavoro comunicativo/di comunicazione?

Fondamentale, in effetti il linguaggio pubblicitario e la propaganda politica prosperano e traggono la loro forza dai simboli. E se ci pensi, molte delle mie opere si possono descrivere come delle vere e proprie campagne pubblicitarie, provenienti da una realtà parallela tutto sommato possibile, se non probabile. Sono pensate come delle insegne propagandistiche alle quali mancano solo claim, body-copy e pay-off per essere complete; quello che vendono e promuovono sono i valori su cui si fonda la nostra società al netto di ipocrisie e menzogne.

Come vivi la censura, se mai hai avuto modo di scontrarti con essa?

Non ho mai avuto grossi problemi, a parte le inevitabili polemiche e gli attacchi da parte di alcuni critici e giornalisti sui media. Diciamo che in campo artistico è concesso più o meno di tutto, anzi spesso vieni incoraggiato a portare avanti provocazioni, a volte anche un pò forzate, cosa che non mi interessa, ce ne sono già troppi che lo fanno. L’unica auto/censura che mi impongo è quella dei miei limiti “personali” rispetto al buongusto, ma sono cosi lontani e sfuggenti che credo neanche si percepiscano.

Credi la maggior parte delle persone sia pronta ad affrontare il linguaggio che proponi o riesci a trovare una maggiore apertura da parte dei fruitori che si avvicinano alle tue proposte coraggiose e cariche di significati?

Quello che posso dirti è che ho cercato fin dall’inizio di realizzare dei lavori che fossero comprensibili ad un pubblico ampio e internazionale, non solo di addetti ai lavori, e in questo penso di essere riuscito abbastanza bene.

Sei cosciente del fatto che i tuoi lavori abbiano un forte stampo politico, o sbaglio?

Qualcuno ha detto: se non ti interessi di politica, prima o poi la politica si interesserà di te. E’ un’affermazione che condivido pienamente.

Dove possiamo trovare i tuoi prossimi progetti?

In questi giorni si può visitare la mia prima “antologica” al Castello del Valentino di Torino, curata da Caterina Musazzi e Telemaco Rendine una location stupenda, vale la pena di andare anche solo per vedere il castello. Poi dal 21 Aprile una buona parte della mostra si sposterà in un’altra location bellissima, l’Aurum di Pescara, la mostra sarà patrocinata dal comune di Pescara e sarà a cura di Roberta D’Intinoisante. Immediatamente dopo partirò per la Russia dove parteciperò ad una collettiva curata da Francesco Attolini per la Fondazione Rizzordi di San Pietroburgo. Nello stesso periodo dovrei partecipare a qualche fiera tra Monaco, Barcellona, Atene e Hong Kong.

Passati questi due mesi di fuoco mi piacerebbe poter tornare per qualche tempo in California dove rilassarmi e riprendere la collaborazione a un progetto multimediale iniziata quest’estate in occasione della mia personale a Città del Messico, ma è presto per parlarne…

Citare Dufrenne, “leggendo visivamente le immagini di Papeschi è venuto spontaneo non tanto per accentuare la politicizzazione dell’arte, bensì l’estetizzazione della politica se vogliamo.

Max Papeschi è riuscito con questo gioco di rimandi visivi a costruire una vera e propria avventura mediatica continua, raccontandoci attraverso l’uso dei suoi “manifesti” un mondo corrotto, consumistico e lontano umanamente.

Contact

www.maxpapeschi.com
info@maxpapeschi.com

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