Polismed 2011
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Roma (ITALIA)

Dal 20 al 22 ottobre 2011 si è tenuto a Roma il convegno internazionale Polismed, che ha riunito amministratori e pensatori della città del futuro.

Il progetto Polismed prende forma. Dopo un primo incontro a Napoli nel 2010, e tre incontri preparatori tra diversi amministratori pubblici, politici e rappresentanti della società civile. La tre giorni di Roma da inizio ad un progetto di “convivio permanente” tra alcune delle città più importanti del Mediterraneo: Roma, Barcellona, Beirut, Marsiglia, Tangeri, Tunisi, Istanbul, Algeri, Nicosia. Nei prossimi incontri si aspettano altre città, come Il Cairo che non è potuta presiedere in questa occasione.

Nella tre giorni di Roma, appoggiata dalla storica Fondazione Ipalmo (Istituto per le relazioni tra i Paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente), in stretta collaborazione con l’AUDI (Arab Urban Development Institute), si è parlato di un modello di città sostenibile: ecologicamente compatibile, orientata alla massima vivibilità. Dove le architetture sono studiate per un nuovo modello di vita: sano, pulito, socializzante. Dove i cittadini possono partecipare ai processi decisionali delle amministrazioni pubbliche. Dove la politica è direttamente coinvolta nelle trasformazioni pratiche dei territori, molto più di quanto non succeda nelle amministrazioni centrali. Paradossalmente, più cresce la volontà di creare unioni sempre più grandi, (europee o mediterranee), e più si rafforza la difesa dell’autonomia dei territori.

Per comprendere meglio il significato di questo congresso, abbiamo parlato con l’Arch. Cristina Colletti, organizzatrice dell’incontro romano.

Cos’è Polismed?

“Un laboratorio, apolitico, tra le migliori esperienze e professionalità che lavorano per sviluppare una nuova idea di città sostenibile”. “Polismed vuole aprire una finestra sul futuro, sull’enorme mercato per le piccole e medie imprese che si svilupperà nelle città del Mediterraneo”.

E’ un incontro che si conclude oggi, o è un progetto a lungo termine?

“Questo è solo il primo di tanti altri incontri. Abbiamo coinvolto molti protagonisti della vita politica, professionale, il mondo dell’associazionismo e della società civile, gli organismi intergovernativi come la Banca Mondiale, l’Unione per il Mediterraneo o ancora l’AUDI (Development specialist in Arab Urban Development Institute), e l’UNDP (United Nations Development Program)”.

Il convegno si è tenuto nella sontuosa ed importante cornice del palazzo della Farnesina, sede del Ministero degli Esteri italiano. Tangeri, in Marocco, sarà la città ad ospitare il prossimo incontro, la più occidentale della sponda sud, dove sta nascendo un Hub fondamentale per il futuro dei trasporti marittimi del Mediterraneo.

Si parla della Polis, della città del Mediterraneo: di come si è sviluppata fino ad oggi, e come dovrebbe invece essere trasformata e progettata nei prossimi anni. La città in sé, è un universo che presuppone sempre regole e modelli diversi rispetto ai piccoli centri o alle campagne, questo vale per tutte le città del mondo. Perché dedicarsi alle città del Mediterraneo? Perché questo territorio è sempre più interessante agli occhi di molti Paesi dell’occidente?

Per rispondere a queste domande è necessario fare una piccola premessa, e parlare di alcuni dati per capire meglio la situazione. I Paesi rivieraschi della sponda sud del Mediterraneo hanno vissuto un aumento straordinario della popolazione, in particolare nelle grandi metropoli. Il 2007 è considerato da molti l’anno di cambiamento. Per la prima volta nella storia, le città ospitano la metà della popolazione, e secondo le proiezioni statistiche entro il 2030 la percentuale salirà ai due terzi della popolazione dei Paesi della sponda sud. È una vera e propria rivoluzione: demografica, sociale, urbanistica. Questo è anche causa della crescente disoccupazione: l’aumento della popolazione non è corrisposto ad un aumento dei posti di lavoro, uno dei motivi scatenanti delle recenti rivoluzioni arabe.

L’Europa ha di fronte a se megalopoli con una popolazione di oltre 10 milioni di abitanti. Teheran, Il Cairo e Baghdad, ad esempio, ospitano il 25% di tutta la popolazione urbana dei loro Paesi.

Prendiamo spunto dai dati forniti nell’intervento di Cristina Colletti: “i Paesi MENA, (Middle East – North Africa), ossia gli Stati dell’area Nord Africana e del Medio Oriente (Maghreb, Maschrek, Penisola Arabica e fascia sub caucasica) ospitano una popolazione complessiva che supera i trecento milioni di abitanti, (170 milioni vivono in aree urbane). E’ attesa una crescita del 65% in dieci anni, con un aumento della popolazione rurale del 15% e un tasso del 90% della popolazione urbanizzata nei prossimi 20 anni, a fronte di una media del 78% nei paesi dell’Europa meridionale”.

Secondo le proiezioni al 2050, la popolazione del sud Europa diminuirà di 25 milioni, ci saranno più persone che vivono nei 12 paesi del Medio Oriente rispetto a quelle che vivono oggi nei paesi del sud Europa. Attualmente, la maggior parte delle città hanno una popolazione compresa tra uno e cinque milioni di persone, il 50% della popolazione vive nelle città con meno di 1 milione di abitanti. Negli ultimi 50 anni, città come Roma, Atene, Barcellona, Napoli, Marsiglia sono cresciute del 1,5-2 volte, rispetto alle 10-15 volte di città come Tripoli, Amman, Rabat e una crescita del 5-10 volte a Damasco, Beirut, Casablanca, Tel Aviv, Ankara, Aleppo. In pratica le città europee sono cresciute molto meno rispetto a quelle del sud.

Queste città dovranno entrare nella memoria collettiva, esattamente come New York o Parigi. Si dovranno tenere conto delle peculiarità delle grandi metropoli, come una sorta di città stato di medievale memoria. A questo proposito abbiamo intervistato il presidente di Ipalmo Gianni De Michelis, ex ministro degli esteri, da sempre interessato alla zona euro mediterranea.

Cosa è cambiato nella organizzazione delle relazioni internazionali nel Mediterraneo?

Il fenomeno della crescita esponenziale della popolazione ci costringe a ragionare in termini diversi, a guardare al futuro considerando i territori, piuttosto che i governi nazionali. Il centro della nuova società contemporanea, laica, moderna, sostenibile, si trova nell’aera urbana e urbanizzata. Lo spostamento di enormi masse di popolazione dalle campagne alle città presuppone un progetto urbanistico, sociale, e politico diverso. La parola più usata in questo congresso è decentralizzazione: dei poteri centrali verso le piccole amministrazioni, dalle decisioni nazionali a quelle locali, dai grandi movimenti nazionali ai partiti in versione locale e territoriale.

Dalle relazioni tra governi si è passati a quelle tra i sindaci?

I sindaci delle grandi città sono di fatto dei governatori, capaci di instaurare rapporti con altre città importanti. Un modo efficace per creare una rete di collaborazioni utili a progettare un futuro politico della zona euromediterranea. Se pensiamo ai grandi progetti come il Trattato di Barcellona, l’Unione per il Mediterraneo, ci accorgiamo che in larga parte sono falliti. Forse perchè si trattava di macro strutture, non adatte a realtà tanto eterogenee. Le città diventano centrali nello sviluppo di relazioni internazionali. Il futuro implica necessariamente un cambiamento di rotta nei rapporti tra Paesi, non più solo relazioni tra stati, tra governi, ma anche tra singole amministrazioni locali.

Le recenti rivoluzioni nei Paesi arabi, possono rallentare o facilitare i processi di cooperazione tra le sponde del Mediterraneo? L’Unione per il Mediterraneo ad esempio è sempre stata vista con estremo sospetto dalla Libia, ma adesso che Gheddafi non c’è più le relazioni saranno più facili?

Non possiamo dirlo ora, dipende anche dai governi che si instaureranno in quei Paesi. L’Unione per il Mediterraneo era un progetto molto ambizioso, per molti versi utile, ma era sbagliato il metodo. Prima di iniziare a firmare contratti di cooperazione, scambi di tecnologie, appalti ecc. bisogna creare le condizioni. Queste derivano da un continuo dialogo, da occasioni di conoscenza come questo congresso.

Le megalopoli della sponda sud del Mediterraneo sono diventate, in seguito ai fenomeni di sovra-popolamento eccezionale, campo di indagine per ricercatori, decisori politici, ambientalisti, urbanisti e di chi si occupa della qualità della vita. Sono i giganti demografici del futuro, e si troveranno ad affrontare sfide molto ardue, alcune note altre sconosciute. Problemi conosciuti, come quello delle enormi periferie, aumentate dopo l’aumento della popolazione. Il problema è riconvertire quella parte di città, rendendola parte attiva ed integrante della società. Queste enormi periferie (città dentro le città), sono abitate molte volte da stranieri, in larga misura clandestini. Una delle proposte è quella di superare queste differenze, rendere i cittadini tutti residenti, capaci di pagare le tasse e di aumentare la popolazione europea. I problemi principali però li devono affrontare le città della sponda sud.

Il primo problema da affrontare è: chi finanzia le infrastrutture necessarie a sostenere tale crescita? Sicuramente non basterà l’apporto del finanziamento pubblico, il futuro però non potrà essere la privatizzazione estrema. La soluzione che si cerca di ottenere in tutto il mondo, è una collaborazione tra pubblico e privato. Creare società miste capaci di gestire i settori chiave per lo sviluppo e per la gestione dei grandi servizi: distribuzione, gestione e depurazione delle acque, infrastrutture, servizi pubblici locali, trasporti, solo per citare alcuni esempi discussi durante il congresso. Si calcola che fino al 2030 saranno investiti 2000 miliardi di dollari per la costruzione di strade e linee ferroviarie nelle grandi città delle regioni MENA.

Una seconda priorità per la progettazione della città del futuro, è la sostenibilità: questo è un obiettivo fondamentale. Se pensiamo al numero attuale di abitanti e a quello previsto, ossia centinaia di milioni di persone che dalle campagne andranno a vivere nelle aree urbane. Il primo problema è quello della gestione, disponibilità e trattamento delle acque. Lo spiega perfettamente il prof. Jeorge Chatila (Water and environmental Technology Institute Beirut), quando parla della sua città e dell’intero sistema Libanese. In certi casi non sono i soldi il problema, ma l’educazione al risparmio dell’acqua e all’uso di depuratori nelle città. Ci sono diversi impianti mai messi in funzione a Beirut, perché la popolazione si oppone. Questo vuol dire che la sostenibilità deve essere un processo che deve coinvolgere il territorio e le popolazioni. Non si può imporre dall’alto un cambiamento, anche se necessario a vivere meglio. Si sfiora continuamente il disastro ecologico in queste grandi metropoli, ancora più grave è la situazione delle coste.

L’obiettivo per l’immediato futuro è quello della promozione di uno stile di vita sostenibile, di una cultura della qualità della vita. Stimolare i processi di produzione energia pulita e rinnovabile, la gestione efficiente delle risorse idriche, riciclo e trattamento dei rifiuti, urbanistica sostenibile, costruzioni ecologiche. Il futuro vedrà protagoniste le città nella sperimentazione di una nuova economia, che sarà un mix di green economy e innovazione tecnologica.

La terza fase è il cambiamento della governance: le grandi città hanno bisogno di un cambiamento dell’architettura amministrativa. La macchina burocratica dei comuni è assolutamente arretrata, troppo lenta per organizzare il lavoro in una società che corre velocissima. L’intervento del sindaco di Beirut, Bilal Hamad, lo evidenzia in modo esemplare. “Io non ho poteri pieni. Ogni volta che devo prendere una decisione, devo comunque aspettare il benestare di una commissione governativa che deciderà se finanziare o accettare un mio progetto. La commissione è composta da magistrati che devono decidere, ad esempio, su un progetto di urbanistica, dove evidentemente il parere non può essere dato da un uomo di legge”. Questo è solo un esempio tra i tanti, di “mala governance”. Un altro problema molto importante è la corruzione. Un fenomeno grave, che interessa vari gradi del potere, fenomeno che è comune a tutti i Paesi del Mediterraneo.

Ma certamente il futuro per queste città sarà determinato dal grado di cooperazione che si creerà con l’Europa. Lo sviluppo è qualcosa che interessa anche noi della sponda nord, e non dobbiamo pensare che le decisioni possano essere prese unilateralmente dall’Europa. E’ interesse reciproco, anzi lo sviluppo avverrà solo ed esclusivamente se si abbandonano le pretese colonialiste, mascherate da cooperazione.

La buona governance va di pari passo con la decentralizzazione dei poteri. Certo, non è la soluzione che risolve tutti i problemi. “Il potere locale, non deve rinchiudersi in se stesso, deve continuamente dialogare con il potere centrale, con altre amministrazioni. Le amministrazioni locali, ottenuti nuovi poteri, devono usarli per allargare la partecipazione decisionale anche alla società civile, al mondo delle associazioni, delle organizzazioni che vogliono dare un contributo alla costruzione di una socialità migliore” dice Arrnau Gutierrez dell’UCLG, che lavora per la provincia di Barcellona, dove porta avanti molti progetti di cooperazione e sviluppo per le grandi aree urbane. A questo proposito è importante citare il ruolo di Cittadinanza attiva, rappresentata in questa sede da Teresa Petrangolini. Questo tipo di associazioni di privati cittadini agiscono a livello internazionale, collaborano a pieno titolo con governi, regioni, amministrazioni locali, in una sorta di colloquio permanente.

Forse si è perso lo spirito iniziale, il coinvolgimento diretto dei semplici cittadini alle vere decisioni politiche, queste associazioni svolgono ormai un ruolo istituzionale. Potremmo dire che internet può essere il mezzo per la partecipazione politica diretta dei cittadini, come è avvenuto recentemente per le riforme costituzionali in Islanda.

Le sfide sono tante, ma ci sono molte capacità e professionalità pronte a mettere in pratica un futuro migliore. Il Mediterraneo è la culla della civiltà europea, dal punto di vista economico e culturale. Questi due aspetti sono inscindibili, devono correre di pari passo. È l’unico modo per ottenere successo, è l’unico modo per progettare un modello di sviluppo che sia sostenibile e soprattutto che renda partecipi le popolazioni interessate.

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