Cascina Macondo
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È inutile indagare le occasioni mancate.
Non sai mai se ti sei salvato dalla morte,
o ti sei perso la vera vita.
Margaret Mazzantini – Nessuno si salva da solo

È lecito pensare che chiunque venga privato della libertà, seppure per un giusto motivo, si strugga ogni giorno nel desiderio di trovarsi altrove, senza costrizioni, libero di volare via non solo con la mente o con la piacevole lettura di un libro. In passato la prigione aveva almeno una duplice funzione: punire qualcuno che aveva arrecato danno ad altri; permettere a quel qualcuno di pagare il suo debito nei confronti della società.
Oggigiorno a queste funzioni se ne aggiunge quantomeno una terza, quella di rieducare coloro che hanno difficoltà a rispettare le regole del vivere civile. Non sempre gli istituti di pena si mostrano all’altezza di questo difficile compito: reinserire nella società delle persone non nuove, ma sicuramente rinnovate nell’animo e nel carattere, richiede infatti un elevato impegno morale.
Gli esempi negativi saltano agli onori della cronaca più spesso di quanto non facciano quelli positivi – basti pensare al drammatico caso di Stefano Cucchi –. Eppure le buone pratiche non mancano. Una di queste è rappresentata dal progetto Parol – Scrittura e Arti nelle carceri – Oltre i confini, oltre le mura, approvato dalla Comunità Europea a febbraio 2013 e portato a termine nel 2015.
Il progetto è nato dalla collaborazione di cinque Paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, con lo scopo di utilizzare l’arte e la scrittura creativa per favorire la reintegrazione dei carcerati nella società. I punti salienti della mission erano i seguenti:

  • promuovere la responsabilità sociale dei carcerati per una loro inclusione e non esclusione;
  • promuovere la responsabilità sociale verso i carcerati;
  • promuovere la reintegrazione dei carcerati attraverso l’arte, in modo tale da risvegliare il rispetto verso loro stessi e favorire quindi un processo di crescita interiore.

In Italia sono stati coinvolti due istituti di pena, la Casa Circondariale “Lorusso-Cutugno” di Torino e la Casa Circondariale “Rodolfo Morandi” di Saluzzo (CN).
Un piccolissimo gruppo, se paragonato agli oltre cinquantacinquemila carcerati italiani. Questi “privilegiati” hanno seguito corsi di vario genere: dalla scrittura creativa (poesie brevi, come haiku e forme analoghe, e racconti), alla fotografia, ceramica, grafica, disegno, lavori con la cera e via dicendo.

La scelta delle forme d’arte verso cui veicolare l’impegno dei carcerati non è stata casuale. L’haiku, per esempio, è un componimento poetico molto breve (appena tre versi), nato in Giappone nel diciassettesimo secolo e divenuto di fama internazionale grazie al suo esponente più significativo, Matsuo Basho. In molti Paesi, dal Marocco al Senegal, nonché negli USA, questo genere poetico viene insegnato nelle scuole. Perché proprio questa forma di poesia? La risposta è stata fornita da Cascina Macondo, l’Associazione di Promozione Sociale di Riva Presso Chieri (TO), partner co-organizzatore del Progetto Europeo Parol:

“Cimentarsi con gli Haiku significa osservare il mondo con occhio attento. Costringe a liberarsi delle sovrastrutture, delle parole inutili e superflue. Ci spinge a “guardare” e soprattutto a “cogliere” l’essenza di un accadimento di cui siamo testimoni, la sostanza di una esperienza, il centro di una emozione. Poesia di semplicità, contenimento, profondità, concentrazione, essenzialità, bellezza. Una grande scuola di vita e di riflessione.”

Il progetto Parol rappresenta un grande passo avanti nella gestione della rieducazione all’interno delle carceri, prevista dalle leggi e dalla nostra Costituzione. Purtroppo è una goccia nell’oceano, soprattutto per quel che riguarda le carceri nostrane. Qualche anno fa l’Unione Europea ha condannato l’Italia per “sovraffollamento strutturale” negli istituti di pena. Non è la prima volta che accade, un’altra condanna è arrivata nel 2009. Ma i casi citati sono solo quelli che sono stati segnalati. Di fatto tutte le carceri italiane versano in pessime condizioni e quindi non sarebbero adatte neanche a contenere un ristretto numero di persone. A questo problema se ne aggiunge un altro, ancora più drammatico: il numero dei carcerati è in aumento, e spesso si cerca di limitare il sovraffollamento con l’istituzione periodica di provvedimenti come amnistia e indulto.
Questi non possono essere considerati delle soluzioni; rappresentano e manifestano tutta l’incapacità di gestire una situazione fuori controllo. Le persone non nascono per delinquere, nella maggior parte dei casi si tratta di uomini e donne cresciuti in situazioni di degrado familiare e sociale, in cui è totalmente assente il senso di giustizia e per le quali diventa quasi impossibile intervenire in ambienti come quello scolastico, che pure dovrebbe contribuire a formare persone migliori.
Prendono il sopravvento le leggi della strada e della sopravvivenza, il procurarsi di che vivere con qualsiasi mezzo, quasi mai lecito, e questo comporta un continuo viavai dal carcere alla libertà.
In un tale contesto è fin troppo facile comprendere chi abbia il triste primato di occasioni perdute. In Italia si spendono tanti soldi per progetti inutili e talvolta dannosi, mentre si continua a togliere fondi alla scuola e alla cultura, che sono fonti primarie di conoscenza e di elevazione morale e sociale. Svuotare le carceri con una pedata non significa reinserimento, bensì autorizzazione a ricominciare come prima. È un circolo vizioso da cui si può uscire solo con un passo indietro, per fa sì che, come nel caso del progetto Parol, l’occasione perduta di avere una vita degna di questo nome possa trasformarsi in una nuova occasione di riscatto, da cui ripartire per costruirsi una nuova identità. L’Italia dovrebbe prendere esempio da questo, ripartire da se stessa, dall’immenso patrimonio culturale, artistico e dalla gran voglia di fare delle persone che qui sono nate o che vi abitano, per ristabilire la sua integrità morale e per intraprendere quel processo di crescita umana ed economica che al momento appare come un miraggio. Non serve guardarsi indietro, bisogna avere il buon senso e la capacità di trasformare la salvezza dalla morte in vera vita.

Fonti:

Cascina Macondo

Parol

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