Gabbanu
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Intabarrato in ruvide vesti e lontano dall’odierno concetto di glamour, il bandito che una volta dettava la sua legge in terra di Sardegna nonostante tutto non era privo di stile e per virtù o per necessità era attento alla cura degli abiti. Inoltre non disdegnava gli accessori e generalmente possedeva una raffinata sensibilità per il particolare.

Il Museo del Banditismo di Aggius, unico nel suo genere nell’isola, dal 2010 custodisce gelosamente numerose testimonianze concrete sulla vita e sui gusti di tanti fuorilegge di allora e tra le quattro sale del caseggiato che fino ai primi del Novecento ospitava la pretura, nel cuore del paese e della Gallura, raccoglie cinque secoli di storia. Una storia di sangue e di orgoglio, di realtà e di leggenda, di arroganza e di onore, da non ripetere ma da ricordare.

Il visitatore si farà coinvolgere facilmente dal racconto esplicativo, incalzante e appassionato, di guide esperte e ospitali e riuscirà a pensare in movimento gli abiti esposti. Osserverà su gabbanu, il cappotto di orbace con cappuccio avvolgente, le ghette antirovi e le scarpe con suole lisce per non creare impronte, che costituivano l’abbigliamento essenziale nei giorni di normalità, quando il nero era il colore rigorosamente predominante perché considerato espressione di dignità. Lascerà correre la fantasia davanti a sa mastruca, il giaccone di pelle ovina indossato nei combattimenti per permettere la mimetizzazione, e capirà che niente veniva affidato al caso.
Lo sguardo fiero dei protagonisti di molti crimini efferati, immortalato in decine e decine di foto segnaletiche che animano le pareti, fa intravedere un’intelligenza acuta.

Sono immagini che mostrano volti spesso incorniciati da una folta barba, segno di troppe giornate passate alla macchia e indice di virilità e di riservatezza. Uomini e non solo perché l’esercito errante di irregolari era formato anche da donne dagli occhi di fuoco, forti e audaci, banditesse per libera scelta, già emancipate prima ancora che si iniziasse a parlare di emancipazione. E quelle soldatesse, pronte a tutto, erano avvezze all’uso delle armi. Le loro pistole, come conferma un pezzo esposto, erano più piccole e più eleganti delle altre. Dovevano essere utilizzate solo per lanciare avvertimenti, ma potevano uccidere e uccidevano.
In questo luogo della memoria la fragilità terrena si incrocia con la ferocia e ci sono catene, manette, fucili e moschetti, simboli di due diverse forme di giustizia, mai parallele e in continua lotta. In ogni cosa si rileva lo studio del dettaglio, frutto inconsapevole della vanesia umana di qualunque tempo o derivazione logica dell’esigenza di qualità.

L’importanza dell’estetica trapela con un fascino misto di prepotenza e di delicatezza specialmente dagli oggetti di Bastiano Tansu, nato e vissuto proprio ad Aggius. Il Muto di Gallura, reso indimenticabile dalla penna di Enrico Costa, era incapace di parlare. Aveva, però, una grande abilità artistica e a lui il Museo del Banditismo riserva una vetrina esclusiva. Ad attirare l’attenzione sono soprattutto i manufatti in legno intarsiato, un vistoso anello d’oro e l’immancabile cartucciera, cucita personalmente e ben rifinita per evitare inconvenienti in caso di bisogno. L’incontro con i rivali o con le forze dell’ordine non si poteva escludere in nessun momento e la reazione doveva essere tempestiva. In alcuni periodi le pene capitali, seppure apparentemente non temute, erano frequenti e non consentivano distrazioni. La scaltrezza, a piedi o a cavallo e persino durante le ore di sonno, era quindi indispensabile.

Nelle varie stanze trovano spazio anche tanti documenti emessi dagli uffici giudiziari dell’intera isola e il famigerato pregone del viceré Francesco Ludovico Costa, che nel 1766 minacciava di radere al suolo Aggius e di disperderne gli abitanti, «dediti a ogni genere di delitto». E così pericolosamente ingegnosi da coniare con indiscussa maestria monete false da far circolare negli angoli più remoti d’Europa.

Il Museo del Banditismo, ricco di suggestioni antiche, regala a chi lo desidera un viaggio nel passato. Per visitarlo contattare la Cooperativa AGIOS, che lo gestisce, al numero 079621029 o dare uno sguardo al sito internet del vicinissimo MEOC (www.museomeoc.com), che rappresenta lo spazio espositivo di carattere etnografico più grande della Sardegna.

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