L'oro nero dei petrolschiavi
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di Maria Melania Barone

Dopo l’esperienza di Falconara, Viggiano e Rotello, un viaggio nelle terre italiane degradate e distrutte dalle trivellazioni che hanno completamente messo in ginocchio l’economia agricola, il turismo e il settore immobiliare con conseguente disagio sociale e occupazionale degli abitanti, incremento di tumori, malattie genetiche e malformazioni fetali.
L’obbiettivo è scongiurare la miseria generata dal petrolio, capace di interessare tutti i settori sociali e che, col buon assenso della politica, si sta facendo largo anche sulle coste Abruzzesi.

FALCONARA – Gli dicevano che sarebbero diventati ricchi, i più ricchi. Avrebbero prodotto la materia prima per eccellenza: il petrolio che è alla base di tutto in questo sistema capitalistico e questo l’uomo medio lo sa. Lo sa perfino il contadino che vede svalutati i suoi raccolti gradualmente, ogni anno. Lo sa il produttore del latte sottomesso alle sue quote e pagato 29 centesimi al litro. L’uomo medio ha anche il sentore che il sistema capitalistico in cui è nato e cresciuto e da cui trae fonte e sostentamento tenta di rimanere in alto aggrappandosi con le unghie ad ogni appiglio. Ed effettivamente è vero. Tuttavia se ti dicono che accettando potrai diventare ricco, tu puoi anche pensarci. Così, tra lo scetticismo e l’ignoranza, tra la tentazione e la paura, magari finisci per cedere.

Poi ti accorgi che il tuo paese cambia: cambia il paesaggio, l’odore nell’aria, il sapore dei frutti, cambia perfino l’acqua. Lo sanno bene quelli di Falconara che siedono in mezzo ai prati sconfinati con le fiaccole delle raffinerie al posto delle stelle. I centri di estrazione dell’API che riempiono l’aria di tonnellate di sostanze inquinanti e di puzza di uova marce. L’agricoltura ed il turismo, uniche fonti di sostentamento ed economia di questa terra, sono distrutte.

Ma ormai non si può più combattere. La politica ha scelto e la gente sta morendo, sempre, tutti i giorni, nell’indifferenza della classe dirigente, nell’indifferenza di buona parte della stampa. Le case svalutate del 70% non si affittano neanche più, né d’estate, né d’inverno. Ogni giorno qualcuno scopre di avere il cancro e mentre il suo corpo brucia di miseria, la fiaccola della raffineria continua ad ardere.
Ma il cervello del contadino è astuto e, se il vino non viene buono e le piante si ammalano, sa a chi dare la colpa: “a quella fiaccola” ! Il contadino è arrabbiato perché vede mangiare l’erba contaminata dalle sue pecore sempre più malate e moribonde.Tutti i cittadini comincino a dare la colpa alla fiaccola che arde. Ma quale colpa? A Falconara qualcuno ingenuamente confessa: “ci hanno preso in giro tutti, ci avevano detto che saremmo diventati ricchi come in Basilicata!”. E’ vero! Era questo l’inganno! Ma a Falconara non potevano sapere che in Basilicata, a Viggiano, sono solo ricchi di paura. Paura di morire, come i loro padri o i loro amici, morire di cancro a 15 anni, morire soffocati in un incendio. Hanno paura quando quella fiaccola raggiunge 70 metri di altezza e fa un rumore infernale rilasciando un odore che annulla l’olfatto. Questi uomini si son riscoperti poveri con l’inganno. Pieni di promesse politiche mai mantenute. La terra non produce più ed “i fanghi e i fluidi perforanti che si usano per trivellare e ammorbidire la roccia, sono composti di sostanze inquinanti che hanno la capacità di infiltrarsi nel terreno e nelle falde acquifere” che tutti bevono e con cui tutti si lavano, pagandola oggi anche a caro prezzo. Lo dice Maria Rita d’Orsogna che lavora come ricercatrice e docente presso la Los Angeles University at Northridge, in California.

La strage di Porto Marghera riecheggia ancora nella mente di chi ricorda la storia del petrolchimico tristemente famoso per aver causato la morte di oltre 200 lavoratori. Grazie a Gabriele Bortolozzo, un dipendente del petrolchimico, che riuscì a portare in Tribunale 27 dirigenti di colossi come Montedison, Eni, Enichem e Montefibre che si sono alternati alla guida del petrolchimico causando la morte di oltre 200 dipendenti e, per questo, condannati per strage colposa, disastro ambientale e violazione delle norme dello statuto dei lavoratori e costretti a pagare 71.551 miliardi di danni. La sentenza fu emessa dal giudice Felice Casson che aprì l’inchiesta.
ROTELLO – Proseguendo per l’Italia petrolifera arriviamo a Rotello che “vanta” una centrale di lavorazione del petrolio, la “Centrale Agip” o “Centro Olio del Torrente Tona”, insediata nel bel mezzo di terreni agricoli, allevamenti e produzioni artigianali di beni alimentari. A Rotello non esistono piani di evacuazione in caso di incendio, il cui rischio è elevatissimo e si è registrato un incremento di tumori pari al 1000 %.

Abruzzo – Disastri vissuti in molti posti, ma in Abruzzo per fortuna non ancora. La regione verde d’Europa, dove il 30% del territorio è riserva naturale o parco nazionale protetto, è ancora libera e felice. Una regione tranquilla, forse troppo spensierata per questo sistema che medita nell’ombra e segue piani precisi. Infatti, la chiamano “Regione Camomilla” perché, secondo le lobbies, la reazione del popolo è minima e dunque è “a basso rischio politico”.
Sei ad Ortona e non capisci perché mentre gusti quelle prelibate pietanze pasquali e sei felice, improvvisamente spunta in mezzo al mare una torre di ferro, larga ed alta, piena di tubi e circondata da barche. In un paese dove le opere pubbliche si sa, durano anni! Ma quella costruzione in mezzo al mare, alta e profonda è spuntata in tre giorni.Poi nei più ristretti ambienti comincia ad echeggiare uno strano nome, “Centro Oli”, che inganna perfino il regista e documentarista Antonello Tiracchia il quale afferma: “credevo si trattasse di un centro dove si lavora l’olio di oliva di queste parti che è ottimo”. Ma se all’agricoltore si chiede: “mi scusi, mi sa dire dov’è il centro oli?”, la risposta è sempre la stessa: “non esiste”. Eh già, non esiste il Centro Oli perché, per ora, è solo un progetto, un progetto che sta diventando realtà con la stessa indifferenza politica e gli stessi inganni che fluttuavano a Falconara e a Viggiano. Infatti “oli” è solo l’italianizzazione dell’inglese “oil” che significa petrolio. Petrolio, come a Falconara, come a Viggiano, come a Rotello. Qui però il piano è diverso: bisogna dire il meno possibile al popolo della Regione Camomilla. Gli Abruzzesi adorano la loro terra e, per questo, se non dovessero approvare il progetto? Sarebbe un dramma per l’ENI che in Abruzzo ha concessioni da circa 30 anni. Un progetto che non ha intenzione di rimanere fermo ad Ortona. Ortona, infatti, è solo la prima tappa: la trivellazione del petrolio dovrebbe estendersi lungo tutta la costa abruzzese fino alla costa teramana. Paesi che vivono di agricoltura, pesca e turismo. Aree protette dove ultimamente è anche vietato pescare alcuni frutti di mare.

I movimenti come “nuovo senso civico”, “no petrolio”ed altri ancora, stanno provando a dispensare ai comuni quelle informazioni che non hanno ricevuto certamente dalla Regione. Soprattutto la figura centrale di questa aspra lotta di informazione è la fisica californiana di origine italiana: Maria Rita d’Orsogna. I congressi sono tanti e si svolgono da ben tre anni, ma è ancora troppo poco. Si corre contro il tempo raccogliendo firme con la speranza che queste almeno, possano fermare le trivellazioni da Ortona in su. Ma in Italia si sa, le firme giacciono nei cassetti. Quello che era il potere del popolo è diventato potere della casta. I media non raccontano nulla di ciò che è alla base del futuro della vita economica, fisica e sociale dei cittadini.
Il petrolio italiano è di qualità scadente. E’ ricco di zolfo che lo rende pesante e ricco di particelle di carbonio che ostacolano la produzione di benzina. Per questo, al momento della lavorazione, si susseguono emissioni di idrogeno solforato, principale causa di tumori e di atrofia cerebrale, amnesie, leucemie, malformazioni fetali, mutazioni genetiche di vario tipo, compromissione dello sviluppo e funzionamento del sistema nervoso nei bambini.

Il Prof. Kaye H. Kilburn, scienziato e medico americano, specializzato sulle patologie causate dall’inquinamento umano e considerato il maggiore esperto a livello mondiale delle patologie e danni prodotti dall’idrogeno solforato afferma: “Non ci sono modi per difendersi dall’idrogeno solforato. Accade tutto in millesimi di secondo perché il danno si verifica nello stesso istante in cui l’idrogeno solforato entra nel corpo. Non c’è niente che si possa fare per disintossicare, mitigare o rimediare i danni prodotti dall’acido sofidrico: sono danni permanenti. E’ incompatibile per la vita umana avere un impianto di desolforazione. La decisione deve essere presa: o la vita delle persone o trivelli e desolforazione! E’ triste che in Abruzzo il petrolio sia ricco di zolfo, perché così si avrà più idrogeno solforato. Anche se tutto dovesse funzionare bene i pericoli legati alla presenza di zolfo rimangano. Spero che ci sarà una grande opposizione contro questo progetto e che altri progetti simili vengano osteggiati. Penso che l’Abruzzo sia un territorio troppo prezioso per trasformarlo in un campo petrolifero”.

“L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)” – afferma la dott.ssa d’Orsogna- “fissa i parametri di idrogeno solforato a 0,005 parti per milione, come limite massimo tollerabile dall’uomo. In Italia, con un decreto ministeriale del 1990 invece, viene stabilito un limite per le industrie non petrolifere pari a 5 parti per milione, mentre le industrie petrolifere fissano un limite di 30 parti per milione: seimila volte di più”. I risultati di questa scelta sono sempre gli stessi: cancro e malformazioni fetali.
Ricchezza e occupazione, sono le promesse fatte in Abruzzo ai tempi della fase progettuale del Centro Oli. All’epoca, l’ex assessore all’ambiente per la Regione Abruzzo, Franco Caramanico, affermò che aveva provveduto “a rilasciare un nulla osta che riguardava la compatibilità paesaggistica”. La politica ha detto che il Centro Oli sarà l’occasione di un grande sviluppo per la regione perché consentirà la creazione di migliaia di posti di lavoro e ricchezza per tutti. Ma il responsabile ENI dell’unità di Ortona, l’ingegner Vincenzo Fiorillo, ha dichiarato all’Università di Pescara che il Centro Oli porterà solo 29 posti di lavoro riservati a tecnici provenienti da fuori regione mentre agli abruzzesi spetterebbero posti presso aziende subappaltatrici e con contratti a termine. Non possiamo dire che abbia torto, dato che un documento rilasciato dal Ministero della Ricerca, dello sviluppo e delle politiche sociali e condotto da Pietro Taronna, ha evidenziato che il settore di estrazione del petrolio ha subito dal 1991 al 1997 una caduta del 20%. Da quel momento il settore ha presentato una costante riduzione annuale dell’occupazione dell’8.5%. L’ENI nello studio di impatto ambientale ha scritto quanto segue: “Il costo economico ed ambientale, benché quantitativamente reversibile nel lungo periodo, sarà dunque pagato integralmente dall’economia agricola locale”. Ciò, tradotto in altri termini, significa che sarà l’agricoltura e la pesca a rimetterci con la perdita di migliaia di posti di lavoro.

L’inquieta politica abruzzese comincia con lo scandalo Del Turco, ex Presidente della Regione Abruzzo coinvolto nella speculazione su appalti e mazzette che fece cadere la giunta di centro sinistra. Ma come si dice, “non tutto il male vien per nuocere” ed infatti qualcosa di buono la giunta Del Turco la fece: nel 2008 firmò una moratoria anti-trivelle che sarebbe stata valida fino al Dicembre 2009. Fu promossa dunque, la legge regionale n.14 del 15 Ottobre. Ma la giunta Del Turco cadde ed il 15 Dicembre 2008 fu eletto Gianni Chiodi poiché gli abruzzesi avevano apprezzato la sua “posizione contraria al Centro Oli”. Prima delle elezioni aveva dichiarato “io l’obbiettivo l’ho raggiunto, il Governo centrale ha già detto no al Centro Oli, dunque quando sarò Presidente della Regione si chiuderà formalmente il capitolo”. Era molto convinto Chiodi se dopo essere stato eletto ha affermato “Il Centro Oli non esiste, l’opposizione sta evocando un fantasma”. Se lo auguravano in molti che il Centro Oli fosse un fantasma! Così Berlusconi fece un sondaggio prima delle elezioni da cui emerse la forte contrarietà degli abruzzesi rispetto alla petrolizzazione. In seguito il premier venne a Pescara per dichiarare agli abruzzesi la sua contrarietà. Incassati i voti e conquistata anche la Regione Abruzzo, dopo 3 giorni dalle elezioni, il 18 dicembre 2008 il governo impugnò la legge regionale n. 14 del 2008 che bloccava la petrolizzazione d’Abruzzo, dichiarandola incostituzionale.

Rimonta la protesta popolare. Nel Gennaio 2009 l’assessore all’agricoltura, Mauro Febbo, propose una legge che innalzava di qualche punto percentuale le royalties che le compagnie petrolifere avrebbero dovuto pagare alla regione quantificate in 7% a terra e 4% in mare, rispetto a quanto dichiarato dalle stesse compagnie poiché, secondo la legge italiana, l’ente estrattore è anche l’ente certificatore. Di questo 7% solo il 13% spetterebbe alla Regione e lo 0,74% ai comuni interessati. Ci si proponeva dunque di innalzare leggermente la percentuale di guadagno della Regione. La legge fu propagandata nel Marzo 2009 come un metodo che avrebbe distrutto le compagnie petrolifere, ma venne subito ritirata per la forte opposizione popolare. Per i cittadini questa proposta sembrava più un atto di negoziazione che un atto di resistenza così, per dare il buongiorno alla giunta Chiodi, scesero in piazza in 5000! Il 18 dicembre 2009, viene promulgata la legge regionale n.32 dalla giunta di destra che tutela le zone di pregio, vitivinicole, agricole e sismiche – in pratica tutto l’Abruzzo – dalla produzione, coltivazione, estrazione e raffinazione solo di idrocarburi, non di gas. Ma questa legge viene dichiarata ancora una volta incostituzionale dal Consiglio dei Ministri il 4 Febbraio. A questo puntoChiodi afferma: “la competenza, per quanto riguarda queste cose, è nazionale e non regionale”. C’è da chiedersi allora, perché il Centro Oli è stato oggetto della sua campagna elettorale! Così continuarono le lotte popolari e stavolta andavano verso due direzioni: una era la Regione, l’altra Roma. La giunta Chiodi propose una legge in cui si proponeva una multa di 50 euro ad ettaro di coltivazione di petrolio. Di recente Chiodi ha affermato che è stato stipulato un accordo con il Governo che difende l’80% del territorio abruzzese dall’estrazione del petrolio. Ed il restante 20%? E la lavorazione del petrolio? E l’estrazione dei gas estesa in tutto il territorio che comporterebbe comunque delle perforazioni? Queste sono le domande che si pongono i cittadini e la professoressa d’Orsogna. Il popolo rifiuta questi metodi e continua a manifestare il proprio dissenso. Mentre l’Aquila supplica il Governo per una pronta ricostruzione, l’Abruzzo lotta per salvare il suo territorio. Una lotta contro il tempo, una lotta contro tutto.

Le compagnie petrolifere che vogliono aggiudicarsi l’Abruzzo sono diverse. Come spiega la dott.ssa d’Orsogna, L’ENI ha le concessioni in mare sin dagli anni 70/80 ed ha ceduto molte di queste ad altre compagnie più piccole perché troppo rischiose e sconvenienti. Così sono subentrate la MedoilGas, Petroceltic, EdisonGas, VegaOil e l’Adriatica Idrocarburi che fa parte sempre dell’ENI. Spesso nei consigli di amministrazione delle compagnie minori ci sono ex membri dell’ENI. La Medoilgas, azienda inglese che ha avuto la concessione della piattaforma di sperimentazione Ombrina 2 costruita sulla Costa dei Trabocchi, pur non avendo i soldi di gestione e, dunque, i soldi per affrontare un eventuale incidente, prospettiva verso cui afferma: “ci sono venti metri di mare che rendono tutte le operazioni molto più semplici”. Tale piattaforma potrebbe entrare in funzione già nel 2013 per l’estrazione di petrolio e gas.

Ma la trivellazione non impoverisce soltanto i cittadini determinando la svalutazione delle case o distruggendo pesca e agricoltura. Mette a rischio la stessa vita dei cittadini con emissioni di gas e soprattutto aumentando il rischio sismico. Afferma la prof.ssa d’Orsogna: “In giro per il mondo ci sono zone non-sismiche che lo sono diventate dopo le estrazioni petrolifere. In Russia ad esempio, alcune scosse del grado 7.3 della scala Richter sono state direttamente attribuite alle trivelle per stessa ammissione dei petrolieri; in Indonesia un vulcano continua ad emettere fango grazie a perforazioni risalenti al 2004. Ci sono anche teorie secondo cui lo tsunami asiatico è stato amplificato dalle estrazioni di quasi 10 milioni di metri cubi di petrolio in Indonesia da parte della Exxon-Mobil”.Intanto la camera dei deputati ha approvato il Disegno di legge 1441, che sottrae alle Regioni e ai Comuni la valutazione di impatto ambientale in relazione alle concessioni di estrazione petrolifera.

Il sistema capitalistico soffoca e cerca di allargare sempre più lo spiraglio tra le tonnellate di rifiuti che ha prodotto, per poter respirare ancora un po’ mentre tutti affondano. Nonostante le raccomandazioni europee all’Italia di incrementare del 30% la costruzione di fonti di energia rinnovabile come il solare, l’Italia non sa dire di no alle multinazionali francesi e inglesi che vengono a guadagnare nel nostro paese, dopo che queste tecnologie stanno mano a mano scomparendo nel resto del pianeta.

Le associazioni si stanno battendo per fare informazione. Infatti il diritto comunitario e quello internazionale consentono ai cittadini e alle associazioni di potersi esprimere su questioni come quella di idrocarburi.Un passo importante dunque, che vede i cittadini per la prima volta protagonisti di una lotta per la vita, una lotta per evitare la miseria: la povertà di salute, di cibo, di acqua. Solo grazie a questi congressi e alle ricerche della professoressa d’Orsogna i cittadini abruzzesi sono venuti a conoscenza del loro destino. Ed è su questa nuova consapevolezza che oggi i politici ritrattano le tesi formulate in precedenza.

La soluzione per qualsiasi genere di lotta in Italia resta l’informazione, quella che oggi tentano di toglierci. In Italia è la politica che dovrebbe dare spiegazione delle proprie azioni, delle proprie scelte, visto che “fare politica” significa “fare una scelta” ma, al posto dei politici, le spiegazioni le danno i giornalisti, quelli di razza che, si sa, sono in via di estinzione.

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