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Inizierei da una divisione immediata. Cosa intendiamo per confine in natura, e cosa intendiamo per confine per l’uomo. Semplicemente mi verrebbe da dire che il confine esiste in natura per uno scopo, che è per l’appunto quello di essere superato.

E siccome così come avviene in natura così avviene nell’uomo e nella società, potremmo anche dire, senza insicurezza, che il superamento del concetto di confine è alla base della nostra intera società della comunicazione. Ma tralasciando i confini naturali, e soffermandomi sull’uomo, direi che è l’uomo stesso che per natura crea i suoi confini, tendendo alla diversificazione continua, alla catalogazione del reale, all’identificazione delle diversità al fine inconscio di riconoscerle e riflettere così la sua immagine in queste.

Quello che accade però, è che nel momento esatto in cui l’uomo crea queste distanze, per l’appunto i confini, a volte, per la sua stessa natura, ha contemporaneamente bisogno di superarli, e spesso questo avviene in nome di quell’atto che racchiude in sé il superamento di ogni confine possibile, stiamo parlando dell’atto comunicativo. Partendo quindi dal concetto di confine linguistico e quindi comunicativo, mi sono imbattuta nelle lingue pidgin, o meglio, nei linguaggi pidgin, chiamati linguaggi e non lingue poiché con questo termine non si intendono lingue propriamente strutturate, tranne che per alcuni casi molto rari, ma agglomerati di lingue con dei limiti soprattutto sintattici, che attraverso il parlato dei comunicatori in un determinato luogo si uniscono creando un nuovo codice che superi appunto il confine, o barriera linguistica, in nome di una volontà comune, o di una necessità, che può essere, a seconda dei casi, la convivenza in un luogo, una finalità commerciale, oppure semplicemente un’ incontro tra due popoli in un luogo terzo.

Ma non vorrei soffermarmi sul processo linguistico in sé, vorrei invece riflettere sul possibile superamento del concetto di confine linguistico in un luogo come il Mediterraneo, dove sono sorte, nate, e convissute decine e decine di lingue, alcune derivanti dalle stesse radici e quindi più propense alla vicinanza, altre invece estremamente distanti. Le lingue pidgin si dice che abbiano avuto origine nella Cina dell’antichità, anche se si tende a ricordare maggiormente quelle derivanti dall’inglese e quindi le sue derivazioni. Ma bisogna anche ricordare, a volte, che prima dello spostamento dell’asse commerciale del mondo nell’Atlantico, e quindi dell’avvento della supremazia dei linguaggi anglofoni, il luogo degli scambi e del commercio era un altro, il mediterraneo, e anche li nacque una lingua pidgin. Ed ecco che qui la storia, con la sua immensa fantasia ha spiazzato la mia, dando subito un nome alle mie divagazioni.

Siamo nel medioevo, epoca delle crociate, in un arco di tempo che comprende tutto il XIX secolo, e proviamo a immaginare una lingua che possedeva in sé i semi delle culture del mare, della vita al largo, che aveva il sapore della pirateria saccheggiatrice, della schiavitù ma anche del tentativo di sopravvivenza, quello dei pescherecci romantici, e quello commerciale dei mercanti in cerca di fortuna. Una lingua di frontiera, aperta, di mare, una lingua oltre confine, che riusci a diffondersi anche in zone lontane dal mediterraneo, e che a questo diede la sua fortuna. Una lingua che nella storia viene ricordata con più di un nome, poiché possedendo un bacino linguistico essenzialmente parlato, si modificava in base agli stessi parlanti e in base ai luoghi nei quali veniva utilizzata. Ricordiamone qualcuno. Il primo nome che va ricordato è il Sabir che deriva dal catalano e significa sapere, poi abbiamo le petit mareusque che in francese significa piccolo franco marinaro, e ancora, lingua franca del mediterraneo, ferenja, alijamia, e molti altri. Si trattava di una lingua a forte prevalenza italiana, veneziana, e spagnola, ma che riusciva a inglobare in se i più diversi linguaggi, arabi catalani greci occitani turchi ecc. Un accordo a viso aperto, un incontro, un patto, di questo parliamo quando parliamo del Sabir, o ancora meglio, potremmo anche definirlo come un unico bacino comune tra lingue estremamente diverse tra loro, in un luogo estremamente ampio ed estremamente diversificato.

Non saprei definire meglio di così il superamento di un confine o barriera linguistica. Nonostante la sua scomparsa sia stata decretata ormai più di un secolo fa, tante sono ancora le testimonianze che si nascondono, nei vocaboli della tradizione marinaresca, nei dialetti, in luoghi che neanche immaginiamo,, in alcuni generi musicali, nelle storie antiche, ma soprattutto nelle persone che continuano a cercare da qualche parte, quei suoni di mare oltre confine, perduti nel tempo.

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