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L’acqua ha un’importanza fondamentale per l’uomo e la natura, ma se da un lato l’acqua è dispensatrice di vita e oggetto di culto in quasi tutte le civiltà ed epoche storiche, essa presenta anche un lato oscuro e insidioso che porta distruzione.

Il brodo primordiale da cui è emersa la vita è, in un’accezione negativa, simbolo di quel caos da cui la civiltà è venuta fuori ma in cui è possibile ricadere.

Fin dai miti più antichi, infatti, l’acqua viene rappresentata come simbolo di morte; nella geografia dell’Ade, giunta fino a noi dalla mitologia classica e ripresa da Dante nella Divina Commedia, non mancano corsi d’acqua funesti. L’Acheronte, o fiume del dolore, viene nominato per la prima volta da Omero nell’Odissea: figlio di Helios e Gea, fu condannato da Zeus a scorrere sotto terra per aver dissetato i Titani ribelli. Nell’Inferno dantesco, la livida palude viene attraversata dal traghettatore Caronte che con la sua barca trasporta le anime dannate verso le tenebre etterne.

Lo Stige, altro fiume degli inferi ripreso da Dante, ammorba le fangose genti – iracondi e accidiosi – con le sue acque melmose. E poiché per la legge del contrappasso ogni peccato commesso in vita viene punito nell’inferno dantesco con una pena analoga a ciò che il peccatore aveva inflitto ad altri, nel caso dei violenti contro il prossimo, che desiderarono il sangue altrui, la punizione dopo la morte fu di macerare nel bollor vermiglio del Flegetonte.

Come sappiamo, la mitologia pagana influenzò non poco l’elaborazione dell’opera dantesca, ma l’idea del potere distruttivo delle acque è presente anche nel Cristianesimo: il diluvio universale travolge tutto ciò che incontra, con l’eccezione dell’Arca di Noè e dei suoi passeggeri, salvi per volere divino. Anche la fuga di Mosè dall’Egitto vede l’acqua protagonista: il Mar Rosso si apre per far passare gli Ebrei, per poi abbattersi con violenza sugli Egizi, rei di aver ridotto in schiavitù il popolo eletto.

Ancora, nella letteratura moderna gli esempi dell’acqua come teatro di morte sono innumerevoli: nell’Amleto di William Shakespeare la morte di Ofelia avviene in acqua, mentre nel romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga il mare assume la duplice valenza di fonte di sostentamento, essendo i protagonisti pescatori, e di portatrice di disgrazia, con la morte di Bastianazzo in seguito al naufragio della Provvidenza. Qui la morte nell’acqua non è solo quella fisica dello sfortunato ma anche quella simbolica dell’intera famiglia, a cui il mare amaro strappa il poco che aveva per sopravvivere.

In altri casi l’acqua è il tramite di una morte possibile a causa di esseri mostruosi che in essa vivono. Basti pensare ai kraken di Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne o al mostro Chtulhu che dorme sul fondo del mare nei romanzi di Lovecraft. Se in questi casi si tratta di opere di fantasia, in molti hanno parlato di strani avvistamenti nel lago Loch Ness, in Scozia, ma nessuna delle prove addotte si è dimostrata valida.

Tristemente famoso è anche il Triangolo delle Bermuda, le cui acque avrebbero ingoiato navi e aerei. In realtà le ricerche non hanno fatto emergere sparizioni anomale rispetto ad altre zone oceaniche. Quel che invece è assodato è che l’acqua, con la sua indomabilità, è da sempre luogo di morte, sia nella realtà, sia nella fantasia dell’uomo.

Innumerevoli sono le rappresentazioni anche in ambito artisticoIl Naufragio della Speranza di Caspar David Friedrich e Il Naufragio di William Turner sono solo due esempi di opere pittoriche raffiguranti acque portatrici di morte, in cui viene simboleggiata la solitudine dell’uomo e la sua impotenza nei confronti della natura.

La Zattera della Medusa di Théodore Géricault, invece, rappresenta un fatto realmente accaduto in Mauritania nel 1816 quando, a causa di negligenze da parte del comandante della fregata francese Méduse, più di cento persone imbarcate su una zattera di fortuna non fecero rientro a casa. L’episodio ci riporta con violenza al ricordo del naufragio della nave Costa Concordia di fronte all’Isola del Giglio, in cui hanno perso la vita trentadue persone. Ancora una volta acque di morte, anche se in questo caso la responsabilità non è del mare ma dell’uomo.

Come non pensare poi alle “carrette del mare” che trasportano persone in cerca di una vita migliore ma che troppe volte vengono ingoiate da acque nefaste insieme ai loro sogni di libertà.

Questa piaga dei giorni nostri è stata descritta in modo toccante da Roberto Alba, scrittore nostrano, nel suo racconto breve La grande acqua, edito da Taphros. Ancora una volta l’acqua dispensatrice di morte diventa il tramite per la narrazione della vulnerabilità umana, che nulla può contro una natura matrigna e, talvolta, contro l’insipienza dei mortali.

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