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Dove c’è una grande volontà non possono esserci grandi difficoltà

Niccolò Machiavelli

Quando Machiavelli scrisse questa frase, qui parafrasata rispetto all’originale cinquecentesca, non si riferiva a persone con menomazioni fisiche o psichiche. Ma è sufficiente pensare a tutti coloro che, seppure limitati da difficoltà oggettive riescono ad aggirarle, per comprendere quanto la forza di volontà sia importante.

Un esempio noto a livello mondiale, grazie al film autobiografico Il mio piede sinistro, è la storia di Christy Brown, scrittore, pittore e poeta irlandese. A causa di una paralisi cerebrale venne considerato disabile mentale finché non sottrasse un pezzo di gesso alla sorella usando il piede sinistro. Anche grazie al sostegno di sua madre, riuscì a imparare a scrivere e dipingere utilizzando quell’unico arto che rispondeva ai suoi comandi. Un altro prezioso esempio, a noi più vicino, è quello di Simona Atzori, figlia di genitori sardi, nata senza braccia, ma con una volontà ferrea.

Si è avvicinata alla pittura all’età di quattro anni e oggi è un’apprezzata ballerina, artista e pittrice che si esibisce ed espone i suoi lavori in tutto il mondo. In mancanza degli arti superiori, quelli inferiori hanno accettato e vinto sfide per qualcuno inimmaginabili. Sul suo sito si legge: «Non c’è nulla che non possa essere fatto, basta trovare il modo giusto per farlo».

Probabilmente se questa frase venisse pronunciata da una persona normodotata verrebbe spontaneo a molti pensare che esprimere certi pensieri sia fin troppo facile e magari anche un po’ superficiale. Ma detto da chi ha dovuto trovare vie alternative a quelle comuni per esprimere il proprio estro, diventa un insegnamento di vita, tant’è che Simona Atzori organizza degli incontri motivazionali per far sì che le persone eliminino le scuse che ogni giorno trovano per non fare qualcosa.

La forza di volontà è il motore più potente che ci sia, ce lo racconta anche il sorriso splendido di Beatrice Vio, colpita a undici anni da una meningite fulminante che fu causa dell’amputazione di braccia e gambe. La sua voglia di vivere e di fare ciò che da sempre l’appassiona ha prevalso su tutto: schermitrice fin da bambina, qualche anno dopo l’evento che ha cambiato la sua vita è iniziata la sua ascesa nel mondo del fioretto individuale diventando campionessa mondiale paralimpica. È difficile immaginare quali e quante difficoltà debba affrontare chi è colpito da una menomazione fisica, ma esempi come questi ci fanno comprendere che il limite è soprattutto mentale.

Accade troppo spesso, infatti, che la disabilità sia aggravata dalla mancanza di fiducia in se stessi. Questo male può affliggere in realtà chiunque e i limiti che esso impone sono veramente invalicabili, al contrario di tante condizioni di menomazione fisica e/o mentale. Nel caso delle persone disabili questo fenomeno diventa però macroscopico.

L’ambiente circostante, la società, le barriere architettoniche e quelle umane non creano condizioni favorevoli allo sviluppo delle proprie attitudini in quei soggetti che, seppur affetti da disabilità, possono comunque svolgere un qualche tipo di attività fisica o mentale. In tal senso è spesso all’interno delle famiglie stesse che si annidano gli ostacoli principali da rimuovere. Il coinvolgimento affettivo degenera talvolta in un atteggiamento iperprotettivo nei confronti del disabile, fenomeno che rende di fatto più difficoltosa la sua riabilitazione.

I familiari di una persona con deficit fisici o mentali reagiscono in modi diversi; l’eccesso di protezione è però il fenomeno più frequente. Questo tipo di comportamento ostacola un percorso di crescita autonoma del disabile, lo isola dalle normali esperienze di vita, come le relazioni interpersonali, il lavoro e il sesso. In questi casi è generalmente la madre a prendere il sopravvento e a cercare di proteggere il proprio figlio contro tutto e tutti, nella totale mancanza di consapevolezza dei danni che invece vengono arrecati a chi, più di altri, ha la necessità di integrarsi in una società già di per sé poco preparata a gestire situazioni di questo tipo.

È indispensabile avere un pensiero flessibile, perché la diversità spaventa. Il disabile è costretto quindi ad affrontare, in primo luogo, un certo grado di incapacità a svolgere delle attività e, in aggiunta a questo svantaggio, deve scontrarsi con una realtà fatta di pregiudizi e spesso di cattiveria gratuita.

La famiglia dovrebbe quindi porsi come quel ponte che possa consente al disabile di essere davvero riconosciuto come diversamente abile, e soprattutto dovrebbe fare in modo che il diretto interessato impari a tirare fuori il meglio di sé. Un disabile non proverà vergogna o disagio per il proprio deficit finché qualcuno non glielo farà pesare: i familiari con un eccesso di attenzioni che invalidano il potenziale personale del soggetto, la società con i suoi pregiudizi e la paura del diverso, la scuola che con i continui tagli al personale di sostegno priva del dovuto supporto chi necessita di tempi diversi anche per le attività più semplici.

In particolare, il graduale isolamento delle famiglie in cui è presente un soggetto disabile innesca meccanismi da cui poi è difficile venir fuori: il peso di una situazione vissuta spesso come drammatica si ripercuote inevitabilmente nel rapporto di coppia e tra genitori e figli. La convinzione di aver generato un qualcosa di imperfetto può creare sensi di colpa che finiscono col peggiorare la situazione. In questi casi risultano essere molto utili i gruppi di aiuto, in cui un adeguato supporto psicologico può favorire sia il ritorno alla serenità della famiglia, sia l’integrazione del disabile nella società. La menomazione fisica non dovrebbe mai essere il veicolo per un’autoesclusione dal mondo e per rinchiudersi nella propria incapacità anziché concentrarsi positivamente sulle proprie attitudini. È importante conoscere i propri limiti per poterli affrontare e per rivolgere gli sforzi non a combatterli, ma ad aggirarli con le infinite capacità che ogni individuo, normodotato o disabile, possiede.

Ogni persona rappresenta un patrimonio unico, ma talvolta questa ricchezza non viene vissuta come tale. Se l’unicità di ogni singolo individuo è così importante, non è certo facile comprendere come mai tanti genitori cerchino nei propri figli ciò che li accomuna a tutti gli altri, spesso a causa di modelli preconfezionati e idealizzati.

Il ruolo dei genitori è senz’altro quello più importante, soprattutto nei primi anni di vita, ed è indubbiamente difficile non commettere errori comportamentali nei confronti della disabilità. Ma da quegli errori possono nascere situazioni ancora più complicate e difficili da superare, perché un disabile si rifletterà nello sguardo di chi gli sta accanto. Ed è proprio la trave nell’occhio di chi guarda a impedire troppo spesso all’altro di scoprire le sue capacità, di svilupparle e di trovare in esse un motivo di felicità.

Fonti
Simonarte
Servizi sociali online
Psicologia dinamica
S. Portelli, a cura di, Genitori e figli: la costante attesa di quel figlio ideale

2 thoughts on “La trave nell’occhio

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