La scuola medica in una miniatura
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Quando nel IX sec. venne fondata la Scuola Medica Salernitana il termine “Università” non era stato ancora coniato, giacché fu la scuola stessa che ne ispirò il concetto.

Soppressa il 29 novembre 1811 da Gioacchino Murat (anche se in realtà le cattedre di medicina e diritto confluirono nel “convitto nazionale tasso” di Salerno operando per altri cinquant’anni fino alla loro definitiva chiusura, nel 1861, per ordine di Francesco de Sanctis), la “scuola” oggi anima di nuovo il dibattito sui suoi meriti a partire da quei riconoscimenti e onorificenze che le furono attribuite in passato grazie alla fama dei suoi medici, unanimemente riconosciuti dai sapienti e risonanti nelle corti nobiliari d’Europa per tutto il medioevo. Moltissime le testimonianze storiche della sua attività: testi quali l'”Historia inventionis ac traslationis et miracula S. Trophimenae”, il “Chronicon” di Hugone di Flavigny e l'”Historia” di Richeiro di Reims sono esempi che dimostrano l’attività della scuola dal X secolo.

Onore ai meriti della scuola medica salernitana, negli ultimi tempi, sono stati concessi il 18 ottobre 2005: il ministero della pubblica istruzione, la presidenza della regione Campania, la provincia e il municipio di Salerno, congiuntamente all’ateneo cittadino, hanno firmato il protocollo d’intesa per costituire la facoltà di medicina nell’Università di Salerno; nell’aprile del 2006 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in collaborazione con la Società Internazionale per gli Studi sul Medioevo Latino di Firenze, le Università di Salerno, Losanna, Valladolid, del Panthéon-Sorbonne e L’école Pratique des Hautes Études di Parigi, oltre al Warburg Institute di Londra, ha finalmente istituito l’edizione nazionale intitolata a questa storica scuola di trasmissione del sapere. Con delibera n° 68 del 16 aprile 2007 del consiglio comunale di Salerno è stata creata la Fondazione Scuola medica salernitana, col fine di preservare e diffondere gli antichi valori culturali e favorire iniziative in campo medico-scientifico sia in Italia sia all’estero; nel settembre 2007 la Zecca ha emesso un francobollo celebrativo sempre ad essa dedicato, la cui immagine è stata tratta dal “Galeni in hippocratis aphorismos et in librum pronosticorum”, manoscritto tutt’oggi conservato presso la biblioteca nazionale di Napoli. Tutte queste iniziative non possono che rappresentare un tributo che restituisce la “Schola salerni” alla cultura collettiva e, alcune di esse, costituenti il prosieguo ideale della sua tradizione millenaria.

Un passo importantissimo nel campo della ricerca medica si è compiuto proprio lo scorso 14 settembre con l’inaugurazione dell’Istituto Europeo di Ricerche Biomediche nella città di Salerno: L’E.B.R.I. , gemellato all’università del Maryland e guidato dal professore Alessio Fasano, all’avanguardia nello studio sulla correlazione tra gruppi sanguigni e dieta, si propone di ricercare nuove cure per la celiachia e i disturbi alimentari in genere. Non a caso è ubicato in Via De’ Renzi presso il convento di San Nicola de Palma, recentemente restaurato. Si narra che proprio tra le mura di quel convento sorse la scuola medica salernitana, un’istituzione sapienziale capace di illuminare il medioevo d’Europa e diffondere la conoscenza della scienza medica attraverso la continua assistenza sul campo e l’insegnamento, con un “curriculum studiorum” precursore di qualsiasi Università.

Caduta in mano longobarda nel 646 Salerno divenne parte del ducato di Benevento e nel 774, divenuta la città prediletta del principe Arechi II cominciò la sua ascesa tanto che nell’839, con la morte di Sicardo II privo di eredi e l’intervento dell’imperatore Franco Ludovico II a sedare le discordie scaturite, il principato di Salerno non solo divenne autonomo da Benevento ma acquisì persino i territori di Capua, Calabria e Puglia, e finanche Taranto.

La città era un crogiolo di culture davvero singolare a quei tempi: una città cosmopolita. Si respirava aria di rinnovamento e progresso; non mancavano espressioni d’arte e la considerazione per le opere pubbliche, la rete commerciale era ben avviata, la protezione della flotta della potente Repubblica marinara d’Amalfi e gli ottimi rapporti con la Sicilia favorivano soprattutto i trasporti marittimi e questo avvicinava Salerno a tutte le grandi città del Mediterraneo e ai più reconditi approdi del mondo allora conosciuto; per quanto politicamente instabile Salerno era pur sempre quella terra di frontiera capace di attutire le pressioni tra il papato e l’impero da un lato, Bisanzio e il mondo islamico dall’altro.

La scuola medica salernitana fiorì e si sviluppò in questo clima e la leggenda narra che a fondarla furono un arabo, un latino, un greco e un ebreo. Una leggenda che riflette nella realtà la natura sincretica della scuola.

Il greco “Pontus” (o Areteo) giunto a Salerno da Alessandria d’Egitto ove perse tutta la sua famiglia, sorpreso da un piovasco ripara, per la notte, in un luogo di fortuna, sotto gli archi dell’acquedotto di Arce, si dice. Con sua sorpresa scorge un altro viandante, il latino “Salernus” (o Antonio), ferito ad un braccio. Dapprima diffidente, poi curioso per il modo con cui l’infortunato è intento a medicarsi la ferita, Pontus gli si avvicina. Nel mentre altri due giungono sulla scena: l’arabo “Abdul” (o Abdela) proveniente dalla città siriana di Aleppo e l’ebreo “Helinus” (o Isacco) originario di Betanìa, ove Gesù ricevette l’unzione prima della sepoltura. Tutti sono intenti a dare i migliori suggerimenti del caso a “Salernus” su come curarsi la ferita; alla fine i quattro si riscoprono dei filantropi con una forte passione per la conoscenza e la medicina, che almeno tre di loro praticano, e così decidono di unire le loro forze e fondare una scuola in cui instillare tutta la loro conoscenza e attraverso cui profondere i loro insegnamenti.

Non mancheranno, in periodi successivi, altre leggende: si cita quella del “povero Enrico”, riferita al principe di Germania guarito miracolosamente dopo essersi recato a Salerno, in seguito ad una visione, presso la scuola e l’altare di S. Matteo ove poi sposò la fidanzata Elsie (leggenda tramandata dai menestrelli tedeschi nel medioevo e poi ripresa letterariamente da Henry Wadsworth Longfellow nell’800); segue la leggenda di “Roberto e Sibilla”; essa narra che Sibilla, figlia del conte di conversano, per salvare il marito Roberto II duca di Normandia, avvelenato da una ferita ad un braccio infertagli durante la prima crociata che lo avrebbe condotto a morte certa, come prescritto dai medici salernitani, succhiò il veleno dalla ferita durante la notte mentre Roberto dormiva immolandosi lei stessa; guarito grazie al sacrificio della moglie il duca dovette affrettarsi a tornare in Inghilterra dove l’attendeva il trono lasciato vacante a causa della morte del fratello Guglielmo; pare che il re, prima di partire, chiese ai medici salernitani un prontuario di medicina da portare con sé nei suoi viaggi (la scena che immortala il saluto di Roberto II ai dotti salernitani è ritratta in una miniatura contenuta in una traduzione latina del “Canone di Avicenna” del XV secolo, tutt’oggi conservata presso la biblioteca dell’Università di Bologna, ed è l’unica immagine, per quanto stilizzata, che effigia la scuola).

Quel “vademecum” altro non era che il famosissimo “Flos medicinae scholae salernitanae”, noto anche come “Regimen sanitatis salerni”, poema a carattere enciclopedico, come nel genere dei “Tacuìna” e dei “Theatra sanitatis”, contenente i più importanti precetti medico-sanitari raccolti dai più celebri maestri della scuola a partire dal X secolo; tutti i manoscritti e le copie conservate del “Flos medicinae” appartengono ad un periodo successivo a quello della presunta compilazione e principiano con la dedica “Anglorum regi scribit schola toti salerni…”, dedica che creerà una sorta di “In die busillis” tra gli studiosi e una discussione circa l’attribuzione della dedica: da considerare che al tempo Roberto II non s’era ancora assiso al trono e che l’ipotesi fosse indirizzata a Edoardo III d’Inghilterra, piuttosto un “Anglorum et francorum regi” regnante dal 1042 Cal 1060, congetturata in seguito, improbabile; addirittura il Wickersheimer la farebbe risalire al 1190 attribuendola a Riccardo cuor di leone che proprio in quell’anno soggiornò a Salerno, dimostrando almeno la relazione preesistente tra la scuola medica e la corte inglese; le varie edizioni del “Regimen” furono raccolte e commentate dal medico e alchimista catalano Arnaldo da Villanova, anch’egli allievo presso la scuola, nel XIII secolo).

Dalla fondazione alla chiusura definitiva della scuola si possono distinguere, secondo lo studioso tedesco Karl Sudhoff, tre periodi: dal IX al X secolo, di cui si hanno scarse notizie; dal XI al XIII secolo, il periodo aureo e, infine, dal XIV secolo in poi, la fase che segna l’inizio della decadenza.

Miniatura rappresentante un medico medievale
Miniatura rappresentante un medico medievale

In principio la scuola attinse alle preziose fonti conoscitive che i monaci benedettini, già nell’VIII secolo, portarono con sé nel ducato di Benevento insediandosi in diverse città, come Amalfi e Cava de’ Tirreni; a piene mani colse tutto lo scibile che le opere greche e latine contenevano. Fino ad allora tutto quel sapere era prerogativa degli ordini ecclesiastici e accessibile a pochissimi eletti, veniva tramandato oralmente e le fonti scritte erano praticamente occultate; inoltre la religione influiva negativamente sulla salute pubblica: bisognava abbandonare l’idea di curare il corpo e salvare l’anima!

La scuola medica salernitana era d’un altro avviso: essa affermava, e con forza, che le malattie dovevano essere curate, anzi, prevenute senza dover accettare passivamente l’infermità o la morte come manifestazioni irreversibili del destino dell’umanità; bisognava adottare rigide regole igienico-sanitarie, un adeguato regime dietetico e un sano tenore di vita; esattamente quei concetti, la cura del corpo, il riposo, il buon mangiare e l’allegria, tanto prossimi alla moderna psicosomatica, che non stentarono a diffondersi con una certa rapidità visti i benefici, per quanto ritenuti pressoché eretici (in seguito il concilio di Reims vieterà la pratica della medicina ai religiosi); un altro merito dei medici salernitani pertanto fu quello di laicizzare la cultura divulgando, attraverso l’insegnamento verbale, gli antichi testi tesaurizzati dalla chiesa e gettare le basi della profilassi.

E per la prima volta il sapere varcò le mura dei monasteri e la medicina fu la prima disciplina scientifica a uscirne.

La dottrina della scuola, principalmente in linea coi dettami del sistema degli umori elaborato da Ippocrate e Galeno, non era semplicemente il frutto delle traduzioni dei testi classici della medicina dell’antichità, non solo, ma di una continua opera di innovazione attraverso la loro interpretazione e l’empirismo, del metodo terapeutico basato sulla pratica e applicato all’arte medica insomma; oltre allo studio dell’arte sanitaria, venivano discusse materie quali teologia, legge e filosofia e il corso di studi era strutturato per conferire allo studente la conoscenza e l’esperienza per applicare la scienza medica ovunque fosse necessario: l’iter constava di 3 anni di logica e 5 anni di medicina durante i quali si studiavano gli antichi trattati, l’anatomia con la dissezione dei cadaveri e le prove pratiche; bisognava anche tenere un esame finale con il maestro del corso e con il collegio dei medici, detto “Almo collegio salernitano”, un organismo indipendente dalla scuola; al superamento dell’esame bisognava prestare solenne giuramento a soccorrere i poveri senza chiedere nulla in cambio e a tutti coloro che ne avessero avuto bisogno dando prova dinanzi a dio e all’umanità di onestà morale e integrità di costumi, qualità che la scuola teneva sempre in debito conto prima di rilasciare i titoli in medicina e farmacia; conferito il “privilegio dottorale”, apposto il sigillo in ceralacca dell’almo collegio salernitano rappresentante San Matteo in atto di scrivere il vangelo, con la dicitura “hippocratica civitas” (oggi simbolicamente ingrandito sullo sfondo dei diplomi di laurea conferiti dagli atenei di Salerno-Fisciano), la cui autenticità era attestata da notai e convalidato dal re in persona; esso garantiva le capacità scientifiche del laureato ovunque fosse e, presentando la data di conferimento con l’anno del pontificato di chi era assurto al potere papale, si eludeva il problema dei diversi calendari nei paesi stranieri vista l’universalità della chiesa, ma bisognava fare un anno di pratica con un medico anziano prima di poter esercitare la professione di medico autonomamente e praticare almeno un’autopsia ogni cinque anni. Era difficile alquanto diventare medico a Salerno e l’ordinamento di allora anticipava di molto l’attuale orientamento in medicina.

Conoscenza del corpo umano e della funzionalità degli organi, spirito d’osservazione, deontologia medica, profonda umanità e, fatto assolutamente eccezionale per l’epoca, parità tra uomo e donna: le donne erano ammesse non solo come studenti al percorso didattico ma potevano essere elevate al rango di docenti oppure esercitare la professione medica.

Grazie ai precetti orali di queste materie e alla pratica la scuola medica salernitana poté mantenere e preservare la cultura greco-latina e divenirne lei stessa sintesi: basti pensare ai profondi rapporti con la curia romana coltivati attraverso la badia benedettina di Cava dé Tirreni e alla presenza in città, nel tempo, di autorità quali Papa Gregorio VII, l’abate desiderio di Montecassino (futuro Papa Vittore III) e l’arcivescovo benedettino Alfano I (profondo conoscitore della poetica di Orazio, insigne medico della scuola ed autore dei trattati medici “De quattuor umoribus” e “De pulsibus”) per quanto concerne la cultura latina; osservando poi la posizione politica e sociale di Salerno assolutamente centrale nel mondo longobardo proprio in quel vasto territorio conosciuto come “Magna Graecia”, rammentando la protezione che le mura della scuola seppero offrire ai maestri e ai discepoli della scuola filosofica di Elea (l’attuale Novi Velia) in fuga per le ripetute incursioni saracene è facile evincere da dove in parte provenisse la componente culturale ellenica.

E la scuola medica salernitana, rigorosamente aristotelica nel pensiero, assorbì l’inestimabile eredità del filosofo e poeta Senofane (originario dell’Asia minore e stabilitosi nella colonia fenicia di Elea nel 536 A.C.) , del suo discepolo Parmenide (fermo sostenitore della sfericità della terra e del binomio “essere-pensiero”, originario di Elea poi passato ad Atene nel 460 A.C.), di Zenone e tutti i loro successori, quei grandi pensatori che oltre a creare la scuola eleatica di filosofia, inizialmente incentrata sul pitagorismo, diedero successivamente impulso ad astronomia e medicina appunto.

E tanto valse a Salerno il titolo di “Hippocratica civitas”.

La scuola medica salernitana, durante il primo periodo, era già rinomata in tutta Europa: gli infermi e i reduci della prima crociata vi si recavano per recuperare la salute e i giovani studenti arrivavano da tutta Europa, dalla Germania in particolare, per ricevere l’ambita istruzione; l’ “urbs graeca” aveva fama d’essere luogo ideale per corroborare o recuperare la salute fisica anche grazie al suo clima ideale; è eloquente la presenza nella città campana del vescovo Adalberone di Laon nel 984, giunto proprio per guarire i suoi mali, come fecero altre importanti personalità. D’altronde le antiche fonti provenienti dall’abbazia di Nonantola, oggi raccolte in un codice conservato nell’archivio di Modena, testimoniano l’attività della scuola, a Salerno città come in diverse aree del vecchio continente, sia per fini didattici che curativi.

L’arrivo a Salerno del monaco cartaginese Costantino detto “l’africano” segna la fine del primo periodo e l’inizio di un profondo cambiamento. Giungono nella città vascelli carichi di spezie e merce ancor più preziosa per la scuola: il “Canone di medicina” di Abu ali al-hosayn ibn sina, meglio noto come Avicenna e i celebri commentari alle opere di Aristotele scritti da Averroè, nome latinizzato di Muhammad ibn ahmad muhammad ibn rushd, che proprio Costantino tradurrà assieme ad altri importantissimi capolavori di scienza medica di autori islamici, sia dalla lingua araba che dal greco antico; esse andranno ad arricchire il sapere raccolto dalla scuola con approfondite nozioni di fitoterapia e farmacologia (l’elenco delle opere di Costantino è contenuto nel “De viris illustribus” di Pietro Diacono). L’acqua teriacale, quella un tempo usata e conosciuta come Triaca o Teriaca nell’antico Egitto e impiegata come antidoto contro i morsi di fiere velenose (celebri quelle preparate da Nicandro di Colofone prima e da Andromaco il vecchio, medico di Nerone, poi), ritornerà in auge in occidente grazie al nuovo composto ideato dalla scuola, un toccasana per “…apoplessia, pleurite, la fredda idropisia, il morto feto, l’epilessia”, più certo un tonico efficace.

L’evolversi della scuola medica salernitana è tangibile nell’XI secolo, per l’istruzione conferita prima mediante insegnamento orale poi scritto, fatto che segnerà anche un cospicuo incentivo alla produzione letteraria. L’antidotario salernitano del 1050 viene ricordato come prima farmacopea occidentale, il “Liber dynamidios del maestro Gariponto sintetizza le proprietà e l’impiego di piante ed erbe, il trattato compilativo conosciuto come “Passionario” dello stesso Gariponto con la collaborazione di altri maestri, è altrettanto celebre. Di spessore le “Tabulae salernitanae” e il “Compendium” del maestro Salerno, inerenti la terapia generale e la preparazione dei farmaci; le stesse donne cui la scuola medica salernitana aprì le porte sin dall’inizio daranno in questo periodo ulteriore lustro a questa istituzione e diverranno tanto famose da essere ricordate con l’appellativo di “Mulieres salernitanae”, la più celebre delle quali, Trotula dé Ruggiero, passerà alla storia per la sua celebre opera “De passionibus mulierum antes et post partum”, a cui andrà il merito di consegnare la ginecologia e l’ostetricia alla scienza medica; si ricordano anche le “Glosse” e il “De medicinis simplicibus”, commentari dello stesso figlio di Trotula, Matteo Plateario, riguardo la sofisticazione dei medicinali e una descrizione farmaceutica di ben 500 piante; dello stesso autore il “Circa istans”, diffuso in tutta Europa sotto il nome di “Secreta Salerno” e ricordato come prima enciclopedia dei semplici. Di questo periodo è celebre il “Praeses” musandino per il suo contributo alla formazione medica degli allievi della scuola.

Museo virtuale della Scuola Medica Salernitana
Museo virtuale della Scuola Medica Salernitana

Grazie a questa istituzione, sin dal XII sec., si formarono i primi “cerusici”e la chirurgia assurse al rango di disciplina scientifica, perfezionata un secolo dopo dal contributo del maestro Ruggero Frugardo, autore del “Trattato di chirurgia” (opera i cui insegnamenti verranno raccolti dal suo allievo, Guido D’arezzo, nel “Chirurgia magistri rogerii”, testo ufficiale fino al XIV sec.) e dal maestro Giovanni da Casamicciola, inventore di una particolare tecnica per legare i vasi sanguigni col fil di seta. D’obbligo menzionare lo sviluppo dell’oculistica attraverso la scuola e la sua diffusione per tramite del maestro Benvenuto Grafeo e del suo “De arte probatissima oculorum”, divulgatissimo in tutta Europa.

Cosa più importante però è l’approccio stesso alle opere: si assiste al passaggio dal “Compendium” al “Commentarium”, ossia dalla semplice raccolta di norme e principi alla rielaborazione delle stesse in chiave critica, supportata da acute osservazioni e modifiche supportate dal progresso scientifico avviato dalla scuola.

Cambiamenti che contraddistingueranno l’evoluzione dell’iniziale figura dell’empirico “medicus” nel dotto “medicus et clericus”, lo scienziato della medicina nel medioevo. Oltre alle docenza dell’istituto, costituita da insegnanti con meriti peculiari, di cui il “praeses”, il preside, è responsabile verrà istituita una nuova carica all’interno dell’almo collegio salernitano: il “prior”, investitura di suprema dignità assegnata solo a medici dalle eccellenti doti e dall’anzianità maturata durante la carriera.

Durante il secondo periodo della scuola medica salernitana molteplici furono le vicissitudini storiche che la città fu chiamata ad affrontare: dopo un estenuante assedio, Gisulfo II, l’ultimo principe longobardo di Salerno, cedette il passo al dominatore normanno Roberto il Guiscardo nel 1076 che l’anno successivo fece della città la capitale di tutti i possedimenti normanni, titolo prima assegnato a Melfi (mantenuto fino al 1127, quando per mezzo di Ruggero II d’Altavilla la capitale diverrà Palermo); questo passaggio di potere fu mediato senza troppi spargimenti di sangue dal vescovo Alfano I, che sfruttando il suo ascendente sul Guiscardo fece sì che venisse avviata anche la costruzione del duomo dedicato a San Matteo, edificato tra il 1080 e il 1085, sulla chiesa paleocristiana di S. Maria degli angeli.

Per quanto tra il X e il XII secolo Salerno fosse così ricca da coniare monete con la dicitura del suo appellativo all’epoca, ossia “opulenta salernum”, non scampò alla tremenda sciagura del saccheggio del 1194 e del conseguente tributo di sangue ch’essa dovette pagare: Enrico VI di Svevia la volle punire per la fedeltà alla casa d’Altavilla (morto Guglielmo II nel 1189, Salerno si mostrò favorevole all’elezione al trono del regno di Sicilia di Tancredi). Fortunatamente la casa di Svevia allentò la morsa con l’ascesa al trono di Federico II e di suo figlio Manfredi, entrambi muniti di doti intellettuali non comuni; il primo appassionato di filosofia e medicina aveva a cuore l’attività della scuola medica salernitana, tanto che nella costituzione di Melfi da lui stesso sancita nel 1231 stabilì che la professione medica potesse essere svolta esclusivamente se in possesso del diploma rilasciato dalla stessa (per quanto la scuola dovette affrontare la concorrenza della giovane Università di Napoli, edificata dallo stesso Federico II nel 1224, furono i medici salernitani a dettare nel “Liber augustalis”, primo modello di legislazione costituzionale, le norme inerenti la salute pubblica ivi contenute e sempre a loro toccò disciplinare l’intera politica sanitaria nel regno delle due sicilie); l’arte e la cultura rifiorirono nella città grazie al generoso mecenatismo di Manfredi e in quegli anni, suggerito dall’amico Giovanni da Procida, nonché priore della “scuola”, dotò Salerno del molo che tutt’oggi porta il suo nome.

Poi arrivarono gli angioini e nel 1280, emanato uno speciale statuto, la scuola fu decretata “studium generale” in medicina, poi gli aragonesi. Quindi Salerno dovette condividere le vicende politiche con la fiorente Napoli e, infine, il declino.

Molti furono i medici che prestarono soccorso durante i vari conflitti come ad esempio Bartolomeo de Vallona e Filippo Fundacario; proprio all’inizio del crepuscolo della scuola medica salernitana un insigne maestro, Matteo Silvatico, costruirà nel 1300 il giardino della minerva, antesignano di tutti gli orti botanici d’occidente, di cui si ricava una descrizione attraverso l’ “Opus pandectarum medicinae” redatta dallo stesso creatore del giardino, tanto caro a Roberto d’Angiò; si ricorda infine Antonio Solimena in qualità di rappresentante della scuola nel XIV sec., elevato al titolo di “maestro razionale della magna curia” e medico di fiducia di Giovanna II di Napoli.

La tenacia della scuola medica salernitana a diffondere la dottrina e a prestare assistenza agli infermi di ogni estrazione sociale durante tutte le dominazioni che, nel bene o nel male, hanno modellato il popolo salernitano è fatto encomiabile, una passione forte quanto il giuramento che la scuola ha fatto all’umanità consegnandole una promessa mantenuta, tanta abnegazione e intere generazioni di medici degni di questo titolo.

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