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La Venere di Milo
La Venere di Milo

di Claudia Santa Cruz

La sessualità nelle donne del Mediterraneo, da un punto di vista ormonale credo non si differenzi da quella del resto del mondo, ma se si parla della sensualità che queste donne hanno insita nei loro sguardi, nei corpi sinuosi spesso impreziositi da aromi tipici, nei capelli ondulati, nell’intensità di sentimenti caldi come il sole dove sono nate, nel modo di vestirsi e di ornarsi penso che la differenza sia davvero notevole.

E gli uomini sono sempre stati consapevoli, fin dai tempi più remoti, che la donna così bella, così passionale e determinata faccia parte dei beni più preziosi a loro a disposizione come fonte di passione, di desiderio, di piacere, di amore e di continuità di vita. Pertanto forse il desiderio di rendere questo bene più esclusivo probabilmente misto alla paura di perderlo, ha reso l’uomo ipercritico, severo, poco incline all’indulgenza ed alla comprensione e soprattutto molto più propenso alla repressione che non all’emancipazione.

Nei secoli la donna si è sempre trovata imbrigliata in un insieme di regole comportamentali, in particolare riguardanti la sfera sessuale. Regole molto più severe che per gli uomini, con punizioni terribili di fronte alla trasgressione. Ne sono esempio la cacciata dall’Eden di Adamo ed Eva (Antico Testamento, Genesi) che contro Eva, evidentemente ritenuta colpevole unica ammonisce “tu donna partorirai con dolore”, o la lapidazione dell’adultera (Vangelo):…”chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Fortunatamente, però, Cristo aprì uno spiraglio alla comprensione ed al perdono verso le debolezze umane.
Pur bella e passionale, la donna mediterranea ha da sempre trovato molti ostacoli per poter vivere la propria sessualità al pari degli uomini e nel tempo, vi è stato un progressivo adattamento a rivolgere i propri istinti sessuali verso un compito più elevato, quello di moglie e di madre. Probabilmente sarebbero anche ruoli appaganti se non ci fosse un distinguo comportamentale tra uomo e donna che genera abbastanza confusione.

Un uomo che conduce una vita sessuale libera e dissoluta al massimo viene definito latin lover, libertino, dongiovanni, casanova, play boy, ma per la donna che fa la stessa scelta di vita vi è un’ampia scelta di epiteti dispregiativi ed emarginanti e parolacce che ricoprono il vocabolario dalla a alla zeta. Tutto ciò ha evidentemente creato forti insicurezze e forti condizionamenti al “gentil sesso”.

Nella storia antica mediterranea vi è un preciso distinguo tra i ruoli che ebbe Elena, meglio Elena di Sparta moglie o meglio Elena di Troia amante? La letteratura condanna Elena amante a mille sventure per la sua trasgressione coniugale.
E ancora tra Penelope e le donne seducenti che tentarono di sedurre Ulisse in mille maniere, Penelope resta il personaggio vincente, destinato al ricordo e all’esaltazione perché madre fedele e paziente che attende il rientro in patria del marito e sa resistere alle tentazioni.

E così tra criticità, severe condanne alle donne libere e tante lodi alle donne represse le donne nel mediterraneo hanno subito un lento ma progressivo adattamento nel finalizzare la propria sessualità principalmente verso il ruolo di fidanzata, compagna, moglie e madre, ruolo che comunque è di per sé insito nella natura femminile anche senza imposizioni o gravi sanzioni in caso di trasgressione.
E l’arte mediterranea ci aiuta in questa riflessione esaltando bellezza e sensualità femminile, senza riferimenti alla sessualità. Fin dai tempi più antichi l’arte mediterranea ci ha tramandato attraverso sculture e dipinti raffiguranti donne perfette, e molto femminili, nude ma solo in parte, mai volgari, sensuali, seducenti ma assolutamente irraggiungibili. La donna bella e sensuale viene rappresentata e contemporaneamente sublimate a ruolo di dea pur essere irraggiungibile ed eterna.

Donne leggendarie dell’antica Grecia che ancor oggi lasciano senza fiato migliaia di visitatori per la bellezza e la perfezione del proprio corpo.
Le più famose: l’Afrodite Cnidia di Prassitele quarto secolo a.C., la Nike di Samotracia di Pythockrito secondo secolo a.C., e quella che non ha bisogno di presentazioni la Venere di Milo (foto 1), la cui paternità è ancora oggetto di studi è un mito e fonte di grande orgoglio per il popolo mediterraneo.Un corpo così elegantemente svestito esalta la prorompente bellezza e la sensualità della donna mediterranea, le sue forme armoniose sono un inno alla vita ed all’amore ma con riserva, infatti, il suo corpo si staglia verso l’infinito e si può solo ammirare.
Le statue delle altre dee sono parzialmente vestite o meglio sapientemente svestite con gusto ed intelligenza, tali da suscitare seduzione e pensieri più carnali che spirituali ma irraggiungibili essendo dee.

Gli artisti dell’epoca liberi da condizionamenti “terreni” riuscirono a scolpire questi corpi nella loro esuberanza senza tema di fraintendimenti esaltarono parti intime come seno, ombelico, e perfetti fondo-schiena. Un’arte che della donna esalta la bellezza mistica.
Passando dall’arte greca a quella romana si nota in quest’ultima una maggiore castigatezza nelle statue femminili che appaiono quasi sempre vestite, ornate di pepli e veli dalle linee morbide che lasciavano intravedere la flessuosità del corpo. Gli sguardi di queste donne appaiono più freddi, distaccati e lontani, ma attraverso una meticolosa attenzione dei particolari, specie nei dipinti, si deduce che le donne romane fossero molto vanitose e civettuole, maggiormente attente alla cura del corpo che non a quella dello spirito.

Infatti, si nota un aspetto fisico ben curato in ogni dettaglio, dai capelli raccolti in complicate pettinature con riccioli, al corpo che spalmavano con unguenti e balsami profumati con aromi mediterranei, conservati in preziose ampolline ritrovate negli scavi. Inoltre truccavano la pelle del viso con ciprie colorate, si truccavano gli occhi, si tingevano i capelli e amavano adornarsi di vistosi orecchini, bracciali e collane. Ma nel tingersi i capelli vi era già un rigoroso distinguo tra le matrone che li tingevano prevalentemente di castano chiaro e biondo, e le meretrici che preferibilmente li tingevano di rosso.
In una casa pompeiana venne trovato qualche dipinto e mosaico decisamente osè per i tempi, ma solo perché trattavasi di un lupanare (odierna casa a luci rosse) e non un’abitazione privata. Difficile quindi fare un confronto con la vita e abitudini sessuali quotidiane delle donne comuni. Deduco che, se esisteva il lupanare, alle donne comuni non tutto era lecito.

Il passare dei secoli non ha cancellato queste limitazioni, nel Mediterraneo la donna ha sempre risentito di imposizioni dettate da una società prettamente maschilista e dalle religioni a maggior diffusione (cristiano-cattolica e musulmana) che comunque hanno condizionato scelte e comportamenti.
Nei dipinti italiani del due/trecento prevalgono figure femminili celestiali, eteree, sante, prevalentemente vestite, nel cinquecento invece le donne svestite erano magnificenti ma anch’esse veneri o vergini, come La Vergine dormiente del Giorgione (foto 2), bella giovane che sogna e fa sognare senza ombra di peccato.
Queste ombre vennero dissipate con l’audace opera di Michelangelo, Leda e il cigno (3) e l’inequivocabile interpretazione che ne consegue e ombre che invece si cancellano del tutto con il famosissimo dipinto della Maya desnuda di Francisco Goya, (4), dove il nudo femminile viene finalmente dipinto in maniera integrale, senza veli o falsi pudori, pube compreso.

Questa magnifica ragazza spagnola mette serenamente in mostra il proprio corpo, un corpo tutto Mediterraneo. Molto bello, evidentemente sano e ben tornito, e dal suo sguardo serafico, pare inconsapevole che il suo corpo sarà davvero e per sempre messo in mostra in uno dei più grandi Musei del mondo, il Museo del Prado di Madrid. Successivamente questo corpo farà storia anche nei libri di storia dell’arte e farà sognare milioni di persone che ammirano nella modella bellezza e ardire. La ragazza non sembra senza farsi carico dei pregiudizi ed ipocrisie dell’epoca tant’è che per essere guardata per intero posa con le braccia dietro la nuca. Una donna semplice, vera, viva, passionale, libera che non teme condanne da parte di chi si poserà il suo sguardo sulle sue generose forme. Una donna che appare consapevole che la nudità non è di per sé un peccato, ma commetterà peccato l’occhio di chi scruterà il suo corpo in modo morboso.
Col coraggioso dipinto della Maya desnuda sembrano finalmente allontanarsi le scintille dei roghi, le angosce, le mani preoccupate di donne nude che fanno da scudo a seno o pube, i drappi che ricoprono parti del corpo ritenute peccaminose.
Per gli splendidi nudi integrali di Apollo, di David e dei Bronzi di Riace non vi furono censure perché ritenuti bellezza pura, per la Maya Desnuda non vi furono censure o tagli da apporre perché ritenuti bellezza pura e soprattutto innovativa.

Nell’arte mediterranea è presente, anche se raramente, il tema, per taluni scabroso, dell’omosessualità femminile. Questa sessualità da sempre poco accettata dalla società e vissuta tra mille difficoltà, incomprensioni ed emarginazione trova spazio nella splendida tela di Goustave Goubert, dal titolo Il Sonno (5). Solo un pittore decisamente trasgressivo e senza preconcetti come lui poteva mostrare due giovani amanti addormentate in un tenero abbraccio senza temere conseguenze di una censura. Il pennello si posa delicato su un amore “diverso” vissuto in maniera talmente garbata da non creare disturbo neppure ai benpensanti. Un amore sebbene “diverso” presente anche nell’antica Grecia, testimoniato dalle dolcissime ed appassionate poesie senza tempo che Saffo rivolgeva alle donne amate.

Concludo la carrellata sulla sessualità e repressione nell’arte del mediterraneo con un significativo dipinto dei primi del novecento di Giovanni Boldini, Donna nuda dalle calze scure, (6) un nudo integrale che ritrae la giovane contessa Casati in una posizione felina e sensuale e molto attraente. I colori utilizzati per lo sfondo ed i contorni del dipinto appaiono simili a quelli di un bordello e la stessa modella è evidentemente una donna che invita alla passione senza tema di peccare e priva di cenni volgari. Il dipinto sembra porre fine alla leggenda della donna angelo, della donna dea, della donna eterea, ma diventa un richiamo alla realtà che la donna non è solo spirito ma anche carne. Ma non penso che quest’ultimo modello rappresentato sia il prototipo di donna che l’uomo mediterraneo desideri avere al proprio fianco per sempre, come compagna di vita.

E penso che in fondo anche le donne mediterranee non siano riuscite a liberarsi dal modello di una sessualità ragionata e “frenata”, tramandata nei secoli attraverso imposizioni, punizioni e idealizzazioni, perché in fondo il ruolo che preferiscono e che la maggior parte degli uomini sogna ancora è davvero quello di moglie, madre e anche angelo del focolare domestico.

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