Afasia
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di Enrico Santus

Parlare, raccontare, ascoltare. Chiamare un amico al telefono, dirgli quanto è stato bello incontrarlo dopo tanto tempo, scrivergli una lettera o un’e-mail. Operazioni scontate per molti, ma non per tutti.

Esiste, infatti, una categoria di persone che può svolgere queste funzioni solo con grosse difficoltà e senza comunque ottenere risultati soddisfacenti. Non si tratta di una malattia mentale, ma è quasi una follia del linguaggio, che si sottrae alla sua funzione comunicativa.
Stiamo parlando dell’afasia e degli afasici, ovvero coloro che soffrono di disturbi al linguaggio causati da lesioni cerebrali (trombosi, emorragie, traumi cranici, tumori, encefaliti), senza però soffrire altri deficit, come alterazioni dell’intelligenza o della capacità di provare sentimenti ed emozioni.

L’afasia può colpire l’atto della produzione (afasia di Broca) e/o quello della comprensione (afasia di Wernicke). Si distinguono diverse tipologie di afasia, a seconda che colpiscano parti selettive del linguaggio, come uno o più livelli d’analisi (fonologia, morfologia, sintassi, semantica), oppure uno o più campi semantici (nomi delle verdure, degli animali, degli oggetti domestici, ecc.).

I comportamenti dei pazienti affetti da afasia possono apparire “umoristici”, nell’accezione intesa da Luigi Pirandello di “avvertimento del contrario”, ovvero della percezione di un contrasto tra l’apparenza e la realtà. Un’apparenza comica, innaturale, bizzarra, che contrasta con una realtà tragica, di grave difficoltà, nonché di sofferenza, poiché non è raro che l’individuo sia cosciente del proprio limite e si sforzi di superarlo, subendo gravi ripercussioni psicologiche. Ed è forse proprio questa doppia faccia comico-tragica ad aver ispirato, nel 1906, la novella “La toccatina” in cui Luigi Pirandello raccontava la storia di due personaggi affetti da afasia.

Sempre nel campo della letteratura, il topos dell’ineffabilità è stato molto trattato anche in poesia, laddove si voleva esprimere un senso di inferiorità e di tormento del poeta per l’incapacità di descrivere una determinata situazione. Si pensi a Dante, che più volte fa uso di questo topos soprattutto nel Paradiso, ma anche a molti altri poeti, come Cavalcanti e Petrarca.

Gli afasici, in Italia, sono circa 150.000, secondo le stime pubblicate dalla Federazione Associazioni Italiane Afasici (A.IT.A.). Un numero considerevole, specialmente se si paragona a quello di malattie molto più note, come la sclerosi multipla o il morbo di Parkinson.
Non esistono cure per l’afasia, anche perché essa dipende da lesioni, spesso permanenti, nella corteccia cerebrale. Più ampie sono tali lesioni e maggiori saranno i danni funzionali. È vero, comunque, che il cervello possiede una proprietà detta “plasticità”, che nei primi mesi permette il recupero parziale di alcune delle funzioni perdute grazie alla riorganizzazione delle aree cerebrali non lesionate, che intervengono per compensare i danni subiti.
Nella maggior parte dei casi, si registra un lieve miglioramento, ma si tratta di un recupero spontaneo, lento e graduale di cui non si può prevedere l’entità. Tale percorso, tuttavia, può essere aiutato attraverso procedure di riabilitazione adatte.
Negli ultimi 150 anni, l’afasia è stata analizzata da molti studiosi, tra cui i già citati Paul Broca e Carl Wernicke, i quali per primi correlarono la perdita di funzioni linguistiche nei loro pazienti ad alcune lesioni rispettivamente nell’area frontale e nell’area temporale dell’emisfero sinistro del cervello.

Mentre allora le lesioni potevano essere esaminate solo attraverso un esame anatomo-patologico post-mortem, oggi esistono tecniche di neuro immagine che permettono di studiare il cervello durante l’attività del soggetto. Tali tecniche hanno rivelato che il rapporto tra aree lesionate e danni funzionali non era così esclusivo, dimostrando inoltre l’importanza dell’emisfero destro nella competenza testuale, pragmatica e prosodica del linguaggio.
Se molto è stato scoperto grazie ai progressi della scienza, molto rimane ancora da chiarire. Nel cervello umano, infatti, è possibile realizzare tante connessioni tra neuroni da superare di gran lunga il numero totale degli atomi nell’universo.

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