Tanit
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E’ una storia antica di millenni, è una storia che parla di una donna e di un uomo, è una storia che ha viaggiato aggrappata alle speranze, ancorata al respiro degli uomini. E’ una storia tanto antica che potremmo pensare sia tutta invenzione, se non ci fosse raccontata dalle pietre, e loro ricordano più a lungo di qualsiasi uomo o donna.

Lei si chiamava Tanit, e lui Baal-Hammon. Non si trattava di una coppia qualsiasi, ma di una Dea e di un Dio. E seppure lei era conosciuta con diversi nomi, la sua essenza permaneva sempre la stessa. Dea della fertilità, dell’amore, del piacere era associata alla fortuna e all’elemento lunare. Protettrice della città nella quale era venerata. Cartagine. Il suo nome completo era Pene Baal, il viso di Baal, suo consorte, controparte e completamento. Il nome con cui era appellata ci fa supporre che ella venisse addirittura prima del suo sposo, in quanto ne rappresentava il volto. Di una donna divina simile abbiamo notizia anche altrove; Astarte fenicia, dea madre, Afrodite, Artemide, Demetra, nella religione greca.

Tutte donne sacre che possedevano un forte legame con la fertilità e con l’elemento lunare, tanto da farci supporre che in effetti si trattasse sempre della medesima creatura, conosciuta semplicemente con nomi differenti, a simboleggiare quella fitta trama di rapporti che in tutto il Mediterraneo nel succedersi dei secoli, si era intessuta. Simbolo che la rappresentava era una piramide tronca, sormontata da una barra rettangolare, sopra la quale si trovava un cerchio ed una mezza falce, rappresentati del sole e luna crescente. Immagine astratta, secondo la convenzione cartaginese, ma che nell’insieme delle parti, dava parvenza di donna stilizzata, allora come oggi.

Come vento l’immagine della Dea si sparge lontana dalle coste cartaginesi intorno al VI sec. a.C., secolo nel quale la stessa Cartagine inaugura la propria politica di conquista, atta al mantenimento delle rotte commerciali, verso le terre che si bagnavano di mar Mediterraneo. E là, dove approdarono gli uomini di Cartagine, arrivò pure la Dea e il suo sposo. Approdi privilegiati saranno la penisola Iberica, le coste dell’Africa Mediterranea, la Sicilia, e la Sardegna. In quest’ultima si sostituiranno al pacifico dominio fenicio per imporsi come potenza dominatrice. Dopo alcune resistenze nel 535 a.C., con la battaglia di Alalia, prenderà avvio la conquista dell’isola strappata ai greci. I cartaginesi si stanzieranno in quei siti costieri che furono già dei fenici, e presero ad influenzare notevolmente la vita sarda, nella cultura e nei comportamenti. E’ questo il momento in cui gli amanti divini, Tanit e Baal, fanno la propria comparsa in Sardegna.

La Dea portata dalla guerra, trova nell’isola un terreno fertile, dove riposare e crescere, quasi fosse pianta, o germoglio in fiore. Uno spiccato carattere matriarcale presente nell’isola, ne fece divinità di rilievo, che in forma di icona è presente ancora oggi nelle affascinanti necropoli, incisa nella pietra e capovolta a rappresentare la morte sopraggiunta, così come in alcune strutture misteriose votate al culto dell’acqua e dell’astro notturno. I rituali di venerazione della Divina Tanit furono probabilmente celebrati da uno stuolo di donne sacerdotesse, conoscitrici dei segreti, custodi del vigoroso potere che la donna sarda possedeva.

Le fonti archeologiche attestano la presenza di forme, note sull’isola come altrove, di prostituzione sacra, e pare di sacrifici umani e non, inaugurati per propiziarsi il favore della fascinosa Tanit. E’ vero infatti che nei pressi di questi luoghi di culto fossero presenti dei tophet dedicati alla stessa. Ossa di bambini sarebbero state rinvenute all’interno di queste strutture. Il dubbio lecito si riferisce al dover definire se i tophet fossero ultima dimora di bambini morti per causa naturale, o fossero luogo nel quale questi trovassero morte. Non sono pochi gli studiosi che propendono per la prima ipotesi, considerando la gente cartaginese non dedita al sacrificio umano. Intriso di forza della Dea appare ancora il famosissimo tempio di Tanit, in Nora. Fra i resti del tempio venne infatti rinvenuta una piramide di pietra, simbolo rappresentativo della donna divina, che con molta probabilità veniva celebrata in quella struttura che ancora oggi volge occhio al mare. Interessante ricordare di come l’icona rappresentativa di Tanit sia presente in quel pozzo famosissimo che è noto con il nome di pozzo di Santa Cristina, in Paulilatino.

La scala in forma triangolare, si prolunga per ben 25 scalini e conduce ad un pozzo circolare. La camera che ci accoglie è alta sette metri, sovrastata da un oculo che consente alla luce di filtrare. Ogni 18 anni e 6 mesi la luce della luna discende in maniera perfettamente perpendicolare entro il pozzo sacro, seppure in maniera meno evidente ogni anno, per il plenilunio invernale, vi torna, rendendo cosi possibile la misurazione del mese lunare. Il triangolo dell’ingresso è circondato da un recinto interno a forma di toppa di chiave (un triangolo accostato a un cerchio, che è anche il simbolo della dea Tanit), e da un altro recinto esterno ellittico. Sia che il pozzo avesse funzione di calendario lunare, oltre che di custode di acque sacre, sia che questa rappresenti fantasia moderna, è certo che il luogo è intriso del potere della dea, che continuerà a vivere in epoca romana, chiamata ancora in maniera differente, Cerere o Demetra, e dopo nella fantasia popolare, che seppe ricreare figure di donne fate, e poi ancora streghe.

E’ una storia antica di millenni questa, che pare quasi racconto fantastico, ma che ci ricorda di come la religione ebbe un tempo funzione unificatrice, impasto capace di saldare culture differenti. Dovremmo riflettere sul come dietro diversi nomi spesso si nasconda un medesimo personaggio, una identica filosofia, una stessa speranza, condotta da uomini che per natura s’assomigliano. Lasciamo agli altri che un nome tragga in inganno. A noi il vezzo di poter sollevare quel fino velo polveroso che rende la storia misteriosa, e scoprire che dietro un racconto che pare favola, si nasconda la strada che abbiamo seguito e che ci ha condotto a diventare quei grandi e piccoli uomini che oggi siamo.

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