Here I Stay festival
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Laddove finisce il vasto universo della musica mainstream, ne inizia un altro, quello della musica indipendente, celata, nascosta al grande pubblico…invisibile. Quanto è vera questa affermazione? E soprattutto, i confini sono così netti come sembra? Ne ho parlato con un’amica, Ambrina Porcedda, le cui parole descrivono bene la sua vita da inguaribile cultrice dell’indie: “un po’ d’anni a Radio Facoltà di Frequenza a Siena, una trasmissione scurrile – La Repubblica delle Pere – su Musica, Moda e Lifestyle, presenzialista convinta in ogni concerto nazionale che conti, in giro per l’Europa la trovate al bancone del locale dove suonano i Clap your Hand Say Yeah”.

Il tema di Mediterranea di questo mese è “scoprire l’invisibile”. Per quanto riguarda la musica indipendente – che potremmo definire la musica invisibile per eccellenza – scovarla non è facilissimo. Una volta entrati nell’immenso mondo dell’indie, inoltre, ci vuole un attimo a perdersi: da “invisibile” tutto diventa fin troppo “visibile”, ed è ostico fare opera di discernimento.

Tu sei pienamente dentro l’ambiente e hai anche condotto una trasmissione radiofonica dedicata all’indie: in che maniera ti destreggi nel traffico dell’infinita offerta della musica indipendente? Per esempio in radio quali criteri seguivate nel scegliere quali pezzi mandare e quali no?

La musica indipendente ha la fortuna di avere un pubblico che vive la Musica come una missione. Per cui ogni mattina puoi svegliarti e controllare qualche sito/Bibbia sul web e sapere in tempo reale se qualche 15enne svedese ha fatto un EP suonando una chitarra con uno spazzolino elettrico. In radio sceglievo i brani da mettere in playlist o nella mia trasmissione affidandomi alle sensazioni e scartando in partenza due categorie di artisti: i super pompati da grosse etichette, per i quali fare musica spesso è solo un mestiere, e quelli che considerano arte fare karaoke con le basi midi. Ho sempre trovato, in piccole realtà italiane e non, qualche splendida band in cui talenti incredibili si accompagnano con idee assolutamente nuove, slegate dai contesti commerciali.

Spesso l’ascoltatore di indie è un tipo attento, curioso, realmente intenditore di musica; talvolta però dietro tutta l’apparenza si nasconde una moda, una semplice posa condita spesso da una buona dose di spocchia e snobismo, che apprezza un artista in base ai dati di vendita e non in base al reale valore della sua musica. Quali distorsioni esistono nell’ambiente indie? Perché a volte un artista o una band vengono apprezzati per il solo fatto di essere “indie”, a prescindere dunque?

Prima di tutto tendiamo (e mi ci metto in mezzo pure io) ad essere un po’ autoreferenziali, ad esser sinceri. Per quanto riguarda il caso italiano, molto spesso, capita che “ce la si canti e ce la si suoni” tra un centinaio di persone che suonano/ascoltano/scrivono su/frequentano una particolare scena musicale. Per il resto, le vendite non contano nulla, anzi..se per alcuni una band inizia a “vendere” è sinonimo di sputtanamento, personalmente, invece, mi auguro che chi dimostra di valere qualcosa debba essere conosciuto da più gente possibile. Guarda il caso di Dente, sono stata felice quando ho sentito le ragazzine che cantavano le sue canzoni..e fino a pochi anni fa era un totale sconosciuto da Fidenza. La componente moda è fortissima, ovvio. Adesso vivo a Milano, prima stavo a Londra: in entrambe le città si muove compatta, verso i locali dedicati, un’umanità in skinny jeans e maglie eighties..

Per quanto riguarda l’aspetto più propriamente musicale, nell’indie c’è sempre l’egemonia prevalente dei modelli musicali anglosassoni o c’è spazio anche per tradizioni, stili, gusti, sonorità differenti – per esempio del mediterraneo?

Il fatto che sotto la macro casella “indie” ci vada roba che va dai !!! agli Zutons, permette di slegarsi da modelli anglosassoni o di qualsiasi tipo prestabilito. Le band possono permettersi, non obbligate da canoni orientati alla vendita, di creare liberamente. Senti gli Yesayer, di New York, magari “ Wait for the Summer” e dimmi quanto mediterraneo ci senti. Prova a mettere su un disco dei Vampire Weekend: loro stessi chiamano la loro musica Afropop. Potrei dirti decine di nomi di gruppi che fanno pizzica salentina o deviazioni del genere, ma personalmente trovo il genere molto meno coinvolgente dell’ultimo pezzo di Lady Gaga e Beyoncè.

Una domanda difficile a cui sono date risposte molto varie e talvolta in contraddizione fra loro: quando un gruppo o un artista travalica i confini dell’indie? In quale momento non è più da considerarsi “invisibile” ma chiaramente “visibile”?

Io credo che molto cambi nel momento in cui la priorità diventi la vendita. Non sono i grandi numeri a fare di un artista un indipendente o meno. Jack White per me è un “indie”, nonostante abbia fatto uno spot per una stranota bevanda americana e milioni di persone cantino popòpopòpopòpò sugli accordi di Seven Nation Army. Chiunque può dirti chi sia. È una questione d’attitudine l’essere invisibile. Guarda i Dandy Warhols, dopo lo spot della compagnia telefonica sarebbero potuti diventare come Shakira. L’invisibilità deve rimanere tale per chi pretende solo che la musica sia un qualcosa da mettere come colonna sonora della spesa all’Esselunga. Per il resto in Italia, andate a cercare gli artisti della Pippola Records, della Tempesta, della 42 Records o dell’Here I Stay, un’etichetta sarda con band veramente incredibili nel proprio catalogo.

Nei paesi affacciati sul Mediterraneo la vita delle etichette indipendenti è probabilmente più dura sopravvivere e lavorare rispetto al Nord Europa, Inghilterra in particolare. E’ solo una mia impressione o è realmente così? L’invisibile qui è più invisibile che lassù?

In Svezia i musicisti vengono finanziati dallo Stato. Ed è una cosa incredibile, che stimola la creatività e l’arte. Ma la Svezia è un paradiso dove ogni studente ha un computer fornito dallo Stato. I miei amici che suonano qua in Italia sono operatori di call center, camerieri, impiegati e operai. E nella quasi totalità dei casi hanno le pezze al culo e prendere le ferie per andare a suonare è spesso un’impresa. Di sicuro non potrebbero vivere di musica. Così come le etichette indie sono in mano a ragazzi che non se la passano molto meglio e mandare in stampa anche solo mille copie di un disco diventa una cosa non sempre semplicissima. Questo ha come prima conseguenza negativa il fatto di lasciare nell’invisibile persone che dovrebbero esser sentite da tutti, i cui pezzi -di diritto- dovrebbero sostituire tutta la programmazione da quattro soldi di alcune radio italiane che puntano su Gigi D’Alessio o Laura Pausini.

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