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Quando mai la terra ha promesso all’uomo che ottenere i suoi doni, men che meno un buon raccolto in vigna, sarebbe stato un gioco da ragazzi? Chi dedica davvero tutto sé stesso alla viticoltura questo lo sa bene praticando un’attività antica, ardua e complessa, facendo continui bilanci tra la fatica che essa comporta e le avversità che in un qualsiasi momento nel corso dell’anno potrebbero vanificarla.

Anche quest’anno come puntualmente accade, che vi siano piogge o siccità, si parla di annata pessima piuttosto che di fattori meteorologici avversi alla vendemmia; le stime che ne vengono fuori sembrano appartenere più alla scienza della divinazione che alla valutazione oggettiva, gettando di conseguenza un’ombra sulla vinificazione quand’essa è tuttavia in corso d’opera e non è quindi possibile procedere all’analisi sensoriale del vino che ne verrà, stabilendo pertanto ed in definitiva quanto l’incognita del tempo, e tutto quel che il clima comporta, abbia effettivamente influito sul millesimo 2014 in termini qualitativi.

In questo paese sempre più mediocre, supponente e pressappochista, pur ammettendo le significative perdite di quantità, sembra che si preferisca urlare alla sciagura a prescindere e mettere in forse la reputazione generale del “savoir faire” enologico italiano piuttosto che limitarsi a riportare le stime sul raccolto ed attendere giudiziosamente, per la miglior attendibilità delle notizie, l’esito del lavoro compiuto da chi non pone limiti alla provvidenza, si rimbocca le maniche e pratica per bene il suo mestiere. La questione climatica è un aspetto globale che non riguarda soltanto il nostro paese bensì tutte le aree vinicole al mondo; ciò non dovrebbe mai rappresentare un pretesto per inficiare il giudizio sull’esito qualitativo finale della vendemmia, almeno non prima che essa si compia, poiché così facendo il rischio di favorire il mercato vinicolo di un’area geografica piuttosto che di un’altra sarebbe alto e scontato. Se possibile però in Italia accade di peggio: oltre a non considerare, volutamente o meno, il fatto che la convivenza in una sola regione di fattori macroclimatici e pedo-climatici costituisca già da sola una fonte di variabili sufficienti a non dover azzardare generalizzazioni e pronostici sull’intera penisola o quasi, si pretenderebbe persino far passare per coraggio la rinuncia di taluni produttori a fare la bottiglia piuttosto che riconoscere il merito a chi sa affrontare le difficoltà che l’annata comporta dimostrando dunque di sapere come interpretarla.

Si, l’annata s’ha da interpretare e questa non è una novità! Col bel tempo e l’annata favorevole siamo tutti bravi a vendemmiare… troppo facile se si ha a che fare coi conferitori di uve rispedirle al mittente e prendersi una pausa di riflessione per vedere come andrà l’anno nuovo adducendo la scusa che la materia prima non è all’altezza della nomea del proprio vino; troppo facile rinunciare quando non si ha una vigna propria che reclama assidua presenza e sacrifici continui e lo scotto di una perdita non ricade su sé stessi e sui propri collaboratori! Quando la bottiglia non esce, fatto salve le debite eccezioni, il motivo sovente risiede nel non poter garantire al consumatore, quello dal gusto ormai fidelizzato, la formula prestabilita e collaudata di un marchio certo non siglato dalla Natura e intanto, magari, il produttore rinunciatario “eroicamente” si vede concedere gli aiuti all’agricoltura proprio mentre le sue bottiglie, d’annate precedenti s’intende, spuntano un prezzo più alto sul mercato di un almeno 20% circa.

Filippo Petrera

Il mestiere del vignaiolo invece è vocazione tutto l’anno, tutti gli anni, significa passione ardimentosa, pazienza incrollabile e fede nella capacità di proteggere le proprie viti e tradurre l’uva, la propria terra e ogni benedetta annata in Vino secondo coscienza e perseverante onestà.

Così come un navigante tra i flutti altrettanto un artigiano del vino forgia sé stesso esperendo soprattutto nei momenti difficili ed imparando a destreggiarsi tra i filari col tempo avverso e le malattie della vite.

Chi ama e rispetta la Natura, ama Dio e sé stesso”.

E’ su tali parole che Nicola Petrera fonderà l’azienda agricola ponendovi al centro dimora e tutt’attorno le vigne di Primitivo, proprio sull’ariosa e soleggiata collina di Spinomarino in contrada Gaudella a Gioia del Colle; era l’inizio del secolo XIX e furono anni di solida fatica quelli che contraddistinsero il suo lavoro: anni dedicati al disboscamento, al rassodamento del terreno, all’impianto delle viti, allo scavo per ricavare i pozzi che garantissero loro una buona riserva idrica e all’edificazione della cantina dalle cui fondamenta scolpite affiorerà altra roccia utile alla costruzione della masseria.

Filippo Petrera non si limiterà soltanto ad ereditare i tenimenti paterni assieme alla fede e TheFataloneFounderall’esperienza occorrenti a proseguire l’opera di “vignaiolo artigiano”, ma doterà l’azienda del marchio distintivo a forma triangolare, derivante dal simbolo inciso sulla pietra più alta posta sulla masseria proprio a designare la stessa, tra le prime dell’area, quale riferimento cartografico locale, unitamente al suo soprannome “Fatalone”, ricco di fascino, una certa fama e singolarità: nel dialetto gioiese Fatalone significa appunto “tombeur de femmes”.  E da amatore del bello e del buono Filippo Petrera visse sino all’età di 98 anni, nutrendo di buon mattino corpo e spirito con mezzo litro di latte appena munto e mezzo litro di Primitivo di Gioia del Colle, dedicando tempo, fatica, passione e pazienza ad un’attività che andava via via consolidandosi.

Passa il tempo, si avvicendano le stagioni e con la nascita di Filippo Petrera, nipote del “Fatalone”, siamo alla quarta generazione. L’incontro di amore e di idee tra Rosa Orfino e Filippo sarà un ulteriore rafforzativo per quella tradizione appassionata e vocata alla terra e alla vite  coerentemente dimostrata nel tempo; grazie alla sua lungimiranza, il progresso delle cantina di famiglia avverrà di pari passo col riscatto di nobiltà del ceppo gioiese del Primitivo: credendo ciecamente nelle proprie uve e nelle grandi capacità del Primitivo di superare la prova del tempo ed elevarsi a vino di grande pregio piuttosto che seguitare ad essere relegato a semplice uvaggio da taglio, Filippo Petrera decide di fondare nell’anno 2002 il Consorzio di Tutela e Valorizzazione dei Vini DOC di Gioia del Colle, trascinando verso il futuro la sua filosofia e l’intera produzione del comparto vitivinicolo di quell’area. Difficile con queste premesse non definire quintessenza del Primitivo di Gioia del Colle il rosso di casa Petrera.

Pasquale, classe 1978, stretta di mano forte e sorriso genuino, è figlio di Filippo Petrera e detentore di quei grandi valori di fede, dignità, rispetto per la terra e per il prossimo, di quella determinazione e spirito di sacrificio che la formazione e l’educazione avvenute in famiglia gli hanno trasmesso. Fiero esponente della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, maturità scientifica, due anni di studio nel corso di Laurea in Fisica all’Università di Bari ed una gavetta in vigna e in cantina lunga oltre 15 anni, sotto la costante guida del padre ed i consigli del nonno materno Giuseppe; appassionato ad autori quali Domenico Modugno e Lucio Dalla, alla musica degli anni ’80 e ai balli Latino-Americani, nel tempo libero legge testi di biodinamica, saggi di psicologia, pubblicazioni scientifiche e libri in cui il debito riscatto culturale del Mezzogiorno d’Italia è ben giustificato dalle fedeli narrazioni storiche ivi riportate… considerando “la vite al pari di un essere umano”, sopra ogni cosa, Pasquale Petrera è vignaiolo di mestiere con la testa, le mani, ed il cuore. Anche lui come tutti i suoi predecessori ha acquisito quei tratti essenziali e la filosofia familiare in perfetta linea di continuità nell’apportare all’impresa familiare il suo tratto distintivo: condividendo la medesima vocazione per il viaggio del Primitivo, Pasquale, zaino in spalla, ha saputo con semplicità farsi ambasciatore dei suoi vini, della sua terra, della filosofia e dei valori familiari dimostrando la spiccata capacità di confrontarsi col mercato globale e ricavando le meritate soddisfazioni ed il riconoscimento internazionale per la sua cantina di essere una grande eccellenza del Vino italiano.

La sua personale visione di quello che la vendemmia, l’annata e il vino dovrebbero rappresentare…

La vendemmia è il traguardo di un percorso, la fine di un ciclo che ne apre un altro, mentre l’annata è il tragitto stesso, quello che percorri, compresa l’andatura e lo spirito col quale procedi. Il vino è la medaglia, il coronamento dei tuoi sforzi con tanto di apprezzamento ed include anche il suo racconto, quello che dice davvero come a quel traguardo ci si è arrivati. Riteniamo che la vendemmia debba essere altresì la fotografia dell’annata e di ogni singolo fattore che l’ha caratterizzata e, di conseguenza, vogliamo che i nostri vini siano semplicemente la più autentica interpretazione delle nostre uve, del nostro territorio, della nostra personalità e di ogni singola annata, che per quanto sfavorevole possa essere, resta sempre degna di considerazione e degna di essere espressa. Se vogliamo per noi le parole vendemmia e annata sotto certi aspetti finiscono col coincidere: per noi è vendemmia tutto l’anno. La vendemmia infatti non è un “semplice” e scontato gesto limitato solamente alla raccolta, che in realtà di semplice non ha proprio nulla, specie se fatta a mano, posta in cassetta e con la selezione che si conviene e men che meno lo è se pensiamo a quanto delle infauste intemperie possono vanificare in qualche ora i sacrifici di un intero anno. Ogni singola scelta dunque, ogni singolo gesto compiuto durante l’anno prelude e conduce alla vendemmia, anzi alle vendemmie, perché in vigna alcuni gesti hanno valenza pluriennale: quando il potatore guarda la vite dev’essere consapevole che ne deciderà la sorte per molti anni. Il nostro approccio al lavoro in vigna e alla produzione di vino è orientato assolutamente verso la sostenibilità, la naturalità e la più autentica, chiara e pulita espressione della varietà e di ciò che la circonda. Ma tutto questo è possibile solo se si impara a sentire e a vivere con la natura, con la propria terra e con le proprie viti un rapporto simbiotico, considerando essa al pari di un essere umano. Ti accorgi di esserci riuscito solo quando questo rapporto nutre il tuo spirito, quando ti accorgi che calpestando la tua terra e passeggiando nei tuoi vigneti, i tuoi occhi riescono ancora a stupirsi, respiri quello che ti circonda e lo riconosci e ti ci riconosci. Questo è l’unico modo che conosco di concepire terra, vendemmia, annata, vite, vino… e se non mi fosse stata trasmessa questa visione, credo avrei fatto un altro mestiere.

Vino e musicoterapia. Ci parli di questa e di altre peculiarità che rendono inconfondibili i suoi vini.

Al di là di tutte le attenzioni che dedichiamo alle nostre viti e ai nostri vini assecondando le loro caratteristiche e peculiarità, credo che la vera e unica chiave di lettura per interpretarli, quello che li rende davvero unici agli occhi dei nostri estimatori, sia il semplice fatto che essi rispecchiano la fedele immagine della nostra personalità, o meglio, della personalità della nostra terra, poiché è nel territorio che noi e i nostri vini traiamo identità, ispirazione e una materia prima dalle precise caratteristiche. Volutamente non costruiti ad uso e consumo di un mercato, di una tendenza o di un gusto piuttosto che di un altro, i nostri vini nascono nella maniera più genuina che conosciamo, amandoli e rispettandoli per ciò che sono. Ma tutto ciò richiede fatica, l’attività in vigna è costante ed in molti periodi dell’anno addirittura frenetica e dopo una giornata di duro lavoro, per distogliere il pensiero dalle incognite legate al meteo e ad altri fattori e per poterci rinfrancare dalla stanchezza accumulata in un’intera giornata ci concediamo l’ascolto della buona musica. La musica ha un effetto straordinario sullo spirito delle persone ed è capace di appianare tutto quel che stride riconducendolo ad una frequenza armonica in cui il tutto vibra. Abbiamo pensato che ciò possa ben valere anche per il vino, materia viva in continua evoluzione, dedicando proprio al nostro Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva Fatalone la musico-terapia, praticata diffondendo nella bottaia suoni della natura miscelati a musica classica e sfruttando l’energia meccanica delle onde sonore per migliorare il naturale processo di micro-ossigenazione in atto nel vino durante l’affinamento in legno, col fine ultimo di conferire un’ulteriore tocco di armonia e morbidezza alla struttura, aspettando il prodigio dell’eleganza e della maturità: fattezze che solo il tempo sa scolpire in un vino; il Primitivo Fatalone Teres, rosato intenso, è la nostra versione in rosa del Primitivo e sua unica espressione possibile nei Racemi, secondo frutto delle viti di Primitivo, ma metronomo dello stesso, perché la sua presenza acerba sulle vite al momento della maturazione del primo frutto ne detta i tempi di raccolta. Il Teres, con i suoi grappolini dalle bacche estremamente minute, dalle connotazioni organolettiche selvatiche ma così ricche di fragranza, delicatezza e freschezza è un’esuberante espressione del nostro modo di vinificare che stupisce per la versatilità di abbinamento se ben giocato sulla variazione di temperatura; Il nostro Gioia del Colle DOC Primitivo Fatalone con il suo fruttato maturo di amarena, mora, prugna e gelso è inconfondibile grazie allo schietto retrogusto di mandorlato e carruba, marcatore inimitabile del territorio di Gioia del Colle nel Primitivo, che si schiude insieme alle note balsamiche e quasi salmastre impresse in vigna, sulla collinetta di Spinomarino, dalle brezze che soffiano dal mare a Nord, Est e Sud.  Il nostro Fatalone Bianco Spinomarino è l’espressione del Greco di “opposta sponda”, delicatamente fruttato, floreale e minerale, nutritosi nella roccia affiorante calcareo-argillosa di origine marina, su cui sono nate le nostra vigne. Tutti i nostri vini altro non sono che le varie tonalità e sfumature con cui ci piace narrare la nostra terra e i suoi frutti, capaci di esprimere nel contempo l’eleganza e la sensibilità di una donna, la forza di un uomo, la spontaneità di un bambino.

Fatalone Brand

Nonostante le problematiche derivanti dal clima avverso e la naturale diminuzione di materia prima ha dovuto cimentarsi, quest’anno particolarmente, anche con altri avversari della vite e per di più con un protocollo che coinvolge tutti i processi della filiera produttiva per il vino organico estremamente più rigido rispetto a quelli previsti dai disciplinari. Quali difficoltà ha dovuto affrontare, come ha saputo correre ai ripari e quali conclusioni l’hanno dunque portata a decidere di interpretare l’annata malgrado i rischi che ne derivano?

Per la totale trasparenza verso i nostri sostenitori abbiamo registrato che il 40-50% della produzione sia andato perduto, ma dal rimanente frutto abbiamo tirato fuori, come ogni anno, il meglio di noi e dei nostri vini biologici a marchio Fatalone, garantendo, a qualunque costo, che saranno assolutamente all’altezza della loro fama di genuina personalità e territorialità. Per quest’annata siamo stati in operosa tensione sino alle battute finali della vendemmia 2014 dopo un percorso fra i più accidentati dell’ultimo decennio; con la raccolta dei Racemi di Primitivo abbiamo completato l’opera, per dare anche a quest’ultimo piccolo frutto delle nostre viti la dignità di vino, espressione in rosa per nostra delizia. Annata davvero difficile che nonostante abbia visto la nostra strenua difesa biologica della pianta e del frutto paga lo scotto di condizioni climatiche decisamente avverse ma assolutamente favorevoli ad una virulenza di agenti patogeni raramente vista in passato. L’unica maniera per contrastare tali avversità è stata per noi presenza e perseveranza in vigna per salvare il salvabile, anche senza la certezza che alla fine ci sarebbe stato qualcosa da salvare. In biologico presenza e perseveranza a volte possono anche non bastare però. Una volta poi giunti al momento della vendemmia la difficoltà maggiore è stata naturalmente la selezione dei grappoli da raccogliere in vigna, ma abbiamo saputo costruirci negli anni una squadra di operatori collaudati, affidabili ed esperti, che ha saputo svolgere egregiamente il proprio compito, come sempre del resto. Chiaramente in casi del genere anche il rendimento dell’operatore potrebbe subire un evidente calo, per la maggior attenzione da dover dedicare a ogni singolo ceppo, ma abbiamo messo in conto anche questo ed è per questo che nel tempo ci siamo circuiti di personale motivato e deciso a perseguire la nostra filosofia. Se si decide di portare a compimento una campagna, si dev’esser pronti a farlo a qualunque costo, altrimenti meglio rinunciare ancor prima di cominciare. Nel nostro mestiere si vive anche di soddisfazioni e gratificazioni, soprattutto durante annate come questa che possono rivelarsi davvero generose: pensiamo che la capacità e la competenza di un produttore che lotta per difendere il proprio vigneto e l’autenticità del suo vino si distinguano e si misurino proprio in fasi particolarmente difficili come questa e non crediamo in motti pubblicitari del tipo “quest’anno abbiam deciso di non trasformare o di non andare in bottiglia perché il prodotto non era all’altezza”. In realtà in molti casi servono solo a mascherare situazioni in cui non si è stati all’altezza o non si è avuto abbastanza polso, esperienza, competenza e presenza in vigna per proteggere i propri frutti e offrire comunque una degna interpretazione dell’annata, per quanto sfavorevole essa possa essere. Ovviamente parlo mettendo in conto le dovute eccezioni poiché con vigneti letteralmente flagellati da tutte queste avversità l’uomo non può nulla.

Pasquale Petrera

Non che in annate miti la nostra sia una passeggiata di salute. Volendo volgere un rapido sguardo ai disciplinari, noi siamo soggetti sia a quello che la DOC Gioia del Colle prevede per il Primitivo, sia a quello che la UE prevede per i vini biologici. Ma il nostro personale atteggiamento (non a caso parlo di atteggiamento e non di protocollo) va ben oltre i requisiti dei disciplinari cui siamo soggetti. Ci atteniamo a rese ben più basse per una migliore evoluzione del frutto ed è una scelta che compiamo già in potatura secca con tutti i rischi che ne possono derivare. I nostri processi di invecchiamento e affinamento sono decisamente più lunghi, a volte anche il triplo dei tempi previsti dal disciplinare assegnato al Primitivo, perché per noi gli unici fattori di stabilizzazione e chiarifica del vino sono il tempo e il freddo. Non utilizziamo nessun agente chiarificante o stabilizzante seppur ammessi dal disciplinare bio (siano essi a base di pesce, uova o latte) e per questo i nostri vini sono idonei anche per vegani essendo privi di allergeni, facendo uso di solfiti, presenti in quantità minime, mediamente meno della metà dei quantitativi ammessi dal disciplinare bio. In vigna proteggiamo le nostre piante con le sole tradizionali armi del rame, della calce e dello zolfo, impiegate con paziente perseveranza, oculatezza e tempismo e le uniche concimazioni sono rappresentate dal sovescio dell’inerbimento spontaneo insieme agli scarti di potatura e i sottoprodotti della vinificazione come raspi e vinaccia. Tutto questo non rientra in nessun disciplinare o protocollo ripetuto, ma è frutto della nostra attitudine a lasciare quanto più spazio possibile all’espressione del frutto nel senso più ampio, annata per annata, adattandoci, talvolta improvvisando, pur di raggiungere lo scopo di essere buoni e fedeli interpreti di questo romanzo.

A suo avviso il “concept” di vino integralmente naturale dovrebbe contemplare l’uso esclusivo di lieviti indigeni? Oggigiorno i soliti esperti affermano che in fondo l’uso di lieviti alloctoni non modifica di gran lunga il risultato finale della vinificazione; d’altro canto però bisognerebbe riconoscere che la componente olfattiva, quella più direttamente coinvolta, equivale comunque ad un terzo dell’esame sensoriale definitivo, anche se tuttavia pare che una certa tipologia di estimatori, ammaliati da sentori spinti o protesi verso l’opulenza, non sembra porsi più domande di questo tipo, persuasa di saper bene cosa cercare in un vino etico e di qualità…

Se si ama il vino naturale, ben oltre una delegittimata certificazione di vino biologico, e lo si vuole tale con coerenza e dedizione, se lo si intende come più autentica espressione della varietà, aderente ai suoi luoghi d’origine e capace di raccontare ogni singola annata come una storia a sé, allora si deve essere disposti a rinunciare ai compromessi con ogni sorta di omologazione. Ma non sono un talebano al punto da disconoscere o demonizzare i benefici della scienza, della tecnologia e del progresso, quando non vengono abusati per sopperire negligenze, ma adoperati in soccorso di situazioni particolari, con diligenza e coscienza. Se capitassero annate particolarmente a rischio di fermentazioni anomale, anch’io ricorrerei ai lieviti selezionati, ma col distinguo che nel nostro caso, grazie all’appena menzionata scienza e ricerca applicata, ad oggi esistono lieviti selezionati da vigneti di Primitivo, in grado pertanto di rispettare pienamente il varietale. Più in generale un vigneto sano in un terreno sano e soprattutto vivo, non sterilizzato da anni di chimica applicata ed abusata è già dotato di un corredo di microrganismi capace di svolgere in piena efficienza il proprio compito in perfetta integrazione col suo habitat.

Sovente, e non senza pregiudizio, una certa categoria di esperti guarda con occhio torvo i vini biologici per diverse ragioni, talvolta tanto errate quanto diffuse, e sempre in caccia del tanto famigerato sentore imputabile al “brettanomyces”, di conseguenza all’etilfenolo. Sarebbe il caso di fare un po’ di chiarezza a riguardo e magari sfatare anche qualche mito sulla qualità dei vini naturali rispetto a quelli convenzionali, non trova?

Ancora una volta, credo che per rispondere alla domanda si possa e si debba semplicemente ricorrere al buon senso. Per me il vino dev’essere innanzitutto e soprattutto buono. Se per raggiungere tale obiettivo sono in grado di farlo in maniera naturale, dipende solo dalle mie capacità e dalla mia volontà. Essere un produttore di vino naturale non vuol dire abbandonare il vigneto a se stesso e lasciare il vino fermentare e progredire senza alcuna cura e con le mani in mano. Voler essere un produttore di vino naturale e territoriale è una scelta radicale e perseguirla non è affatto facile. Detto questo, se talvolta i vino biologici o naturali son stati associati a vini da sgradevoli sentori olfattivi o gusto olfattivi è dipeso dalle singole interpretazioni di quei produttori che hanno una visione tutta loro del vino naturale, diversa da altri, con connotazioni che a me piace definire “selvatiche”. Se si vuole che il vino sia prima di ogni altra cosa “espressione”, sia essa del varietale, del territorio, dell’annata o più visceralmente della personalità del produttore, si devono accettare tutte le sfumature che da essa scaturiscono, facendo però sempre attenzione a monitorare la sanità delle uve, attuando una rigorosa tenuta delle attrezzature e dell’ambiente cantina in ogni suo angolo. Poi sta al consumatore scegliere quel vino in cui meglio riconosce l’appagamento del suo gusto personale.

Una tale esasperata ricerca della qualità non poteva che sortire quale ultimo grande riconoscimento, attributo proprio nel giugno di quest’anno al Fatalone Riserva, il premio come miglior vino biologico da uve autoctone del Mezzogiorno alla trascorsa edizione enologica di “Radici del Sud”; sembra però, a parte le menzioni ed i premi attribuiti da alcune guide nazionali e durante importantissime rassegne enologiche quali il Merano Festival ed il Vinitaly, che maggiori elogi e premiazioni giungano dall’Estero: se non ricordo male al “Decanter World Wine Awards 2013” il Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva Fatalone 2007 ha vinto addirittura la medaglia di bronzo e non mancano le recensioni su riviste specializzate sia europee che d’oltreoceano. Ma a cosa è dovuto il sempre più crescente apprezzamento dei suoi vini sui mercati stranieri piuttosto che in Italia? I consumatori hanno difficoltà a riconoscere i pregi nei vini della nostra terra? 

Credo che la verità in questo caso sia nel mezzo, ossia per riconoscere i pregi del “vino della terra”, senza compromessi e omologazioni, occorre un consumatore di nicchia, molto esigente e preparato, ma curioso e aperto alla possibilità che ci sia ancora qualcosa da scoprire, imparare e capire. Questo discorso vale tanto per il consumatore estero quanto per quello italiano. La geografia della vite e del vino si evolve, ci sono oggi zone della terra con emergenti produzioni ove prima non si sarebbe mai pensato di impiantare un vigneto ed altre dove questo patrimonio sta rinascendo dopo l’oblio dell’abbandono e del disinteresse per questa attività da generazioni: Sud Africa e Georgia (ex Unione Sovietica) per citarne solo un paio. La forza del vino risiede proprio nella capacità di poter raccontare anche luoghi così lontani da noi. Il coraggio di veri vignaioli e importatori d’ampie vedute può arrivare a portare quel distante ma appassionato racconto fino a noi. Ma il consumatore deve saper e voler ascoltare quel racconto, deve aver sete… di conoscere ed esplorare. Ogni qual volta mi reco all’estero in contesti dove posso assaggiare vini autentici da tutto il mondo, ho brama di cogliere ogni occasione per assaggiare un pezzo di mondo o farne letteralmente il giro a suon di saporiti sorsi di terroir. Le guide e le riviste di settore rappresentano, in determinati casi, un discorso a sé stante che segue tutt’altre dinamiche…

Volgendo nuovamente lo sguardo alla corrente vendemmia cosa potremmo dedurre rispetto ai danni di immagine che un certo tipo di informazione procura al Vino italiano? Generalmente quale potrebbe essere l’approccio dei buyers stranieri in tali situazioni spinte da una errata informazione?

In passato abbiamo visto alcune nostre annate, come ad esempio la 2002, fortemente penalizzate sui mercati (si noti che la 2002 è stata un’annata che noi stessi non abbiam ritenuto all’altezza di divenir Riserva) anche dalla generale reputazione che si trascinava e temo che qualcosa di simile possa accadere anche per l’annata 2014. D’altro canto c’è anche da dire che negli ultimi anni è cresciuta molto sia la preparazione tecnica degli operatori internazionali, sia il grado di fidelizzazione che noi siamo riusciti a raggiungere su molti mercati, dove paradossalmente attenderanno con curiosità l’uscita del millesimato 2014 per vedere cosa siam riusciti a combinare anche in un’annata così penalizzante. Parliamo però sempre e quasi esclusivamente di mercati di nicchia e di consumatori di nicchia, mediamente molto attenti e preparati. Per citare un aneddoto, quest’anno ho ricevuto diverse telefonate di nostri importatori che mi chiedevano quale fosse la reale situazione della campagna, allarmati dall’informazione trasmessa dai media, ma anche consapevoli che ci sono sempre tanti aspetti e sfumature da analizzare al di là di quel che si scrive.

Ha viaggiato molto e ha potuto confrontarsi con un sacco di personalità del mondo del Vino, tra l’altro sembra che la stessa Alice Feiring sia una estimatrice dei vini biologici Fatalone. Ci racconta qualche aneddoto sulle persone e sui paesi che più la hanno affascinato? A proposito, come sono visti i vini naturali dai consumatori e dalla critica internazionale?

Bene, vero è che Jancis Robison e Jeremy Parzen sono grandi estimatori dei nostri vini e quest’ultimo si è compiaciuto di portare una bottiglia del nostro Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva Fatalone 2005 ad una cena a casa di Alice, che a mia volta ho avuto il piacere di conoscere personalmente in Australia, dove lei ha potuto assaggiare tutti i nostri vini; ma di qui a dire che lei sia una grande estimatrice dei nostri vini, e ne sarei onorato, non mi piacerebbe presumerlo finché non fosse lei stessa a dirlo. In ogni caso, mettendo da parte questa piccola puntualizzazione, ho avuto modo di constatare l’attenzione che consumatori e critica internazionale dedicano ai vini naturali e alla loro capacità di rispecchiare il territorio di provenienza, che va ben oltre la mera certificazione di vino biologico, ormai spogliata di tanto significato con l’ultima normativa europea, a mio avviso sin troppo blanda e permissiva, poco qualificante per un artigiano ma molto appetibile per un industriale del vino. Quanto ad aneddoti, quello che mi è sempre rimasto più simpatico da raccontare è il modo in cui il nostro distributore alle Hawaii ama presentare il nostro Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva Fatalone. A mio avviso la sua idea coglieva perfettamente lo spirito racchiuso in quella nostra bottiglia… “il miglior modo per poter apprezzare una bottiglia della nostra Riserva era svegliarsi al mattino molto presto, stappare una bottiglia del nostro Fatalone Riserva e lasciarla lì sul tavolo, aperta, uscire di casa quando ancora albeggia per recarsi in un bosco e cacciare qualcosa con le proprie mani, tornare finalmente a casa, preparare la cacciagione a lasciarla cuocere a fuoco molto lento. Quando la selvaggina sarebbe stata cotta a puntino e pronta per farsi gustare, la nostra Riserva sarebbe stata allora e solo allora prontissima per accompagnare ed esaltare l’abbinamento, facendosi ammirare in tutto il suo splendore”.

Nonostante il successo e la sua partecipazione a importanti manifestazioni anche in Italia il marchio Fatalone non compare su tutte le guide del Vino, a cosa lo si deve? Possono le associazioni e gli enti di categoria fare di più per produttori come lei?

A esser sinceri ci sono delle guide che riservano il giusto grado di attenzione anche a realtà come la nostra, a vini naturali, territoriali, veri e per i consumatori più attenti si possono trovare recensioni dei nostri vini su ViniBuoni d’Italia (che ha “incoronato” il nostro Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva Fatalone nelle nostre ultime 3 annate consecutive col massimo riconoscimento), I Vini d’Italia de L’Espresso, SlowWine e quest’anno anche il Gambero Rosso che ha concesso alla nostra Riserva i 2 bicchieri rossi, finalista per i 3 bicchieri. In generale ci sono comunque guide e guide, quelle enciclopediche o che comunque descrivono più l’immagine che il contenuto e quelle che si riservano di dare attenzione solo a determinate realtà. A un produttore come me, semplicemente la democratica scelta di sottoporre i vini alle guide che più reputa imparziali, prive di preconcetti e gerarchie e soprattutto attente alle sfumature dell’artigianalità, del territorio, della naturalità e della sostenibilità.

Cosa prevede dunque per il futuro del vino naturale e cosa possiamo attenderci dai vini biologici Fatalone delle cantine Petrera per quest’annata intensamente carica di lavoro ed emozioni? Un auspicio al Vino Italiano…

Spero che gli artigiani del Vino Italiano, i vignaioli, possano essere messi in condizione di continuare a emozionare il mondo intero comunicando il loro territorio e la loro passione nella maniera più autentica e genuina possibile, secondo coscienza e buon senso, senza estremismi, perché questa credo sia la chiave per il vino naturale Italiano che può ancora conquistarsi tanto consenso in giro per il mondo, benché comunque sempre di mercati e consumatori di nicchia si tratterà. Noi in questa tormentata annata 2014 abbiamo fatto e stiamo facendo la nostra parte per portare comunque in bottiglia una degna rappresentazione del vitigno, del territorio e dar voce anche a quest’annata e a quello che essa avrà da raccontare a chi vorrà ascoltarla, togliendole il sigillo al tappo. Rischio di essere ripetitivo ma il futuro del vino Italiano sta in un ritorno al passato e ad un forte legame col territorio e la cultura da cui proviene, da proporre e riproporre infaticabilmente col pathos e l’orgoglio che solo la consapevolezza dell’unicità e dell’autenticità del proprio operato in un contesto così ampio, unico ed irripetibile come l’ampelografia italiana può suscitare in chi al vino sceglie di dedicare la propria vita, di chi su un territorio sceglie di apporre la propria firma.

LINK CONSIGLIATI:

http://www.fatalone.it/

http://www.fivi.it/

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