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Il viaggio di Nicola Calipari, lo spettacolo di Fabrizio Coniglio e Alessia Giuliani è a Cagliari dopo le 100 repliche in giro per l’Italia. Sarà il Teatro delle Saline ad ospitare l’evento l’11, il 12 e il 14 dicembre alle ore 21.00.

Il tema è forte, di quelli che lasciano sgomento e amaro in bocca, che pongono interrogativi ai quali nessuno darà mai risposta. La sera del 4 marzo 2005 moriva l’alto funzionario del Sismi Nicola Calipari impegnato nella liberazione della giornalista Giuliana Sgrena rapita a Falluja in Iraq dalla Jihad islamica. Ucciso dal fuoco amico americano Calipari venne proclamato subito eroe.

La vicenda divenne un caso giudiziario fra i più controversi della storia d’Italia col nostro Paese che rinunciò fin da subito alla celebrazione di un processo per accertare le responsabilità americane.

In uno scenario minimalista, due sedie e un leggio, Fabrizio Coniglio e Alessia Giuliani ripercorrono il rapimento, il viaggio, le emozioni per la liberazione, il dramma della morte. Due vite, quelle di Giuliana e di Calipari che saranno unite per sempre da un destino duro e crudele. Ma fu solo il destino l’artefice della tragedia?

Sarà presente all’evento Giuliana Sgrena, testimone d’eccezione, nel ricordare quella sera funesta  con il magistrato Paolo De Angelis e il giornalista Claudio Cugusi che interagiranno col pubblico moderati da Luca De Angelis.

il-viaggio-di-nicola-calipari-fabrizio-coniglio-teatroA quasi dieci anni dal tragico epilogo Fabrizio Coniglio, affermato attore professionista, trae spunto dalla vicenda per proporre uno spettacolo teatrale fuori dall’ordinario. Il pubblico, in una immaginaria aula di tribunale, sarà chiamato a giudicare in quel processo mai svolto.

Un eroe è colui che non muore mai, colui che viene rapito in cielo per le sue gesta, colui che non può essere dimenticato e vive nella memoria di un popolo. Fabrizio usa la sua arte e il teatro per conservare la memoria di Nicola Calipari un uomo dal grande cuore, dal coraggio infinito, cittadino di un paese troppo spesso incoerente e ricco di contraddizioni.

Chi è Fabrizio Coniglio?

Nato a Torino, trentanove anni, attore. Tre anni di studi al Teatro Stabile di Genova, accademia pubblica molto selettiva, che è stata per me il primo banco di prova per capire se sarebbe stato il mio mestiere. Lì ho iniziato a conoscere il grande teatro.

La passione per il teatro l’avevo già dalle superiori, quando feci un corso di recitazione. Quando si è trattato di decidere il mio futuro ho pensato che era importante fare una cosa che mi piacesse. Ho avuto la fortuna di fare il concorso a Genova e di essere preso. E’ stato un percorso difficile, ma già dal primo anno ho lavorato col Teatro Stabile in grosse produzioni. Mi sono trasferito poi a Roma dove ho conosciuto Mario Scaccia e ho lavorato con lui nella XII Notte di Shakespeare. Di lì poi ho lavorato con Flavio Bucci, Nando Gazzolo, compagnie più di giro e ancora Mario Scaccia nel L’Avaro. Poi al Teatro Stabile di Bolzano col pluripremiato Fausto Paravidino, l’autore italiano più rappresentato all’estero.

Ho avuto ruoli anche in televisione. Una in particolare con Enrico Brignano, Fratelli detective, mi ha fatto conoscere Bebo Storti col quale è nata una collaborazione artistica e un’amicizia.

In diversi ruoli sia teatrali che televisivi hai rappresentato lo Stato, è un caso o è un qualcosa che ti ispira?

Con Beppe Fiorello nel L’Uomo Sbagliato è stato un caso, ma negli spettacoli teatrali per me è importante raccontare il mio Paese e sono storie del mondo d’oggi.

I grandi casi nazionali irrisolti si prestano particolarmente bene alla rappresentazione teatrale?

Sono storie che mi colpiscono a livello emotivo. Come persona di teatro penso che quelle storie possano avere una valenza teatrale forte. Invece di rappresentare vicende non reali e immaginarie mi piace rifarmi alla realtà come strumento di riflessione anche per i cittadini.

Nella mentalità dello spettacolo in questo momento c’è una bulimia di intrattenimento e di risate che troppo spesso ci rende ciechi di fronte al nostro Paese. In Italia bisogna osare, bisogna raccontare altro.

Come è nata l’idea di questo spettacolo?

Sono figlio di un generale dell’esercito. Nicola Calipari ha dei tratti anche fisici che mi hanno sempre ricordato mio padre, i baffi, uomo del sud, mi ricorda qualcosa di personale. In quella macchina ci sono due persone distanti: una giornalista del Manifesto fortemente connotata ideologicamente e un altissimo funzionario capo del dipartimento ricerche dei Servizi Segreti italiani che verranno uniti per sempre dalla sparatoria. L’ultimo gesto di quest’uomo che copre col suo corpo un’estranea in un atto epico e fortissimo si presta alla dimensione teatrale. Ci sono sentimenti al di fuori del quotidiano.

L’allora Ministro della Difesa aveva detto che il fatto aveva i lineamenti di una tragedia greca, il fato impedisce all’eroe di cogliere il frutto del suo valore quando la mano che uccide è mossa dai disegni del destino. Tu credi nel destino?

Sì, credo nel destino. In questo caso però è un alibi. Il destino lo si può anche manipolare. Calipari e Giuliana erano a 900 metri dall’aeroporto. Si sono imbattuti in un check point irregolare, non segnalato e dal buio sono arrivati degli spari. Non penso sia stato il destino. Nel mio spettacolo metto a confronto le testimonianze di Giuliana, Carpani che era alla guida dell’automobile e il soldato americano Lonzano che ha sparato. Sarà il pubblico a giudicare.

Come autore e come regista ti sei ispirato a fonti ufficiali?

Tutte le persone che parlano hanno parlato con me o in documenti.

Lo spettacolo ha una prima parte, la più emotiva, che va dal 4 febbraio al 4 marzo in cui il fulcro è Giuliana Sgrena che interloquisce con i sequestratori e poi con Nicola Calipari. Nella seconda parte si celebra il processo che non è mai stato fatto in tribunale, ma che facciamo in teatro. I testi sono tratti da quello che è stato detto in maniera ufficiale in aula o in maniera ufficiosa ai giornali o a me. Mi rifaccio anche al libro Fuoco amico di Giuliana, alle sue parole, ma anche a quelle dei familiari di Calipari.

Come ricordi quel 4 marzo 2005?

Ero in tourné in Basilicata. Quando ho finito lo spettacolo sono stato colpito dallo spreco di commenti su Giuliana. Si diceva che avrebbe dovuto starsene a casa che era comunista, che lì non ci faceva niente. In Italia c’è un po’ l’abitudine al linciaggio e alla soluzione facile.

Eri già stato in Sardegna?

E’ la quarta volta che porto un mio spettacolo a Cagliari

Questo spettacolo lo avevo portato a Sinnai e Tortolì nel 2008, però mai in questa forma così completa che mette l’accento anche sulla situazione ambientale nella quale lavorava Calipari, sul tentativo di depistaggio fatto quella sera.

Andremo anche in Ogliastra a Girasole il 13 dicembre, è importante andare in comuni con poche risorse.

Come risponde il pubblico sardo?

La Sardegna è una terra che ascolta, molto attenta e che si fa sempre sentire a livello nazionale. Queste tematiche le sente in maniera viscerale. Mi sono sempre trovato bene.

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