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Polveriera Kosovo. Il terrorismo e il nuovo teatro di Jeton Neziraj

TEATRI I RI NË KOSOVË, è il titolo del docufilm di Anna Maria Monteverdi. Un viaggio in Kosovo, territorio “cuscinetto” che cerca di conquistare la sua agognata libertà dopo la fine, almeno per ora, delle guerre balcaniche. Territorio con tanti problemi da affrontare, dove la povertà economica e sociale alimenta un disagio senza controllo. Tanto per fare un esempio, il Kosovo è la regione europea da cui parte il maggior numero di mercenari della Jihād al mondo.

Il film chiude l’esperienza pluriennale di scoperta del teatro kosovaro da parte della critica e docente di storia del teatro Anna Maria Monteverdi che, con coraggio e grande intuito, mette in luce un angolo di mondo altrimenti invisibile. L’autrice racconta il teatro di Jeton Neziraj, drammaturgo kosovaro di grande talento che affronta i contesti contemporanei con estrema lucidità, ironia e sarcasmo dissacratore. Neziraj è stato forse uno dei più giovani direttori di un Teatro nazionale in Europa, poi allontanato perché reo di essere antipatriota e antimusulmano, in una terra dove non è facile dissentire su questi temi. Un nazionalismo senza una nazione certa, che provoca una continua tensione identitaria, perciò la religione sostituisce l’ideologia e ogni forma di cultura libera.
Ai tempi della Yugoslavia esisteva un centro culturale in ogni agglomerato urbano, anche nel più remoto villaggio del territorio, oggi le biblioteche o “case della cultura” sono sostituite da moschee. Migliaia di costruzioni finanziate dai paesi del golfo, molte volte luoghi in cui si formano i futuri jihadisti, cresciuti a pane e odio.
Kosovo, dove la guerra sembra non sia mai finita. I Balcani come crocevia di culture, opposti nazionalismi, cortocircuiti sempre più evidenti tra un passato schermato dall’aura mitica della gloriosa armata islamica e un futuro sempre più incerto. Una “terra di mezzo” fra la tradizione europea e la devastazione culturale operata dai regimi nazionalisti prima e dalla bestia jihadista di oggi. Il passaggio dalla Yugoslavia di Tito, che aveva bene o male riunito sotto un’unica direzione paesi e popolazioni, al caos identitario è evidente e molto pericoloso. La tensione non è finita, tanto che il paese è ancora sotto il controllo internazionale del programma Eulex. La corruzione ha raggiunto molti strati dell’amministrazione pubblica, dove la politica non ha più cittadinanza. Una geografia che non da scampo, circondati da famelici vicini che rivendicano la propria parte.
In questo caos in continua trasformazione, il nostro regista dice di sentirsi a casa “vivo un momento di cambiamento epocale, e voglio viverlo dall’interno”.  Anche se questa scelta gli costa molta fatica, pericoli e continue minacce.

“La distruzione della Tour Eiffel” è lo spettacolo dove si racconta un obiettivo impossibile da immaginare: distruggere il simbolo del progresso, dell’Europa che vive ricca e felice. Arriva con una tragica coincidenza con i fatti di Parigi, anticipando tristemente la furia suicida di ragazzi, apparentemente come tanti. Lo affronta con l’arma dello scherno, della parodia estrema del fenomeno del terrorismo islamico. Stando sempre molto attenti al linguaggio e alle fonti storiche, in un continuo parallelo fra tradizione e attualità. Basta un errore nel vestiario che la disperazione e la paura prendono il sopravvento su tutto. Non esiste famiglia, lavoro, figli o amici: il rispetto delle regole su tutto. La favola del bravo musulmano rispecchia quella del bravo cristiano che la domenica va a messa e il lunedì ordina l’omicidio di un ragazzino per questioni d’affari con la famiglia rivale.
Ma lo scopo del teatro non è costruire un comodo piedistallo morale da cui guardare le miserie umane, al contrario cerca di scardinare ogni schema precostituito, apre altri punti di vista sul mondo. Il lavoro di questo regista incide sulla realtà molto più di corposi saggi di sociologia delle masse, o di sermoni che combattono altri sermoni.

nuovo teatro in kosovo

Per capire meglio il lavoro di Neziraj, abbiamo intervistato l’autrice del docufilm Anna Maria Monteverdi.

Qual è stata la molla che ha fatto nascere l’interesse per questo autore e per questa parte d’Europa?
Nel 2012 sono andata a trovare mio cugino, Giancarlo Monteverdi capo della polizia in Eulex, di stanza a Prishtina; durante il soggiorno mi sono chiesta quali artisti di teatro fossero attivi in quell’area semisconosciuta dei Balcani, che molte mappe anche online identificano ancora come la regione meridionale della Serbia- Ero convinta che ci fosse solo un generico teatro di repertorio, invece ho scovato un teatro molto attivo e impegnato e in particolare ho conosciuto un drammaturgo giovane, un intellettuale riconosciuto in tutti i Balcani di nome Jeton Neziraj intorno alla cui figura ruotavano molte attività legate al teatro indipendente, al cinema, alla letteratura. Mi ha invitato a tornare pochi mesi dopo ospite della sua compagnia Qendra alla prima del suo spettacolo al Teatri Kombetar i Kosoves (Teatro nazionale) e sono rimasta letteralmente senza parole. Veniva rappresentato un testo (Qualcuno volò sul Teatro del Kosovo) rischiosissimo, politico, una presa in giro molto pungente di quel protettorato euro-atlantico che è diventata questa parte dei Balcani, delle risoluzioni della guerra e dei confini identitari e politici imposti dall’Onu alla popolazione che appunto, si è trovata già preconfezionata, un’ idea di Repubblica imposta dall’esterno. Il tutto giocato con una geniale musica in scena diretta da Gabriele Marangoni alla fisarmonica e con una regia squillante e ironica di Blerta Rrustemi Neziraj che amplificava il grottesco della situazione. Uno spettacolo coraggioso per il quale gli artisti in quei paesi possono davvero rischiare, per esempio, vedendosi tagliare i fondi alle proprie attività o essere additati come “nemici del popolo”. Da quel momento ho deciso che avevo trovato il mio autore, su cui ho lavorato cercando di trovare spazi in Italia per ospitare i suoi spettacoli (al Festival Vie di Modena e al teatro Koreja di Lecce, con un teatro sold out), diffondendo i suoi testi teatrali e anche i suoi saggi critici sul teatro politico contemporaneo e con la collega Monica Genesin e con Giancarla Carboni abbiamo tradotto il suo testo più controverso, La distruzione della Torre Eiffel sul terrorismo su cui si basa anche il documentario.

Qual è la situazione del teatro in Kosovo, quali i problemi principali e come si inserisce Neziraj nel contesto attuale del paese?
La situazione politica cambia di continuo; nel corso dei miei sei viaggi in pochi anni, non ritrovavo mai le stesse persone al governo. In questi giorni si è insediato HashimThaci, già ministro degli esteri, con una votazione che è stata molto criticata. L’opposizione nazionalista è poi da mesi protagonista di spettacolari azioni di disturbo anche in Parlamento. Si contesta il governo per l’accordo promosso lo scorso anno dall’Unione Europea, che riconosce alla minoranza serba più poteri a livello locale. Come si legge dalla stampa il percorso di Thaci è pieno di ombre con accuse pesantissime formulate dal Consiglio d’Europa nel 2010, dirette contro l’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), del quale Thaci era uno dei leader. Il Kosovo in questo ultimo anno è diventato, poi, il principale vivaio dell’Isis in Europa, nonostante siano presenti 5000 soldati della missione Nato Kfor a guida italiana e 1.500 agenti della missione di polizia europea Eulex. La posizione antinazionalista e antifondamentalista di Jeton Neziraj è il motivo del mio interesse per il suo lavoro che trasuda di una ideologia fortissima che non possiamo non condividere perché critica la deriva militarista e nazionalista ed è connessa con l’idea di un abbraccio comunitario tra popoli che hanno combattuto fino a pochi anni fa una guerra fratricida terribile. Ora è il momento della riconciliazione e della ricostruzione. La situazione del teatro possiamo immaginarla: fondi pressoché inesistenti alla cultura non “nazionale”, non “di Stato”, e molti eventi di immagine. Neziraj si salva grazie a progetti internazionali che svolge su commissioni di teatri nazionali in Francia, in Svizzera, in Italia.

Neziraj, oltre al coraggio di portare in scena temi pericolosi, che mettono in luce le assurdità dell’attualità che lo, e ci circonda, produce un teatro di grande valore artistico. Quali sono le qualità più importanti ed originali del suo lavoro?
Ho apprezzato la qualità dei dialoghi, la capacità di innestare elementi epici con storie contemporanee, di costruire le trame ricche di non sense in cui ritroviamo e riconosciamo le ingarbugliate e corrotte vicende politiche che ci circondano; la stesura è poi, ricca di riferimenti anche colti a Beckett, Brecht e Dino Buzzati, al teatro dell’assurdo; la sua scrittura è davvero originale, e la comicità nasce dal tragico. Ho assistito a un workshop di scrittura teatrale organizzato dal Cantieri Koreja a Lecce e ai ragazzi Neziraj chiedeva di prendere alcune notizie dei giornali e di stravolgerle nel processo di scrittura, per immaginare un tema completamente nuovo, come per esempio un dialogo inventato tra Renzi e la Merkel! I ragazzi hanno apprezzato questo metodo fuori dagli schemi accademici, di “fare teatro” prendendo spunto dalla realtà.

Il teatro di Neziraj, si può definire un teatro politico e “sociale” in qualche modo, l’azione dissacrante educa le menti a ragionare liberamente. Come potresti definire il suo lavoro?
Teatro politico è la definizione migliore come dici giustamente tu. Perché evoca Brecht e il teatro greco antico. Un teatro che fa riflettere sulle problematiche contemporanee, senza diventare cronaca o narrazione, facendo indossare ai personaggi la maschera del comico. Spiega molto bene la funzione “didattica” del suo teatro lo stesso Neziraj “ Il teatro ci mette al corrente dei possibili conflitti che sono già vivi nel mondo, che spesso noi tendiamo a non vedere, a ignorare. Il teatro riflette il nostro passato, ci parla oggi presente e ci offre un’immagine del nostro futuro”.

Uno degli aspetti più importanti della sua azione è quello della cooperazione con artisti di diverse etnie e minoranze, un modello di integrazione speciale che potrebbe essere utile riportare anche in altri contesti. Ci puoi raccontare meglio questo aspetto?
Il Kosovo é un paese multietnico, si compone di sei etnie (tra cui quella Rom) che si poggiano su equilibri difficili. Nell’intervista che riporto nel documentario, Neziraj parla di una cultura kosova e albanese che è rimasta sempre piuttosto aperta e liberale nei confronti di altre etnie e religioni; i recenti fatti di terrorismo (nel Kosovo sono localizzate pare, molte cellule di addestramento dell’Isis) hanno portato a un cambiamento del sentimento religioso, a un radicalismo e a un fanatismo sconosciuto in quest’area fino ad oggi. Di questo tratta, con la distanza della finzione teatrale il testo La distruzione della Torre Eiffel, in cui l’autore si immagina due terroristi imbranati arrivati a Parigi per fare saltare in aria il simbolo della civilizzata Europa per vendicarsi di un torto religioso che si rivelerà in realtà, frutto di una grossa incomprensione.
Neziraj fu criticato all’inizio della sua carriera perché aveva partecipato a un progetto culturale della UE di integrazione molto speciale e delicato che aveva come finalità il superamento dei traumi della guerra tra Serbia e Kosovo, in cui il teatro serviva a unire gruppi etnici anziché separarli come era stato nella tragica realtà della guerra; si trattava di una dolorosa memoria storica con la quale entrambe le popolazioni devono fare i conti ancora oggi con l’imperversare di una violenza simbolica generalizzata e un nazionalismo sempre più estremista. E ancora, un suo progetto teatrale in cui univa attori serbi e kosovari è stato il motivo di un suo allontanamento dalla direzione del Teatro Nazionale, anche se formalmente le spiegazioni furono altre.

Quali prospettive per questo tipo di teatro, e quali influenze potrebbe avere nel teatro europeo e mediterraneo?
Ero molto curiosa di vedere l’effetto del teatro di Neziraj in Italia. Nell’ultimo spettacolo a Koreja di Lecce in un momento in cui erano ancora vive le immagini delle esplosioni e dei morti a Bruxelles e a Parigi, il tema del terrorismo religioso, la lotta all’ignoranza che lo genera, la riflessione su quale è il limite con cui un autore può prendere in giro la religione musulmana o cristiana senza diventare antireligioso ha innescato un bel dibattito, partecipato e ricco di interventi. Sarà interessante capire anche la risposta del pubblico televisivo che vedrà il documentario quando sarà trasmesso da Rai5. Il critico Andrea Porcheddu, molto seguito dalla comunità teatrale italiana, ha elogiato nella sua recensione il lavoro teatrale di Neziraj e speriamo che questo contribuisca a far divulgare e rappresentare i suoi testi in italiano. Un paio di anni fa l’edizione del Festival di Fabbrica Europa ha fatto conoscere altri autori dei Balcani, in particolare lo sloveno Tomi Janezic, che debutterà in Italia quest’estate con un nuovo lavoro prodotto da Pontedera teatro. Personalmente ho una predilezione per l’autrice serba Biljana Srbljanović che ha scritto la famosa Trilogia di Belgrado, che racchiude storie di fughe dalla guerra in Serbia, su cui pende la feroce critica dell’autrice che non ha mai voluto, invece, abbandonare Belgrado. Questa trilogia fu possibile leggerla in italiano grazie all’opera encomiabile di Franco Quadri che con la sua casa editrice UBU libri traduceva autori internazionali. Oggi la casa editrice dopo la scomparsa del critico, non esiste più ed è difficile conoscere queste realtà teatrali che sono più che degne di essere diffuse e rappresentate in tutto il Mediterraneo. Portali come il tuo o come quello di Osservatorio Balcani e Caucaso contribuiscono a diffondere questo tipo di cultura che è ingiustamente esclusa dai luoghi ufficiali del teatro e che continua a vivere in una dimensione di marginalità assolutamente inaccettabile.

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