Statua di Edipo
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Articolo di Vittorio Cielo

Una riscrittura dell’Edipo, che tiene conto delle fonti classiche, alla luce di un secolo intero di psicologia e studi dei simboli mitici attivi, nel crudele mondo affettivo familiare.

Il mito e la vita culturale, lunghissima e ultramillenaria di Edipo, hanno subito un danno consistente, a causa del lavoro geniale del dottor Freud, che ha sagomato a misura delle nevrosi dell’uomo borghese (spesso di origine ebraica) del tardo ottocento a Vienna, le moltissime sfaccettature di una saga, che affonda le sue radici narrative nei secoli fino al Neolitico.

Per il grande pubblico, che vive su una piattaforma semantica di parole-chiave e di storie emblematiche ridotte ai minimi termini, Edipo sembra essere essenzialmente colui che desidera la madre, come ogni uomo, quasi come ogni uomo. Condannato quasi suo malgrado, fino alle estreme conseguenze di una storia d’amore maledetta, negata in eterno a qualsiasi “happy ending”. Ironicamente e grossolanamente, si potrebbe definirlo il Campione Estremista dei Mammoni. Popolo timorato di figli, ben rappresentato in Italia, che sublima inconsce orge familiari e invasioni nel letto materno, in simboliche abbuffate di cibo, insieme, a tavola, e biancheria intima supervisionata fino alla perfezione del “bianco più bianco”. In una prospettiva semi-coniugale con la madre, quasi senza fine, (spesso cinquantennale), tappezzata di arazzi di migliaia di mutande lavate e stirate, e cure ossessive reciproche. Dove l’eroe di oggi, il figlio consumista, ben nutrito e “baby boomer” di fine 900, è attore principale in una coppia, che a dispetto di divorzi e brevi matrimoni con le coetanee, che in fondo sono quasi delle amanti-transitorie, di fatto ha una sola fedeltà: alla madre come vera e unica moglie eterna.
Dai tormenti freudiani, alla libido postmoderna, fatta di brevi video porno in rete, con amanti immaginarie e virtuali, il mito dell’incesto –ultimo baluardo del peccato e del proibito sociale- è diventato solo una variante nel repertorio dei ‘generi’ spettacolari dell’osceno.
Ma, nel rendere universale, incatenandolo alla sola figura di Re Tragico, dell’Edipo Re, il pulsare del desiderio e lo sguardo incestuoso, che si affaccia a momenti in tutti i viventi, di tutti i sessi, si sminuisce la statura eroica del ‘problema di Edipo’.

In Edipo vivono eternamente temi politici, religiosi, antropologici, di una ricchezza tale da stordire. In un prisma filosofico di problemi, eternamente mutanti. E se, pensando Edipo, finiamo sempre per pensare a “un” Edipo: quello di Freud, o quello di Sofocle, che sono solo due dei molti messi in scena o narrati, anticamente, -e perduti- nei testi del teatro classico greco, dimenticando i “molti Edipo nascosti in Edipo” finiamo per rappresentare e attivare in noi, solo il minimo delle potenzialità di questo eroe. Perdendo di vista la ricchezza di tutto il resto.
Il mito dell’orfanello abbandonato, scartato, condannato a morire, che si rivela poi di fatto come superuomo, attraversa le storie di tutti i popoli mediterranei: da Ciro a Mosè, da Romolo a Egisto.

No, Edipo non è solo.
Rappresenta il “Bambino Divino” del Futuro, che sorge dal mistero degli avvenimenti sconosciuti e che sempre viene a uccidere il Vecchio Re del Passato. Un mito progressista, senza alcun dubbio. Ma la mente greca, divinamente complessa e contraddittoria, vi ha sommato e scolpito sopra altri miti e cicli, di segno anche violentemente opposto, fino a far valere una dominanza patriarcale e aristocratica, dissimulata in una teoria religiosa, violentissima e fatale.
Tragica, appunto.
Ci sono i segni, i reperti, i fossili di antiche religioni, precedenti a quella olimpica. Ci sono simboli che stentiamo a leggere, anche se la loro oscurità mediterranea e indoeuropea, continua a premere in noi con una forza ancora potente: la forza inspiegabile del mito, appunto.
La vendetta, terribile, dei figli violentati e offesi, è più empia forse, del sadismo senza pari dei genitori e dei sacerdoti dediti alla violenza rituale del Potere?

(dal testo teatrale “Edipo nel grembo” di Vittorio Cielo)
“E’ una storia antichissima e desolata…
Più antica… della grande guerra d’Asia
della spedizione delle navi color nero e pece e color
porpora
per le porte di mare, verso i luoghi dei mostri
marini che abitavano il mar nero
fu…
la prima volta che gli dei…
alzarono la voce… terribile,
per vietare alle madri
di concupire e desiderare i loro giovani carnali
bei figli maschi
fu…
… la prima volta che fu vietato ai padri irosi…
di uccidere i piccoli e grassi figli maschi, in fasce,
e fu inaugurato il rito sostitutivo dell’uccisione dei porcellini…
rito che si diceva fosse per sottomettersi ai Numi,
ma che era utile ai vecchi re
per la paura che i nuovi giovani forti,
strappassero loro il trono e il potere… nel futuro
diventando violenti e potenti più dei padri…
fu molto prima …della guerra…
per l’oro e per le femmine dell’Asia
si tratta di una storia più antica di Omero
il poeta cieco, che si trascinava di città in città
viaggiando nella polvere
su un carretto tirato da un asino cieco
già Omero parlava della storia di Edipo
come di una storia molto antica
ripetuta e ripetuta nei secoli
senza fine
da una serie infinita di vagabondi
cantori
dalle vesti lacere, coperti di polvere,
consacrati al dio
resi ciechi dalle madri… per fare il lavoro dei poeti…
Era la favola dei figli sacrificati dai padri
la prima, che narrava la forte vendetta
del figlio sacrificato
ritornato vivo dalla foresta della morte
e forte
armato, contro la città dei Padri.

(da “Edipo” Vittorio Cielo – 2013 – tutti i diritti riservati)

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