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Articolo di Maria Francesca Carboni, foto di Susanne Jutzeler

“Una famiglia d’api la devi comprare, una te la devi far regalare, l’altra la devi rubare”. Così recita un antico adagio, un monito diffuso fra le comunità più antiche degli apicoltori sardi, ma dal valore sempre attuale. Bastano quindi tre famiglie per diventare apicoltori. Ma per esserlo a lungo termine è necessario mettere in atto più di una buona pratica. La cura quotidiana delle api, lo sguardo e il controllo della loro attività all’interno delle arnie risultano fondamentali.

È questo il campo d’azione della startup cagliaritana Hiveguard. Entrata a far parte del panorama imprenditoriale locale da appena un anno, Hiveguard ha dato vita ad una soluzione tecnologica che promette di rivoluzionare le classiche pratiche di monitoraggio delle arnie. Si tratta di un occhio artificiale, un prolungamento della naturale visione umana, di aiuto nell’attività di controllo delle arnie al loro interno, anche a distanza.

Fra i corridoi del Palazzo delle Scienze dell’Università di Cagliari, il luogo di incubazione della startup, a raccontarci i vantaggi che l’invenzione prospetta di apportare nel ramo dell’apicoltura è il giovane Daniele Melis, co-fondatore di Hiveguard e responsabile ingegneristico della startup.

Che cos’è Hiveguard?

Un sensore, un sistema composto da una telecamera e un software di riconoscimento immagini che concorrono a delineare la morfologia dell’arnia, il mutamento delle forme di favi e celle e inoltre l’intensità dei loro colori. Una volta raccolta, l’informazione visiva viene successivamente notificata direttamente su smartphone, tablet o pc, tramite un’app dedicata. Attualmente il nostro dispositivo è in fase di test e validazione per il conseguimento del brevetto, ma prospetta enormi vantaggi in termini di efficienza e controllo, soprattutto a distanza.

Hiveguard rappresenta l’esito di tutte le competenze del nostro team: informatica, ingegneria, studio e sviluppo di software e apicoltura naturalmente. La contaminazione fra le esperienze, che ci caratterizzano talvolta agli antipodi, è avvenuta per la prima volta al Contamination Lab. Un percorso formativo, patrocinato dall’Università di Cagliari e volto all’innovazione, al trasferimento tecnologico nel tessuto territoriale e sociale locale.

In che modo il vostro dispositivo ha abbracciato le esigenze degli apicoltori locali?

Hiveguard è figlia delle competenze e delle passioni del team. Ma soprattutto degli incontri avvenuti nell’arco del tempo con gli apicoltori locali. Ci unisce una visione del mondo condivisa, una sensibilità particolare nei confronti dell’ambiente, del territorio a noi più vicino, quello sardo in particolar modo. Per questo ci siamo messi in ascolto delle esigenze, delle problematiche e difficoltà delle realtà locali, inserendoci nel solco della tradizione con un contributo personale e innovativo. Così durante questa fase di ascolto è emerso un primo problema, quello della sciamatura.

Avviene in primavera. La nascita di una seconda regina all’interno della stessa famiglia ne è la causa. La prima regina infatti emigra altrove per formare un nuovo nido, accompagnata da un folto numero di api operaie. È con loro che abbandona il nucleo originario. Rappresenta una fortuna per chi riesca a radunare le api fuggitive all’interno di un’arnia, rubandole, secondo un vecchio adagio. Ma per il produttore a cui invece sia sfuggita la formazione di una nuova famiglia d’api, la sciamatura è una perdita, un ingente danno economico, causato dalla diminuzione produttiva di miele.

Le tecniche tuttora in uso come rispondono al fenomeno?

I metodi di monitoraggio tradizionale implicano un controllo costante di tutte le arnie in possesso dell’apicoltore. Un lavoro oneroso in termini di tempo e dispendioso dal punto di vista economico. Ogni arnia deve essere passata al setaccio, al fine di verificare lo stato dei favi e l’eventuale formazione di una larva situata nella cella reale: più grande di quelle ordinarie e orientata verticalmente. Molto spesso certi dettagli possono sfuggire anche a un occhio clinico.

E invece in cosa consiste la soluzione di Hiveguard?

C’è un vantaggio rilevante nell’uso di Hiveguard. Il dispositivo non si limita a registrare le immagini riconosciute come significative dal software: la particolare forma della cella reale, ad esempio. Ma inoltre è in grado di notificarle tramite app. A distanza, dunque. Così l’apicoltore potrà mettere a punto interventi di prevenzione tempestivi e personalizzati, applicabili a situazioni differenti, non solo alla sciamatura.

Avete pensato ad ulteriori campi di applicazione quindi?

Il software di riconoscimento immagini può essere programmato per individuare anomalie differenti. Ad esempio, per monitorare le alterazioni cromatiche a cui sono esposte le celle dei favi in caso di contagio da peste europea e americana, una malattia trasmessa alla covata dalle api nutrici infettate dal batterio responsabile della malattia. Attualmente non esiste una soluzione efficace, una volta diffuso il morbo, se non quella del rogo dell’arnia contaminata. Ma l’importanza di Hiveguard si rivela nei momenti precedenti, quelli della prevenzione e previsione della malattia.

Oggi nell’ambito delle discussioni sul cambiamento climatico e i suoi effetti collaterali, si parla del rischio legato all’estinzione degli insetti impollinatori. Il vostro progetto va nella direzione della salvaguardia. Allora quanto è importante diffondere le buone pratiche dell’apicoltura?

Diffondere le buone pratiche dell’apicoltura non si arresta al desiderio di mettere a disposizione della comunità le competenze di ciascuno, incrementando la produzione economica. C’è un messaggio educativo alla base, che vuole richiamare all’attenzione della società valori dimenticati. La responsabilità nella cura dell’ecosistema in cui abitiamo, fra tutti. Per questo siamo sempre stati lungimiranti. Amiamo guardare avanti, anticipare le tendenze. E al contempo siamo ambiziosi. Diffondere le buone pratiche dell’apicoltura nelle campagne significa allora compiere un gesto che sia d’esempio nell’isola e al di là dei suoi confini. Le api, d’altronde, sono le sentinelle della nostra salute e del pianeta che ci ospita.

Qualche considerazione statistica.

La banca dati apistica nazionale e l’autorità europea per la sicurezza alimentare riportano dati significativi in merito alla presenza degli apicoltori sul territorio: 600 mila in Europa, di cui 50 mila in Italia e 3 mila in Sardegna, per un totale complessivo di 16 mila arnie. Con una produzione di 200 tonnellate di miele nell’ultimo biennio, il 50% in meno rispetto alle annate precedenti. Come evidenziato dalla Coldiretti, solo in Italia la produzione è stata ridotta a meno di 10 milioni di chili. Complice il clima, caratterizzato da inverni caldi e di breve durata e primavere piovose.

L’alternarsi di condizioni climatiche avverse ha rappresentato una fonte di sofferenza per le api, tale da causare talvolta l’allontanamento dagli alveari o addirittura la morte. Secondo uno studio epidemiologico della Commissione Europea, EPILOBEE, in questo particolare quadro climatico, le api risultano suscettibili a certe malattie. Gli insetti impollinatori maggiormente diffusi sul territorio italiano, le api mellifere ligustiche, si ammalano di varroa, peste americana ed europea, con un tasso di mortalità complessivo pari al 5,6%. Accade lo stesso in altri stati del bacino mediterraneo, secondo lo studio europeo: Francia, Spagna e soprattutto Grecia dove l’indice di mortalità degli insetti impollinatori si attesta al 10,6%.

Lo studio delinea un quadro complesso. I fattori legati alla moria delle api sono molteplici: inverni caldi e siccitosi, primavere piovose, e malattie batteriche letali come la peste, che attacca la covata delle api, diffondendo il morbo all’intera arnia. Per questo lo sguardo degli apicoltori deve essere sempre pronto, attento e scrupoloso. Forme, colori e odori inusuali all’interno dell’arnia sono importanti campanelli d’allarme. Ma talvolta anche all’occhio più esperto certi dettagli possono sfuggire. Entra allora in scena la tecnologia, per monitorare con maggiore attenzione e costanza lo stato di salute delle api. Come si propone di fare Hiveguard, d’altronde. Un occhio artificiale, costituito da una telecamera e un software di riconoscimento immagini. Un sensore programmato per prevedere tempestivamente pericoli e rischi di un’eventuale sciamatura o di un morbo letale. Prima ancora del loro verificarsi. E perfino a distanza, con un monitoraggio da remoto, più efficace, preciso e meno oneroso rispetto all’impiego della manodopera. In definitiva Hiveguard propone un nuovo sguardo nel mondo dell’apicoltura grazie all’applicazione innovativa dell’intelligenza artificiale. Per ottimizzare la produzione e al contempo per preservare la vita delle api e con loro la sopravvivenza dell’intero pianeta.

Fonti

https://hiveguard.it

http://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-8-2018-0014_EN.html

https://ec.europa.eu/food/animals/live_animals/bees/study_on_mortality_en

https://www.efsa.europa.eu/en/events/event/170626

http://bees-dashboard.azurewebsites.net/BeesHome.html

https://www.vetinfo.it

https://www.coldiretti.it/economia/malrempo-sbalzi-termici-stressano-api-e-dimezzano-miele

https://www.coldiretti.it/economia/caldo-record-crolla-miele

https://www.coldiretti.it/economia/la-primavera-pazza-sconvolge-anche-le-api-50-miele

1 thought on “Hiveguard: Il terzo occhio degli apicoltori

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