Ex operai Rockwool
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Premessa. Un ponte sullo svincolo della SS 130 che porta a Campo Pisano, impianto minerario dismesso e oggi sede della società regionale Igea Spa che ha ereditato siti e scorie di oltre un secolo di estrazione su cui metter mano. A ridosso l’imbocco di una galleria stradale e tutt’intorno alberi di pino che chissà come riescono a crescere su un terreno più che ostile. Lungo le barriere in rete del guard-rail bandiere sindacali sventolanti, a ricordare che anche qui si combatte per risolvere una delle tante vertenze aperte Bandiere dei sindacati a sventolare sulle ringhiere che ricordano una delle tante vertenze aperte per il lavoro nell’isola, quella degli ex dipendenti della Rockwool, fabbrica produttrice di lana di roccia che ha chiuso i battenti due anni e mezzo fa e ha lasciato a casa quasi 200 persone.

Così a metà aprile del 2010 gli operai hanno deciso di occupare lo spiazzo antistante all’ingresso della sede Igea ma con il tempo la loro protesta è diventata qualcosa di diverso, un simbolo di ingiustizia e un richiamo, una sfida, in un certo senso, portata avanti da un gruppo di artisti eterogenei che ha voluto dimostrare come il linguaggio universale dell’arte possa raccogliere e ricomporre le parole della lotta e della rabbia per portarle dove nessuno avrebbe pensato di ascoltarle.

Storie dalla Provincia più povera d’Italia. Ma prima di tutto dove siamo? Siamo nel cuore del Sulcis Iglesiente, provincia più povera d’Italia, dove il reddito pro capite è di 14.346 euro (a fronte di una media nazionale di 25.263) e il tasso di disoccupazione giovanile è del 38%. E tra i numerosi cassintegrati ci sono anche gli operai della Rockwool che due anni fa si sono ritrovati senza lavoro perchè la multinazionale ha deciso di spostare lo stabilimento in Croazia, non perchè fosse in crisi ma perchè con un costo del lavoro più basso avrebbe guadagnato di più. I dipendenti non ci stanno e decidono di occupare il ponte stradale che conduce agli uffici di Igea perchè è la società regionale che, secondo loro, deve occuparsi della ricollocazione. Un breve salto a ritroso per capire le ragioni di questa “pretesa”.

La fabbrica di lana di roccia, un isolante usato nell’edilizia, è nata 15 anni fa con i contributi della legge nazionale 221 del 1990 per la riconversione mineraria, provvedimento che stanziava finanziamenti alle imprese che si fossero insediate in queste lande in via di smantellamento economico e avessero assunto i dipendenti in fuoriuscita dalle attività estrattive. La Rockwool rileva lo stabilimento dalla Progemisa (società regionale oggi in liquidazione) nel 1999 e l’impianto chiude i battenti dopo un decennio di onorata attività per andare a risparmiare e guadagnare altrove, ma non perchè fosse in stato di crisi.

Gli ex dipendenti sono quindi fuoriusciti dal mondo minerario e chiedono il riassorbimento in Igea anche perchè la società regionale deve assumere per le operazioni di bonifica (un concorso bandito due anni fa è oggi in stallo) e loro sono alle prese con un corso per bonificatori, anche se non esiste nessun accordo sul loro inserimento lavorativo futuro e il progetto sta giungendo al termine. Così per protesta prima occupano lo stabilimento nella Zona industriale cittadina, poi si spostano sul più visibile ponte stradale alle porte di Iglesias, che simboleggia anche il punto d’arrivo del loro pellegrinaggio professionale, l’Igea appunto.

Rock(wool) ma non solo. Ma lo sventolio delle bandiere sul ponte fa venire un’idea a un gruppo di artisti e musicisti locali che decidono di sostenere gli operai nella lotta e far conoscere la loro vertenza portando performance con loro come protagonisti in giro per le mostre. Nell’estate del 2010 nasce il festival Rock(wool) organizzato da un gruppo di band riunite sotto il marchio del Baccanale concerti (esperimento nato in un certo senso a supporto della disoccupazione musicale) assieme alla GiuseppeFrau Gallery, un gruppo di artisti locali. Ogni giovedì dibattiti e musica, vendita di magliette e panini per finanziare la resistenza sul ponte e progetti ancora più complessi. Due artiste, studentesse all’accademia di Brera, sono invitate al Museo Canonica di Roma per la mostra My generation, dedicata agli under 35: Eleonora di Marino e Emanuela Murtas.

La prima costruisce un video in cui gli operai in due file sul ponte, davanti alle bandiere applaudono a se stessi (e alla loro determinazione) ma il loro è nello stesso tempo un applauso beffardo verso il sistema economico che li ha portati a questo: sono operai ma anche opere d’arte data la loro presenza nella performance e indossano tutti una maglietta con su scritto Opera-Io. La seconda monta un video in cui sempre gli ex dipendenti camminano in equilibrio precario su una trave: precario è il loro equilibrio tra lavoro e disoccupazione. Intanto sul palco salgono anche artisti famosi e per l’ultimo appuntamento Piero Marras e i Tenores di Bitti si esibiscono gratuitamente per la causa.

Il Rockbus museum. Nel frattempo arriva l’inverno e le tende in cui dormono a turno gli operai del presidio diventano insufficienti per ripararsi. Dopo qualche ricerca l’Azienda regionale per i trasporti cede un vecchio pullman ormai fuori servizio (delle Ferrovie Meridionali Sarde) in cui possano stare al caldo e comincia una nuova avventura, quella del Rockbus. Questa volta è una copia sardo-partenopea regista dell’azione, Domenico di Caterino e Barbara Ardau, che concentrano nel fine settimana, al presidio, artisti sardi che lasciano un segno del loro passaggio, ma anche scrittori, giornalisti, musicisti che nel brullo spiazzo davanti ai cancelli Igea portano la solidarietà anche tangibile espressa in doni che sono simbolici ma hanno anche un valore.

Così il pullman diventa pian piano il Rockbus Museum, e accoglie opere di Bob Marongiu (le tendine parasole si riempiono di pesci colorati), Michele Mereu (il quadro con il minatore), Barbara e Domenico, Robberto che dipinge in acrilico una modella-madonna sul portellone posteriore del mezzo. Si esibiscono Joe Perrino e Alberto Sanna (in un singolare concerto dentro il mezzo), Quilo e Dr. Dreer, mentre passano di qui Giuliana Sgrena, Flavio Soriga, il gallerista Guido Cabib.
Muse loro malgrado gli ex operai della Rockwool hanno catalizzato l’attenzione di un variopinto mondo di artisti – anche loro lavoratori precari – animati dalla convinzione che la cultura possa portare un vero sviluppo, sociale, culturale e economico.

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