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Di Gianfranco Cordì

1.Introduzione. «Alla fine di questa sua densa e complessa analisi di questi passi, da cui emerge un’immagine “plurivoca” che “ricomprende in sé Dio, uomo, animale e macchina”, Schmitt conclude – com’è noto – che Hobbes avrebbe “fallito” il simbolo del Leviatano.

Occorrerebbe dunque guardarsi dagli equivoci ingenerati dall’espressione “Dio mortale”: il fatto che lo Stato-Leviatano venga designato come Dio non avrebbe “alcun significato proprio ed autonomo”. Il sovrano hobbesiano non è il “defensor pacis”, il garante e custode di una pace riconducibile a Dio, ma è il creator pacis, creatore di una pace esclusivamente terrena». Il «Leviatano», per Giacomo Marramao (in questo suo Dopo il Leviatano. Individuo e comunità, Bollati Boringhieri, 2000) è un essere mortale e «soggetto al decadimento» come sono tutte le creature mortali. In termini di filosofia politica: «Hobbes non perviene, in altri termini, all’idea di unità politica, ma solo all’idea di una fuoriuscita dallo “stato di natura”, inteso come “condizione prestatuale di insicurezza”, tramite una “costruzione giuridica del patto” che trasferisce la concezione cartesiana dell’uomo come meccanismo animato al “grande uomo dello Stato, di cui fa una macchina, animata dalla persona sovrano-rappresentativa». Ma Marramao è categorico. «Il simbolo del Leviatano, che per tre secoli ha segnato il destino della modernità, ha oggi irrevocabilmente esaurito la sua efficacia». Oggi avanza il dominio della tecnica (come vuole anche Emanuele Severino) . Oggi il «Leviatano» è diventato «insensibile» alla vita. Il «Leviatano» che era l’«esclusivo soggetto sovrano» e l’ «unica fonte della legittimità e del diritto» oggi non è più capace di recitare questa parte. La politica oggi è diventata plurale. Il mondo è composito, variegato e multifocale. Occorre pensare la politica «dopo il Moderno!».

2.Il deficit del «Leviatano». La politica «sembra appartenere a una dimensione e a un tempo irreversibilmente consunti». In epoca moderna: la politica «è costretta a rifugiarsi» in quel «congegno» che prende il nome di Stato. In epoca di Rivoluzione Scientifica la politica si dà come «frontiera invalicabile tra la “razionalità” e la “vita”. In Hobbes, invece, l’agire politico coincide con un “dispositivo tecnico” teso a neutralizzare lo “stato di natura”». Da quel momento: tutti gli attributi della tecnica politica vengono legittimamente trasferiti al «Leviatano» (che diventa la fonte di ogni legge). Questa caratterizzazione del «Leviatano» sembrava rispondere a un esigenza reale e concreta. Infatti dalla Pace di Westfalia (1648) nasce il «sistema moderno degli Stati» che si costituisce in antitesi alle «potestates indirectae» che generano il default del «Leviatano».

Esiste oggi la pressione di «corpi alieni» insediati negli interstizi del «Leviatano» e «protetti dai suoi dispositivi». Questo processo ha inizio «Con l’evolversi dello Stato assoluto in Stato-di-diritto e il ribaltarsi della legge da contrassegno della decisione sovrana in strumento tecnico». Le odierne società Occidentali (industriali, tecnologiche, della comunicazione, digitali) hanno oggi intrapreso – da liberaldemocrazie – un viaggio senza bussola e senza indicatori. Si sottraggono dall’orbita del potere statale (del «Leviatano») dei nuovi gruppi di interesse (potestates indirecate). Questa situazione destabilizza ogni Centro (ogni «Leviatano»). Marramao sintetizza così questa nuova situazione: «Divisioni trasversali della società, sovrapporsi all’universalismo della cittadinanza, dell’appartenenza a gruppi diversi, crescente mobilità sociale, proliferare di “politiche della differenza”».

3. Il «Prologo». Il politico, al pari del pensiero (secondo Gianni Vattimo), risulta indebolito. Le società sono sempre più interdipendenti. La telecomunicazione e la digitalizzazione appiattiscono sempre più il pensiero globale. Cadono le frontiere, si abbattono i confini. Nuovi poteri (oggi: biopoteri) vengono fuori non più in senso panottico ma legati insieme dal mastice dello spettacolo e predisposti alla video-sorveglianza dell’occhio del Grande Fratello. Si tratta di un mondo, oggi, in cui si è determinata «la perdita di ogni centro, di ogni stabile coordinata di riferimento per l’etica come per la politica, per la scienza come per l’azione». L’età globale, col suo smantellamento di vecchi e rigidi confini stabiliti una volta per tutte, non vede l’entrata in scena di un’identità (magari etico-culturale) ma il proliferare delle differenze etico-culturali. Oggi si è di fronte a uno scenario bipolare segnato da grandi pericoli e da grandi potenzialità. Problemi e risorse. Capacità e questioni destinate a rimanere aperte..

Marramao afferma: «L’Occidente si presenta oggi come una sfera culturale esplosa». Il suo modello ha vinto su scala mondiale (dopo il 1989 e la caduta del Muro di Berlino) ma in conseguenza di questa vittoria c’è stata l’esplosione. Inoltre: «La temperie che minaccia di segnare questo scorcio di fine secolo è rappresentata da una ribellione sempre più estesa ed intensa nei confronti del modello universalistico Occidentale». E’ l’esplosione del multiculturalismo. Della complessità. Della plurivocità dei punti di vista. Seguendo Tocqueville, Weber e naturalmente Marx, Marramao affonda il suo bisturi teorico sul capitalismo. «Il processo della modernità capitalistica costituisce un evento unico, assolutamente eccezionale, nel contesto delle società umane, proprio perché si realizza attraverso un rivoluzionamento dei valori e una radicale rottura dei vincoli comunitari che facevano consistere le cerchie di vita tradizionali». Con la globalizzazione (capitalismo esteso a tutto il mondo): «Il problema dell’alterità culturale non si configura soltanto come un urto con l’esterno, ma come un’aporia interna al funzionamento della società Occidentale stessa». C’è una crasi fra universalismo e relativismo culturale. Berlin propone il «pluralismo» come ricetta per risolvere questo gap. Ma per Marramao questa soluzione è «Insoddisfacente». Un effettivo confronto tra le grandi Culture del Pianeta non è ancora avvenuto. Inoltre, nelle democrazie Occidentali, il tema dello sfruttamento diventa sempre più il tema dell’emarginazione. Quegli strati sociali che si sentono «emarginati» (e non i ceti sfruttati e poveri) oggi sono la molla dei «fondamentalismi». Dal centro (qualsiasi cosa esso sia) ci si può sentire «emarginati» in senso di un de-centramento socio-culturale ed etico-politico, e spinti verso un destino di «emarginazione». Per concepire una politica all’altezza dei tempi occorre «Attivare un ottica comparativa delle culture». «Ma porre una tale esigenza, significa (…) misurarsi con una serie di nodi concettuali irrisolti». Marramao arriva così a una definizione della democrazia come «luogo comune dello sradicamento». La democrazia è una comunità paradossale.

4. Il «compromesso politico». Esiste, oggi, una «irreversibilità» dei trends di mutamento delle società industriali. Hanno fatto ingresso sulla scena politica «nuove domande e identità collettive» e si è accentuata la «crisi» dei partiti-ideologia e la loro inesorabile trasformazione «in tatch-all-parties istituzionalmente incorporati nell’apparato di governo e in political maxchines addette professionalmente alla soluzione di “problemi”». E’ «irreversibile» il trend verso un nuovo assetto delle relazioni sociopolitiche. Ma che succede oggi? «Schematizzando all’estremo, si potrebbe sostenere che la concezione neomarxista o postmarxista – nelle sue diverse e ormai numerosissime “varianti” – si trova, non meno di quella liberarle, seriamente insidiata e sottoposta a tensione da due interrogativi».

Questa «tensione» deriva dalla risposta alle seguenti domande: 1) come afferrare il momento attuale di trasformazione dello Stato alla luce del concetto di crisi? e 2) è utilizzabile il concetto di Stato a fronte della nuova complessità dell’assetto politico? Le due maggiori «tradizioni» del pensiero politico del XX secolo (marxismo e liberalismo) hanno una certa consustanzialità col concetto di Stato che, oggi, viene messo in questione. Ciò pone, automaticamente, dei problemi sia al marxismo che al liberalismo. Marramao dice: «A partire dall’architettura della stabilità del primo dopoguerra, lo Stato esperisce un mutamento profondo non solo di funzione, ma anche di struttura: a modificarsi è l’intera compagine istituzionale. A partire dagli anni venti e, con intensità e ampiezza ulteriore dal secondo dopoguerra, il sistema politico diviene infatti il quadro che dà forma e direzione allo sviluppo economico (costituendone in un certo senso il presupposto)». Lo Stato si trasforma così in un luogo di dissidi; per cui esso diventa il luogo ideale delle possibili alleanze e degli auspicabili compromessi. Continua Marramao: «Il “compromesso politico”, o se si preferisce lo “scambio politico”, tra soggetti collettivi diviene allora il prerequisito di ogni strategia d’intervento anticrisi dello Stato». Che ne è di marxismo e liberalismo di fronte al «compromesso politico»?

5.Il potere. «Ma proprio perché frutto di un compromesso, la politica economica e sociale non è pianificata sulla base di un riferimento monofunzionale a un unico e omogeneo interesse (sia pure quello “comune”), ma è piuttosto il vettore che di volta in volta emerge dal conflitto tra le diverse “autonomie” in cui il sistema politico è costituzionalmente diviso». Ma la politica dipende dal potere. O, forse: il potere dipende dalla politica. Se c’è questo «compromesso politico» e nasce questo vettore nella modernità si ha che marxismo e liberalismo si trovano di fronte a due impasse. Che ne è del potere? Dice Marramao: «In una società caratterizzata da un tasso elevato di differenziazione (e di interrelazione) funzionale, il potere non può costituire una “sfera perfettamente autarchica”, ma dipende da altri fattori, sia relativamente alle condizioni in cui esso può essere esercitato, sia relativamente ai bisogni e alle pretese cui +è legato». Per cui accanto al «Leviatano» adesso esistono tanti altri piccoli mostri biblici. Il «Leviatano» non è più da solo. C’è una fitta rete di micropoteri (come amerebbe dire Micheal Foucault) cui è legato l’antico «Leviatano» che, da solo, non è più in grado di esercitare le sue funzioni. E’ la società del legame, della connessione, della rete, del link. Lo dice lo stesso Marramao: il potere si trasforma «In un processo relazionale-funzionale».

Ha senso ancora, in questo stato di cose, fare riferimento al termine «Stato»? Nella mobilità, fluidità, sostituzione della struttura con la funzione, resiste ancora qualche pezzetto dello Stato- Leviatano per come esso è stato pensato alla sua origine? Se la risposta a questa domanda è negativa sorgono due ulteriori interrogativi: e cioè se lo «Stato» non c’è più da che cosa è stato sostituito? E’ possibile una politica senza Stato? E ulteriormente viene da chiedersi: che tipo di entità politica «dopo il Leviatano» è quella che si manifesta ai nostri occhi? Com’è strutturata? Com’è fatta? C’è una concezione – che si afferma con Machiavelli – che vede una stretta relazione tra la nuova forma di Stato (allora nascente) e una nuova concezione della natura umana. La legge di natura – per questa nuova concezione – non è più rilevante nella vita sociale. Con Bodin l’assolutismo diviene – con il concetto di sovranità (e siamo ai giorni nostri) oggetto di diritto pubblico. Bodin formula giuridicamente la realtà di fatto dell’assolutismo. Lo Stato, ai suoi primordi (e nel periodo che sta studiando Marramao) è uno Stato-assoluto. Cioè sciolto da ogni legame con qualsiasi altra cosa. Il potere è universalmente assoluto cioè il grande «Leviatano» non ha competitor nella sua disciplina delle condizioni sociali. La monarchia assoluta è identificazione del popolo col suo sovrano. Solo che Bodin concepisce la sovranità come un dato di fatto empirico mentre Hobbes la fonda è su ragioni che esulano dall’esperienza. La sovranità è il potere di disporre, su un territorio, di tutte le peculiarità e caratteristiche «statuali» senza dover dar conto ad alcun altro potere concorrente. Hobbes postula il bellium omnium contra omnes : tutti gli individui, per risolvere questo stato di cose, devono trasferire i loro diritti naturali nelle mani di un sovrano assoluto. L’assolutismo hobbesiano va allora inteso in senso giuridico-formale. In Hobbes sono presenti i due temi-cardine della riflessione filosofico-politica: conflitto ( homo homini lupus) e ordine (il «contratto sociale»).

6. Conclusione. Che cos’è la sovranità? Cosa vogliono i partiti sovranisti? «Dopo il Leviatano» perché nascono populismo e sovranismo? Marramao dice che il termine «sovranità»: «In senso generale (…) sta ad indicare l’autorità suprema, “superiorem non recognoscens”, ed è dunque associato semplicemente all’idea di supremazia (“sovrano” deriva infatti dall’aggettivo basso-latino superanens) di vertice preposto a una scala gerarchica di poteri». E’, in senso generale, questo un concetto piramidale – ricorda molto la teoria politica del Medioevo: ha a che fare con scale di valori, con regimentazioni, con compartimentazioni. «In senso specifico, invece, il concetto di sovranità denota un processo di razionalizzazione del potere politico, che consiste nel “trasformare” la forza in legge , il fatto in diritto, e che mette capo a una auctoritas dotata delle prerogative dell’ assolutezza (vale a dire dell’indipendenza dalla persona fisica che l’incarna, e dunque dell’impersonalità) e dell’ invisibilità». In questa seconda accezione il concetto in questione esemplifica la parabola dello Stato moderno nelle sue varie fasi: 1) nascita per erosione delle due potenze medievali (Impero e Chiesa); 2) compromesso tra Principe e Parlamento; 3) età dell’assolutismo e, finalmente, 4) Stato democratico. Per Hobbes – padre del «Leviatano» – la sovranità nasce nella struttura stessa del contratto sociale stipulato dagli individui in lotta fra loro. Si ha l’equazione allora: contratto=sovranità. Al grande «Leviatano» noi siamo debitori di pace e difesa. Ecco che i partiti «sovranisti» di oggi in virtù di quel «patto sociale» (che tiene legati i cittadini al potere e che è esemplato dal concetto di «rappresentanza») impongono un credo che delega ogni potere all’assolutezza della sovranità. E’ come se questi partiti dicessero: «Esiste un patto fra di noi e questo contratto è la nostra sovranità di partito, di nazione, di popolo (da cui i populismi) e di cittadini di uno Stato che sta vivendo i tempi del “dopo il Leviatano”».

Conclude a questo punto Marramao: «La politica moderna si arresta alle soglie del tempo debito, del tempo cairologico della decisione. E’ condannata ad aggirarlo continuamente. Nata come metafora mondana degli attributi teologici dell’onnipotenza, la decisione sovrana può legittimarsi solo sospendendosi e differendosi in progetto futurizzante. Nell’idolatria pendolare del Moderno l’ossessione del Sovrano è destinata prima o poi a trapassare in ossessione del futuro». Si apre «dopo il Leviatano», lo spazio della decisione! Che può anche essere una non-decisione. In questo spazio la politica (o quello che resta di essa) continua a rinnovare la politica e il potere (sinottico) continua – fermo restando il divorzio tra potere e politica raccontato da Bauman – a esercitare le sue funzioni di dominio, controllo e disciplina. Nel multimondo degli Stati-Nazione secati dalla nascita di nuove comunità transnazionali, nella prevalenza tutta Occidentale del sistema delle democrazie liberali, nel mondo (pluriverso) della fine del lavoro stabile e del trionfo del precariato: si innalza un altro mostro biblico. Il «Dopo il Leviatano» è ancora un altro «Leviatano» (esso decide) solo che gli spazi per la decisione si fanno più esigui. Solo che il tempo e lo spazio (diventati frattanto spazio-tempo) congiurano a favore di una politica più piccola, più minuta, più aerea. Fine della politica? No; piuttosto: fine della «realtà politica»; fine della contingenza politica e nascita di un nuovo concettuale «astrattismo».

Inedito.

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