Marsiglia
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“Toutes les puissances du globe sont là, dans la ville maritime

Où débarquent, brulent et passent

Le races multipliées. Dans la cohue des idioms

Au hasard des chants et des rixes

Et surgissant des faits divers

J’exalte toutes les puissance..”

Louis Brauquier

La cité phocéenne, situata nel cuore della Provenza, così soprannominata perché fondata nel 600 a.C. da marinai greci originari di Focea, è da sempre considerata città delle migrazioni, crocevia di culture, lingue e tradizioni che le conferiscono un colore universale e i tratti di una città francese ed esotica insieme. La sua toponomastica è composta di luoghi dell’anima, luoghi di incontri e di esplorazioni in quei territori dove da sempre maturano le più intense e interessanti crisi di identità. La cultura nordafricana, araba ed europea sono evidenti passeggiando in questa città dove i dialetti si intrecciano e forte appare l’anima cosmopolita. Il marsigliese è storicamente “métissé”.

Un metissage che non impedisce ai suoi abitanti, stanziali o di passaggio, di sviluppare un forte senso di appartenenza, facendo convivere identità e spirito libertario, amore per le tradizioni e anticonformismo. Entrando a Marsiglia si viene immediatamente invasi da una sensazione di stridente disarmonia: sentimento palpabile della lotta tra l’uomo e la natura. Dietro le case, imponenti montagne sembrano incollate lì a caso come i resti di un palcoscenico dimenticato. Di fronte al mare vigoroso, che si fa docile penetrando nel cuore della città, tutto sembra fermo eccetto gli alberi delle barche, instancabili nel loro dondolio. Banchine, gru, traghetti, cargo e tramonti al sapore di anice: il porto ronza intorno alle case come un corteggiatore spavaldo; lo sguardo attento di chi le abita ne segue i movimenti. Il Vieux Port è la schiena lunga e stretta che danza tra ritmi che profumano d’Africa, di flamenco e di jazz. Sul Quai des Belges la luce chiara del mattino accende le pittoresche grida dei venditori di pesce. Qui si possono incontrare numerosi chef stellati alla ricerca di materie prime per i loro piatti. Il passato che ha resistito ai bombardamenti italo-tedeschi si erge fiero nelle linee della Chiesa di St. Ferreol e dell’Hotel de Ville. Imperdibili sono le bellezze naturali delle Calanques e di località dove piccoli villaggi di pescatori sembrano quasi spuntare all’improvviso dalla roccia calcarea (Les Goudes o Cap Croisette). Al largo della città, il desiderio di vendetta gonfia le vele del Conte di Montecristo pronte a salpare dallo Château d’If, mentre nella Rive Neuve, su una collina che offre una vista da urlo si erge maestosa la basilica di Notre-Dame de la Garde decorata da ex voto di marinai .

Il visitatore troverà qui una delle città più cosmopolite dell’area mediterranea, a causa della grande storia di immigrazione in Francia dalle colonie del Nord Africa, in particolare l’Algeria, il Marocco e la Tunisia. Nel corso degli anni la metropoli francese ha saputo accogliere ed integrare la popolazione straniera, che ormai si può definire e si definisce marsigliese. La città accoglie oltre 60 etnie differenti ed essere marsigliesi significa accettare questa mescolanza. Crocevia di traffici ed esperienze, la città da 2600 anni si apre verso il mondo dinamica, rumorosa ed irrequieta, ma non è solo la città dei panni stesi al sole, la città dei muri color pastello. E’ una città che va capita: per apprezzarla bisogna schierarsi, appassionarsi alla sua storia, che è la storia del sudore degli immigrati, delle mescolanze etniche e linguistiche, dei ritmi, dei colori, dei sapori. E’ la città dei grandi contrasti culturali, la voce della gente, il mare, il mistral che riempie i vicoli di passione rivoluzionaria, e mentre accarezza gli uomini e i pensieri, porta con sé sogni e ne cancella altri.

È l’inclinazione per gli affari loschi, la “femmina” libera che accoglie chi ha bisogno di scappare. Impossibile non notare come la contaminazione multietnica si scontri quotidianamente con una realtà difficile, fatta di variopinte contraddizioni. Jean Claude Izzo ha affrontato spesso questo tema, come giornalista e scrittore. Lui stesso si definiva un rital, un melange vivente, figlio di immigrati italiani con amici arabi, comoriani e spagnoli. Con amore critico e viscerale scriveva: “Marsiglia è la storia di tanta gente comune: lingue, culture, colori, sapori, contrasti. La tela su cui si posano luci, ombre, sfumature e dolori. Non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere”.

Marsiglia è ancora come la descriveva il poeta Brauquier: la Marsiglia del Panier com’era e com’è oggi, la Marsiglia delle ville e dei bei negozi, del vecchio porto e dei nuovi locali tutti in fila. La Marsiglia del pesce, del kebab e della pizza italiana. La Marsiglia della rigorosa stazione con le scale e la Marsiglia del David di Michelangelo che la guarda spaesato dando le spalle al mare. La Marsiglia dalle grandi vedute e quella dei vicoli stretti. La Marsiglia del bianco e del nero, violenta ma anche porto sicuro. Selvaggia e rabbiosa, colpisce senza regole; una barca dove tutti sono forestieri e dove ciascuno è accolto senza domande. Una città che non ti guarda e, forse, è violenta proprio nella sua indifferenza: non ti chiede cosa porti nel tuo sacco da marinaio, da dove vieni, dove stai andando o da cosa stai scappando. Il cannone del suo fortino puntato contro se stessa e non verso lo straniero; una città che non vuole combattere, quindi una città scomoda: la sua stravaganza fa paura, la sua libertà crea invidie, la sua intransigenza crea imbarazzo tant’è che l’Europa ha deciso di “migliorarla” fornendole un finanziamento come incentivo perché si trasformi in “un fiorente centro d’affari e meta turistica”.

Marsiglia sembra la dimostrazione vivente che non esiste una forma urbana univoca legata a uno specifico modo di vivere la città. Tra la morfologia architettonica imposta e la sua effettiva utilizzazione da parte degli abitanti si produce uno scarto. Ci sono movimenti sociali interstiziali densissimi e l’architettura non corrisponde a quello che mostra all’esterno, con una “migrazione” continua degli usi, degli spazi e dei significati. I ceti popolari, le migliaia d’immigrati maghrebini che animano il centro, occupano gli edifici moderni in modo intensivo quasi essi fossero una sorta di rovina vivente da colonizzare e questo è percepibile anche con una semplice passeggiata nei quartieri attorno al porto. Tra lo sporco che si accumula nelle strade e la presenza fisica delle persone incontrate per strada si crea una profonda analogia: la città è consumata dai corpi che la abitano, i volti sono segnati dall’intensità della promiscuità spaziale. La patina grigia che ricopre la pietra gialla degli edifici di Marsiglia è l’indice della sua urbanità.

Ogni ordine imposto ha distrutto una parte della città e ne ha creata una parallela o l’ha dislocato in un’altra posizione; la vita interstiziale e promiscua delle comunità etniche proletarie ha invaso queste nuove parti di città e ricreato la casbah all’interno di strutture moderne non preposte a questa forma comunitaria. La natura medievale-islamica della città storica, il suo uso termitico-parassitario di ogni centimetro quadro anima ancora oggi spazi altri da sé, prolifera negli isolati ottocenteschi, assale i casermoni popolari del secondo dopoguerra. Lo strato di usura della città antica caratterizza fortemente anche i quartieri moderni non rendendo sempre distinguibile una periodizzazione precisa. A esso si assommano i segni delle demolizioni, dei tagli e delle interruzioni non colmate che marcano ancora i confini tra zone sopravvissute e ricostruite. Ogni passaggio da un quartiere all’altro vede ampi slarghi inconclusi, muri di edifici ciechi, dove avrebbero dovuto sorgerne altri contigui che non ci sono più o non sono mai stati eretti. La vita sociale non si sedimenta ma si addensa in spazi inaspettati. Quest’uso entropico e creativo della città da parte dei ceti popolari marsigliesi ha ispirato alcune delle esperienze architettoniche moderne più interessanti della città, dal Vieux Port di Pouillon a l’Unité d’Habitation di Le Corbusier fino alla creazione del Département des Bouches-Du-Rhône di Will Alsop. La ricostruzione radicale di interi quartieri successiva ad eventi cruenti, la creatività dell’occupazione sociale del loro tessuto edilizio e il tradizionale policentrismo di Marsiglia hanno suggerito la possibilità che la città potesse essere dislocata e ricreata in più luoghi, fino a giungere al punto di separarsi completamente dall’esistente. Marsiglia ha quindi ispirato una sperimentazione sull’intensità urbana mobile, non radicata in una forma conclusa, capace di reinventare nuove centralità, ricca di stratificazioni sociali ed esplorativa del paesaggio mediterraneo. A Marsiglia è lo sradicamento che diviene strumento di dialogo con il contesto e la città ha sempre qualcosa da offrire al suo visitatore. Sulla riva nord del Vecchio Porto, su tre collinette, si trova il sito di fondazione della città. Il cuore della città è il Vieux Port; il porto più grande di tutta la Francia. Ancora oggi alcuni pescatori ormeggiano le proprie barche alle vecchie passerelle, mentre le loro donne vendono sulla banchina i pesci appena pescati: un’occasione da non perdere, senza contare che chiunque è invitato a contrattare. E’ passeggiando nella “vecchia Marsiglia” che si scopre la bellezza nascosta di questa città dai mille volti. Cuore del centro storico è il Panier, luogo storico dell’immigrazione corsa e ciò che resta dei quartieri antichi dopo la distruzione voluta da Hitler. Gli stretti vicoli conducono alla “piazza dei mulini”, così chiamata per la presenza, nel XVI secolo, di quindici mulini per la spremitura delle olive. E’ possibile partire alla scoperta del quartiere più antico della Francia, che deriva il suo nome dall’insegna di un albergo (Le Logis du Panier), seguendo a terra il tracciato rosso di pietra lavica che corre lungo stradine strette e umide, tra palazzi dalle facciate colorate e piazze contornate da chiese barocche.

Per lungo tempo rifugio di marinai e immigrati, ancora oggi si presenta come un affascinante mosaico culturale; certamente uno dei luoghi più interessanti e suggestivi di Marsiglia, l’unico ad avere conservato un tessuto medievale con strade strette e sinuose e case arroccate su diversi livelli.
Nei localini del quartiere si possono mangiare ottimi couscous e tajine ma anche assaporare i gusti marinari della Provenza, con le vongole al timo o lo stracotto di polpo. Proseguendo in direzione del porto nuovo si scorge l’antica cattedrale La Major.
Attraversato il Panier è facile imbattersi nel mercato permanente di Rue Longue des Capucins: un mercato molto esotico, colorato e vociante dove le bancarelle si alternano alle piccole botteghe e dove è possibile trovar di tutto: datteri, lenticchie, spezie, ma anche stoffe e manufatti artigianali. Dalla parte opposta rispetto al mercato, in una piazzetta, ha luogo una specie di baratto molto povero che regala alla città un fascino esotico, legato agli odori, ai sapori della cucina, alla musica e al crogiolo ribollente di nazionalità diverse. Lungo questa via principale dell’arrondissement di Noailles è tutto meravigliosamente vivace e colorato, rumoroso e sporco (come nei migliori mercati nordafricani). Un carattere multietnico che ha premiato Marsiglia come Capitale Europea della Cultura per il 2013.

La più importante via commerciale è la Canebière, immancabilmente citata nei romanzi ambientati a Marsiglia; strada ritratta da artisti e scrittori e oggi affollata via dello shopping, densa di ristoranti turistici. Passeggiando per Rue de la Tour, all’interno dei numerosi atelier, è possibile vedere le creazioni di moda nascere in quella che è stata ribattezzata la Rue de la Mode. Un quartiere ricco di fascino invece è La Plaine, un altopiano diventato il centro delle notti marsigliesi. Lungo vie ripide come scivoli si susseguono club e ristoranti di ogni provenienza geografica. E’ il posto giusto per assaggiare i pieds et paquets (trippe ripiene cotte nel vino bianco e cipolle), l’aioli (maionese all’aglio) o la soupe au pistou (minestra di verdure al pesto). Di giorno, i mercati di cours Julien e di place Jean Jaures offrono uno spaccato della Marsiglia quotidiana, arricchita dalla sua diversità e profumata di erbe e fiori; una vera e propria esperienza sensoriale, per turisti e una scelta infinita di spezie provenzali e orientali, calissons (dolcetti di pasta di mandorle), e sali aromatizzati come quello delle Camargue o il fleur de sel de Guerande.
La Rue de la Republique, strada disabitata nel ventre di Marsiglia, metafora di un presente proiettato verso un “domani ancora lontano”, collega i due porti, il Vieux Port con la Joliette, fino ai Docks e alla stazione marittima. Qui si avverte di nuovo quella sensazione che provava Blaise Cendrars mentre camminava solitario e inquieto lungo le sponde del Vieux Port: “Il ne rest rien, tout est oublié. Tout est rentré sous terre, tout est enseveli”.

L’Estaque, è la periferia nord di Marsiglia. Qui nell’Ottocento arrivavano i treni da Parigi, caricando materie prime arrivate dal mare e depositando sulla costa le nuove ondate di turisti di massa che venivano a svernare sul Mediterraneo. L’accidentato paesaggio della Corniche con i calanques giallastri assorbe ogni cosa: le case di pescatori del borgo antico, le fabbriche ottocentesche, i piloni della ferrovia sembrano tutti fatti dello stesso materiale e coperti dal suo filtro cromatico.
Le rocce sono sedimenti stratificati, rotti da fratture oblique che staccano blocchi regolari visibili in chiaroscuro sotto l’inesorabile luce del Mediterraneo. Quest’orografia, massiccia e frammentata, mima la condizione della città di Marsiglia che ha accumulato successivi livelli di civiltà nel proprio ventre ed è segnata dalle cesure di una tormentata storia moderna. L’alternanza di stratificazioni e cesure nelle rocce metamorfiche dell’Estaque è come se incorporasse una condizione interrotta che segna l’identità di Marsiglia. Per questo, il piccolo villaggio può costituire una delle possibili chiavi per iniziare a esplorare la città. L’Estaque era luogo amato dai pittori sin dalla metà dell’Ottocento: qui Cezanne iniziò a scomporre i volumi pittorici dei calanques, qui i Fauves, Derain e De Vlaeminck, coloravano il mare di rosso, qui il Cubismo Analitico di Picasso e Braque fagocitava case e scogli in un’unica massa spezzata da punti di vista mobili.

Eccoli i volti di Marsiglia: porto internazionale, polo industriale ma anche centro provenzale con natura meridionale e architetture continentali, dove i colori del Maghreb si sono sovrapposti a quelli italiani, spagnoli, ebrei, armeni, cinesi. Nei quartieri aggrappati alla collina si professano tutte le religioni, con prevalenza dell’ islam. Qui è nata la “street-fashion”: scarpe, jeans, felpe con i colori della banlieue. Approdo accogliente, come Berlino per i popoli dell’ Est. Si contano più di ottocento associazioni e circoli culturali. Gli immigrati di immensi quartieri popolari non sono un mondo a parte. Panier e Canebière, a ridosso del vecchio porto, spiagge e lungomare sono ritrovo di giovani che non si sentono respinti. Ogni quartiere ha un’ identità, i marsigliesi li frequentano perché tutti hanno qualche cosa da offrire: mercati, stoffe, ristoranti esotici, ritrovi, commerci. Già quindici anni fa, la metà dei marsigliesi si pronunciò per il diritto di voto agli immigrati. La ricetta dell’ integrazione è somma di soluzioni urbanistiche e sociali che si sono consolidate in un’ identità “marsigliese”. A Marsiglia si trova di tutto, la gente si veste come vuole, tutti i canoni base della moda vengono infranti, ma nessuno ci fa caso. E’ una città in cui ci si sente invisibili e dove diviene naturale mangiare una pizza italiana con ingredienti francesi. I marsigliesi vivono la vita senza ansia, senza fretta. Non sapremo mai a che ora apriranno o chiuderanno i negozi o perché un grande museo è chiuso. Possiamo solo adeguarci al loro ritmo lento. Noi corriamo e siamo sempre fermi, loro stanno fermi e vanno avanti. Probabile che abbiano ragione loro.

Fonti

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Braudel F., L’identità della Francia, il Saggiatore, 1986

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Migliorini F., Pagliettini G., Città e territorio nella nuova geografia europea, Etaslibri, Milano, 1993

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Valle P., Marsiglia interrotta, ARCH’IT Artland, 2010

 

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