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Cos’è esattamente la differenza di genere? “Ti senti maschio o femmina?”. Federico, un bambino di due anni, risponde, “Io mi sento io”, (da “Mio figlio in rosa” di Camilla Vivian).

Si è tenuto qualche giorno fa nella scuola dell’infanzia di Dolianova, plesso viale Europa, il primo incontro rivolto a genitori e insegnanti su “Educare alle differenze di genere nella seconda infanzia (tre/sei anni)”, condotto da Francesca Fadda (Associazione di promozione sociale La Formica Viola), psicologa, psicoterapeuta e consulente sessuale, e Diletta Mureddu, consigliera regionale di Parità, psicologa e psicoterapeuta, in collaborazione con la biblioteca comunale cittadina e il patrocinio del Comune di Dolianova. “Il seminario”, dicono le docenti, “è stato fortemente voluto da noi insegnanti e dalle famiglie”.

Superare gli stereotipi di genere è possibile. Intorno a questa età bambine e bambini iniziano ad apprendere le informazioni sulle differenze di ruolo tra i sessi che giungono dall’ambiente sociale, in primis familiare e scolastico: “Se sono femmina/maschio allora devo essere, fare, giocare, muovermi, parlare”. Nascono i primi comportamenti conformistici: “Stupido! E’ roba da femmine!”. Diventano grandi esperti dei ruoli di genere, le etichette, ignorando la verità biologica per cui effettivamente maschi e femmine differiscono: non sanno nominare peni, testicoli e vagine in modo corretto. Bisogna andare oltre i generi, spiegano le esperte, poiché l’identità sessuale deve essere l’espressione della propria personalità, unica e irripetibile, in un corpo sessuato, e bisogna chiamare i genitali con il loro nome.

“Il mio interesse per l’educazione alle differenze di genere senza stereotipi”, dice Fadda che da quattro anni fa parte dell’associazione ASAA (associazione alopecia aerata) ONLUS proponendo anche laboratori sulle differenze di genere, “credo sia iniziato quando ho preso consapevolezza di avere un corpo femminile investito di un grembiulino rosa, un rivestimento che, con tutte le sue congetture sociali e culturali, mi faceva sentire in una posizione di inferiorità rispetto a chi invece indossava il grembiulino azzurro”.

Ecco dunque i primi suggerimenti: evitiamo espressioni come “Il ragazzo più forte di papà”, e “la preziosa o bella ragazza di papà”, e ancora etichette quali “i maschietti non piangono e le bambine devono essere ordinate e gentili”, e, mettiamo fine alla distinzione dei sessi nei colori rosa e blu, perché non è vero che siano i colori preferiti dai due generi, ma soltanto una trovata di marketing. Fino agli anni 40 il rosa era simbolo di virilità – non a caso -la Gazzetta dello sport era rosa – un colore deciso e forte più vicino al rosso, mentre il blu più delicato, raffinato e grazioso, simbolo di fede e perseveranza, risultava migliore per le femmine.

Insegniamo a esprimere tutte le emozioni, riconoscendo i sentimenti sia ai maschi che alle femmine. Leggiamo a entrambi storie non stereotipate come, per esempio, la principessa che deve essere salvata dal forte e coraggioso principe azzurro. “Bambini e bambine”, continua la psicoterapeuta, “non sono colore rosa o azzurro ma sono fogli bianchi che hanno diritto di esprimere liberamente il proprio genere nel corso della loro unica e irripetibile storia”. Lasciamo i maschietti liberi di giocare con bambole e pentolini e non scandalizziamoci se entrambi in questi primi anni di vita in cui si inizia a scoprire il proprio corpo, sperimentino l’autostimolazione dei genitali.

Gli stereotipi di genere sono delle categorizzazioni e immagini comuni che attribuiscono a delle persone, in questo caso ai maschi e alle femmine, certe caratteristiche, inducendo a comportarsi in quel modo per non disattendere le aspettative sociali. Attribuendo ai maschietti qualità specifiche come forza e virilità, per esempio, e alle femminucce dolcezza e sensibilità, se ne limita l’agire e le potenzialità. Quante volte capita di sentire dire ai bambini, “Non piangere come una femminuccia”, e alle bambine, “Non comportarti come un maschiaccio”. L’uso degli stereotipi di genere conduce a una percezione rigida e distorta della realtà.
Il genere femminile e il genere maschile non sono altro che una costruzione storico -culturale di senso comune: si crede che la donna sia più tranquilla, meno aggressiva, che sappia ascoltare e occuparsi degli altri e che l’uomo abbia una forte personalità, grandi capacità logiche, spirito d’avventura e capacità di comando. La donna viene ingabbiata in uno stile di vita e in situazioni che ne limitano l’azione e il pensiero.
Nel mondo del lavoro, infatti, le donne sono ancora fortemente discriminate, sono più precarie e meno pagate degli uomini. Accade spesso che rinuncino all’impiego per occuparsi dei figli. “Sono la famiglia e la scuola”, dice Mureddu, “che per prime dovrebbero educare i bambini per evitare che la disuguaglianza di genere si trasformi, negli anni, in disuguaglianza sociale, nel lavoro e nella vita”.

E’ dunque importante educare alla lotta contro gli stereotipi, stimolando il pensiero critico. “Violenza di genere, omofobia, bullismo e razzismo”, conclude la consigliera regionale di Parità, “viaggiano lungo lo stesso asse: gli stereotipi e i pregiudizi. Per questo motivo l’iniziativa di sensibilizzazione nata nella scuola dell’infanzia a Dolianova, rappresenta un momento importante per riflettere, decostruire gli stereotipi e valorizzare le differenze di genere”.

Genitori e insegnanti hanno partecipato all’incontro con vivo interesse, e sono andati via con una maggiore consapevolezza anche riguardo alle difficoltà che incontreranno nel proseguire questo percorso, nell’educare all’autenticità.