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di Manuela Serra, Arteterapeuta

L’arteterapia in quanto relazione di aiuto a mediazione artistica, grafico-plastica, è una disciplina abbastanza giovane. Nasce dall’incontro di due ambiti distinti: l’arte e la terapia; si basa sul presupposto che il fare arte all’interno di una relazione terapeutica renda visibili e comunicabili le molteplici dimensioni della psiche; presuppone un terapeuta specializzato nella decodifica del processo creativo del paziente. Le sue radici si intrecciano con la storia della psichiatria e dell’arte del XX secolo. In Europa, nella vecchie realtà manicomiali, che tenevano i sofferenti mentali in condizioni di assoluta segregazione, da sempre si è graffiato, disegnato, dipinto e scolpito. Queste libere espressioni da principio non suscitarono interesse; nessuno pensò di metterle in sequenza ed analizzarle come supporto diagnostico, finché qualcosa iniziò a cambiare.

L’arteterapia, come disciplina autonoma, nasce storicamente negli Stati Uniti, intorno agli anni ’50. Essa presuppone un terapeuta che utilizza l’arte come oggetto mediatore nella relazione con il paziente. Si tratta di una forma di terapia che pone l’accento sull’elaborato artistico, sull’immaginario e sul linguaggio espressivo dell’utente (disegno, pittura, scultura, ecc.), visti come specchio dei conflitti e dei significati non consci del paziente, come frutto dei suoi pensieri e delle sue emozioni. I precursori sono Elinor Ulman e Margaret Naumburg, Arthur Robbins e Edith Kramer. In questa fase storica, l’arteterapia nasce come incontro tra il pensiero psicoanalitico ed una modalità espressiva antica come l’uomo: le arti grafiche. Da qui prende impulso in Europa un intenso periodo di ricerche e riflessioni che riunisce i concetti di psicoanalisi, psicomotricità, psicopatologia, psicosociologia, filosofia, estetica, psicologia dello spazio e architettura: ciò che diventa essenziale è la nozione di creatività e di processo creativo nella prospettiva terapeutica.

In Italia l’arteterapia fa ingresso più tardi, negli anni ’70, durante il periodo della riforma psichiatrica avvenuta con la promulgazione della legge 180. Grazie ad un movimento di idee e di persone, tra cui in special modo Franco Basaglia, psichiatra e neurologo, di fatto, si arriva alla progressiva chiusura dei manicomi e alla territorializzazione dei servizi di salute mentale. Bambini difficili, portatori di Handicap, schizofrenici, alcolisti non sono più rinchiusi insensatamente negli Ospedali Psichiatrici, ma si progettano e si attuano servizi differenziati. Ci si rende conto che l’utilizzo dei farmaci neurolettici, nati negli anni ’50, e ottimi alleati della deistituzionalizzazione, da soli non sono sufficienti a restituire ai sofferenti mentali dignità di comunicazione ed espressione: gli operatori del settore hanno fame di strumenti di comunicazione che possano diventare anche di trattamento; l’arteterapia inizia a diffondersi e ad affermarsi come forma riconosciuta di trattamento nel campo della salute mentale.

L’arteterapia diffusa oggi in Italia si basa sull’idea che il processo creativo dell’attività artistica praticato con costanza nel tempo all’interno di una dimensione terapeutica costituisce una forma potente di comunicazione, capace di far emergere contenuti ed immagini, di dare forma a materiale indefinito, di rendere concreto e visibile il pensiero. Il presupposto è che la creatività presente in ogni individuo può essere utilizzata per promuoverne la crescita, l’espressione di sé, la ricomposizione emotiva, la risoluzione dei conflitti, il cambiamento. Il linguaggio dell’arte visiva – forme, colori, linee, immagini – è, cioè, capace di parlare oltre le parole: il linguaggio non verbale dell’arte è un mezzo potente per collegare ciò che abbiamo dentro – pensieri, sentimenti e percezioni – con la realtà esterna e le esperienze della vita. L’arteterapeuta, specialista che unisce insieme competenze in arte e in terapia, è colui che conosce e usa col paziente il codice condiviso dell’arte. Egli opera nell’atelier di arteterapia, spazio dove guida l’utente nel processo creativo, attraverso una relazione terapeutica in cui l’oggetto mediatore è l’arte stessa.

Attualmente in Italia gli atelier di arteterapia sono numerosi e hanno introdotto nella pratica la dimensione terapeutica e riabilitativa, grazie alla grande offerta formativa che fa capo a numerose scuole presenti sul territorio nazionale. La realtà formativa è eterogenea, quindi caratterizzata da differenti approcci e metodi. Interessante ed originale è il Metodo Polisegnico ideato M.o Achille De Gregorio, che attraverso le Scuole di Formazione ArTeA, realtà capillare a livello nazionale con numerose sedi (Milano, Pordenone, Bolzano, Palermo, Cagliari), forma arteterapeuti capaci di contribuire alla diagnosi, alla presa in carico e al trattamento del disagio psicologico e sociale. Come ci spiega lo stesso De Gregorio (2004): “gli strumenti e i materiali, le procedure e la decodifica sono utilizzati e proposti come mezzi di negoziazione nella terapia. L’arteterapeuta ricorre ad una competenza specifica ed “altra”, si fa maestro di un codice linguistico diversamente abile rispetto alla parola che rimane tradizionalmente alla base e di pertinenza di altre forme di terapia psicologica. Il prodotto artistico funge, così, da mediatore di relazione tra l’utente ed lo specialista, dà protezione e contenimento, e, pur rispettando i meccanismi di difesa, attiva risorse creative, emozioni da elaborare e capacità residue individuali”. Questo metodo prevede l’utilizzo della Cartella di Arteterapia, uno strumento operativo di lavoro indispensabile per monitorare, decodificare e valutare i percorsi dei pazienti in atelier. Gli specialisti all’interno dell’ambito formativo trovano spazi di condivisione e supervisione come supporto e verifica dell’applicazione del metodo acquisito. Questa metodologia permette una visione d’insieme complessiva delle opere, integra i diversi aspetti del “fare” del paziente, che progredendo nel suo percorso terapeutico si appropria delle regole del comunicare visivo. Grazie all’introspezione e alla rappresentazione, l’oggetto mediatore diviene il mezzo di comunicazione visiva con cui il paziente parla di sé con l’arteterapeuta. Lo specialista per comprendere il mondo interiore e relazionale del paziente si avvale della Cartella di arteterapia come strumento di decodifica di una serie di opere, e non di una sola opera, che costituiscono il percorso terapeutico, esercitando distinti livelli di lettura: l’analisi fenomenologica ed estestica; l’attenzione alla relazione con l’arteterapeuta, col gruppo, con i materiali; l’individuazione di temi e contenuti psicologici; in questo modo, quindi, integra l’aspetto psicologico ed creativo del paziente.

L’arteterapia attraverso questa modalità forma specialisti esperti in decodifica, in grado di effettuare diagnosi e trattamenti specifici nell’ambito preventivo, riabilitativo, psico-terapeutico e sanitario.

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