Cristiani di Allah
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Una favola noir di Massimo Carlotto sulla storia corsara nel Mar Mediterraneo del 1500 che si fa in tre: libro, spettacolo teatrale e CD.

Ricordi di giovedì 10 aprile 2008, Teatro Alfieri, Cagliari.

Non sono in possesso di numerose informazioni su ciò che sto per ascoltare e vedere, ma so che sul palco, lo scrittore Massimo Carlotto – si proprio lui, quello de L’Alligatore e delle sfiancanti vicende giudiziarie – legge una sua originale storia: ci narra, infatti, gli avvenimenti intrecciati alle singole vicende che vedono protagonisti i cittadini d’Europa; coloro che, per casi di ogni genere, si sono trovati a rinnegare la loro religione di nascita e abbracciare l’islamismo per poter sopravvivere, divenendo corsari, schiavi e commercianti nell’Africa settentrionale intorno al 1540, nel pieno dominio dell’Imperatore Carlo V sul cui impero non tramontava mai il sole.

Carlotto, nel suo ipnotico raccontare, è accompagnato da alcuni musicisti che suonano singolari strumenti acustici. Scopro che chi canta sul palco le gesta dei Cristiani di Allah, nelle vesti della veneziana Lucia, è la bellissima Patrizia Laquidara, voce dal timbro limpido e affascinante insieme, assurdamente sconosciuta ai più, scovata anni fa grazie ad un brano molto raffinato (in coppia con Mario Venuti) ascoltato casualmente in radio.
E scopro, ancora, che la musica è una intrigante commistione di culture mediterranee: ne riconosco con l’udito i sapori e le variegate origini.
Il duduk di Mauro Camardi è un flauto armeno, un ramo di albicocco divenuto musica. Il liutaio sardo – Mauro Palmas – trae accordi che trafiggono i 5 sensi per arrivare al sesto, al settimo, anche oltre – non saprei dire – accompagnato dalle percussioni dinamiche tra il rallentare morbido e il crescendo epico, di Rachele Colombo.
Mi piace questo racconto musicato, quasi una fiaba noir, un libro di avventure di un Salgari che sembra forse divenuto lievemente sadico.
La Storia, quella studiata sui libri, ci è nota, ma il racconto originale e coinvolgente che vi si intreccia si fonde con i suoni, accarezzando l’orecchio di chi ascolta con la discreta erre appena arrotata dell’autore.

All’uscita del Teatro Alfieri, il solito banco con i libri in vendita attende chi esce. Decido di acquistare il mio volumetto con annesso CD. Torno a casa, stanca dopo una giornata frenetica, aspra e agra, ma non ho fame perché sfamata dai profumi e dal miele della parola detta, dei suoni e dei canti.
E inizio a leggere.

L’ambientazione sfiora quasi tutti i porti del Mediterraneo da Venezia ad Algeri, per giungere a Marsiglia in un excursus verso la libertà. Il metodo descrittivo dell’autore ricorda la scrittura procedurale che prevede una “griglia” fissa, in questo caso la storia piratesca nel Mediterraneo del 1500, nella quale inserire per dispersione o diffusione, fuori centro rispetto all’impianto storico, una continua personale invenzione delle vicende dei protagonisti: una strategia di narrazione progressiva che si innesta e si confonde con la storia dei libri di storia.

Le vicende narrate da Carlotto ci conducono verso l’Algeri dei 1541, vero e proprio coacervo etnico, culturale e religioso, che diviene il rifugio di coloro che lo scrittore individua come cristiani di Allah, ovvero chi, per svariati motivi e dagli svariati paesi europei, si è trovato a dover rinnegare la propria religione, esuli e fuggitivi, in cambio di una nuova identità e possibilità di vita ad Algeri come islamici e corsari.

In questa cornice, lo scrittore ci racconta vicende fantastiche in chiave noir e disegna dei personaggi che difficilmente, dopo la lettura non rimarranno impressi nella mente.
Emergono quindi, tratteggiate in modo raffinato, le figure indimenticabili di Lucia de Jani, cantante veneziana dalla bellezza e dalla voce singolare e ammaliante che, una volta catturata dai corsari in compagnia dei suoi musicisti – altre storie nella storia: Miali il sardo e Missak l’armeno – viene venduta come schiava ad Algeri dal rinnegato Redouane Rais e diviene per la sua voce irresistibile una vera droga per uno dei dignitari del reggente, all’epoca il Beylerbey Hassan Agha, eunuco di origini sarde, realmente esistito; figura che, richiamata nella narrazione, rappresenta per lo scrittore un riservato omaggio alla terra che l’ha sempre ospitato e ancora lo ospita con tanto affetto.

Anche il protagonista, Redouane l’albanese vive una originale e personale vicenda, incastrata tra i racconti come nelle scatole cinesi, del suo grandissimo amore omosessuale per Othmane, anche lui rinnegato di origini tedesche.
Ed è proprio per proteggere questo amore che i due Cristiani di Allah finiscono per trovare in Algeri una terra apparentemente accogliente e tollerante, sebbene l’Islamismo abbia sempre condannato e condanni, così come la Cristianità, l’amore tra persone dello stesso sesso.
Ma Algeri è differente in nome della legge corsara.
E’, sì, irta di pericoli per la rarefatta atmosfera di crudeltà che circonda la legge della pirateria non scritta e applicata, ma è cosmopolita nell’accezione di modernità.
In questo narrare, ovviamente, non si può prescindere dalla componente musicale che accompagna la lettura e incastona in una cornice uditiva e sensoriale i protagonisti.
Mentre si legge, sembra quasi di udire il canto magico di Lucia, novella Sheerazade, i lamenti degli schiavi e delle vittime dei giannizzeri, crudeli guardie ottomane, il lamento doloroso della morte e dell’amore perduto di Redouane, il canto di liberazione dalla schiavitù di Lucia che raggiunge la Francia e il suo destino di donna libera.

Nel romanzo ritroviamo un meta significato che arriva fino ai giorni nostri, assolutamente moderno.
Si percepisce forte l’idea di una civiltà della libertà, con tutti i pericoli che essa comporta, ma con un’apertura al differente nella cultura, nei costumi, nell’accoglienza, assolutamente priva di regole e singolare nell’epoca della Controriforma.
Rappresenta abbastanza fedelmente ciò che ai giorni nostri anche noi stiamo vivendo con le trasformazioni socioculturali della nostra cosiddetta civiltà moderna che non ha più connotazioni e confini.

Qualcuno, amante del Carlotto giallista alligatoriano, ha lievemente storto il naso dopo aver letto questa narrazione della quale, secondo il parere di chi scrive, è stata sottovalutata la bellezza, la costruzione progressiva e la modernità della storia nei suoi cicli e ricicli.
E non è certo un caso che la quinta teatrale del libro/spettacolo sia il Mar Mediterraneo.

L’opera, come si è detto, è del 2008 ma sembra che Carlotto, attraverso la sua particolare sensibilità, sia riuscito a vedere “oltre”. A percepire il movimento inarrestabile di libertà di cui molti dei paesi affacciati sul Mare Nostrum in questo momento storico sono la bandiera.

Una volta letto il libro, sono pronta ad ascoltare il CD di cui mi innamoro e che consiglio a chi ama la musica originale connotata elegantemente dagli arrangiamenti e dal suono di strumenti etnici, come ad esempio, il flauto duduk.

Ed ogni volta riascolto il CD – sono oramai tre anni – rivivo attraverso il melting pot musicale che gioca tra sonorità eminentemente mediterranee: influenze arabe, cinquecentesche italiane, francesi e, a buon titolo, sarde (nello splendido brano cantato dalla nostra Elena Ledda), le vicende di Redouane, Othmane. Lucia e tutte le altre storie nelle storie, nelle storie…

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