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Articolo di Rosangela Spina

Al giorno d’oggi, si assiste ad una trasformazione sociale di tale ampia portata, da essere più veloce di una stessa presa di coscienza sulla sua reale consistenza. Il tema della cittadinanza può avere tante sfaccettature. Per esempio, attraverso il fenomeno della ricerca di identità delle realtà urbane, vi è quello collegato alla diversità e all’integrazione con il contesto sociale. Non è quindi l’individualità del singolo ma, se possiamo dire, l’identità delle masse che trova la sua forza nell’identità urbana e di quartiere.

La legge italiana n. 482, del 15 dicembre 1999, tutela e protegge le “minoranze” e le “diversità sociali”, che in realtà, se pur diverse, si equivalgono nel concetto e nelle problematiche comuni che si trovano a dover affrontare. Essa recita che: «una società pluralistica e veramente democratica deve non solo rispettare l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa di ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale, ma anche creare delle condizioni adatte a permettere di esprimere, di preservare e di sviluppare questa identità».

In un passo successivo è scritto che: «La creazione di un clima di tolleranza e di dialogo è necessaria per permettere alla diversità culturale di essere una fonte, oltre che un fattore, non di divisione, ma di arricchimento per ogni società».

Il concetto di diversità delle minoranze significa evidenziare quegli aspetti unici e minoritari in una società stratificata. Rispetto alla società che la accoglie, la minoranza è diversa per tante ragioni: per stile di vita, per presa di coscienza dell’appartenenza ad altra società e cultura, oppure per quella di costituire un gruppo sociale separato.

Ma ci sono altri fattori, spesso sottesi ma palesemente riscontrabili ad un occhio attento, che creano delle differenze all’interno di una comunità. Mi riferisco alle diversità sociali, di casta, di appartenenza, di reddito, di ceto di provenienza, di forte conformismo, di non accettazione del diverso, che purtroppo pervade la nostra società.

Il fenomeno dunque ruota attorno a due concetti di“identità” e “integrazione”.

Il concetto di “Identità” è inerente alla maniera in cui l’individuo considera se stesso come membro di un determinato gruppo sociale, che può essere separato o condiviso per nazione, società, livello culturale, etnia, professione, etc. Secondo Robert Picht il concetto di identità presenta qualche somiglianza con quello di salute: si diventa consapevoli dei suoi elementi di disturbo solo attraverso il confronto con trasformazioni che gettano dubbi su una presunta normalità.

L’identità sociale, è quell’insieme di caratteristiche quali età, stato civile, professione, livello culturale o reddito, che fa riconoscere gli individui singoli in un gruppo.

Soprattutto nel substrato europeo, fra rappresentazione sociale e identità si è andata delineando una stretta connessione. È l’idea stessa di “identità personale” ad essere costruita socialmente, ad essere determinata dalla cultura di cui si partecipa. Il riferimento a sé stessi si presenta come un criterio fondamentale per organizzare la propria esperienza, la nostra conoscenza della realtà, non è mai neutrale e imparziale ma riflette il nostro rapporto col mondo, la posizione che ciascuno occupa in un dato contesto sociale.

Sino a tempi relativamente recenti, le identità sociali – soprattutto in riferimento al tipo di status e lavoro – venivano predisposte dalla nascita. Nelle società tradizionali – così come nelle culture contadine dell’Italia contemporanea – il destino di un individuo veniva deciso dalla famiglia quando questo era ancora in età infantile. Oggi, fortunatamente, l’identità non è più così strettamente connessa con quella fornita dalla cultura in cui si è nati: un individuo potrebbe essere stimolato a cambiare cultura, magari emigrando o tentando di migliorare la propria posizione sociale, ed oggi questo è più fattibile rispetto alle esperienze dello scorso secolo.

“Integrazione” è una correlazione di identità. Nelle scienze sociali, il termine integrazione significa l’insieme di processi sociali e culturali che rendono l’individuo membro di una società.

Diversi luoghi ed aree geografiche, sia italiane che europee, sono state oggetto di indagine sull’integrazione di persone o popolazioni, dapprima totalmente estranee al contesto in cui andavano ad inserirsi, poi man mano addentrate, e conseguentemente sul fattore di riconoscimento di una forte identità da parte dei residenti autoctoni.

Questo si è verificato nel momento in cui una componente estranea al contesto e alla sua radice si insedia in esso, scompaginando l’organizzazione sociale iniziale e creando a volte un sentimento di avversione o di rifiuto. Il senso di appartenenza da parte del residente si rafforza e diventa a volte sentimento di ostilità nel confronti dello straniero invasore. È quello che spesso viene manifestato in alcuni quartieri storici delle città meridionali dove, verso i nuovi arrivati, sembrerebbe tacitamente o piuttosto palesemente riscontrarsi una caratteristica di comando, quasi come un meccanismo di autodifesa.

Per chi ha voglia di approfondire questi temi può leggere i seguenti testi: Gabriella Amiotti, Alessandro Rosina (a cura), Identità e integrazione. Passato e presente delle minoranze nell’Europa mediterranea, Franco Angeli, Milano 2007; Luca Baccelli, Danilo Zolo (a cura), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma 1994; Bruno Amoroso, Europa e Mediterraneo. Le sfide del futuro, edizioni Dedalo, Bari 2000; Andrea Semprini, Il multiculturalismo. La sfida della diversità nelle società contemporanee, Franco Angeli Milano 2004.

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