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Il Cilento è un habitat superbo sospeso tra storia e mito, ospitale e generoso per l’uomo da almeno trecentomila anni; esso è terra cantata da poeti e letterati, espressa da arte e filosofia e che racchiude paesaggi marittimi e montani, fluviali e collinari, culto del cibo e per le tradizioni.

L’archeologia ha da tempo decretato l’importanza del Cilento con la scoperta dell’Homo Camaerotensis, terramaricolo costituente un segmento a sé stante nel percorso dell’evoluzione della specie umana, con i ritrovamenti dal Paleolitico Medio al Neolitico sino all’Età dei Metalli dai siti di San Giovanni a PiroSan Marco di Castellabate, le Grotte di Castelcivita e le testimonianze sull’esistenza della Civiltà del Gaudo insediata presso le odierne Capaccio e Paestum, esempi concreti e accertati di antropizzazione in epoche anteriori presso queste aree; inoltre le vie della transumanza, i molti luoghi di culto ed i centri commerciali erano tappe di intricati percorsi interni che mettevano in comunicazione la civiltà cilentana con quelle appenniniche in terra campana, vie seconde solo alle rotte marittime che annodavano il Cilento alle altre civiltà mediterranee, quelle nuragiche ed egee in particolare; era così rinomata la produzione di manufatti ed utensili provenienti dalle antiche industrie della pietra ubicate presso l’attuale Palinuro che se ne sono ritrovati persino in Puglia, a Lipari e in molte altre aree dell’allora mondo conosciuto. Tra il VII e il VI secolo a.C. ebbe luogo la colonizzazione greca; ai Sibariti, discendenti diretti degli Achei, viene attribuita la fondazione di Posidonia, che in seguito e per mano dei romani diverrà Paestum, mentre saranno i Focesi, provenienti da Eskifoça in Asia Minore e nuovamente in viaggio dopo la battaglia di Alalia, a creare la città di Hyele, meglio nota come Elea e successivamente Velia, famosa per la presocratica scuola eleatica di filosofia fondata da Parmenide e alla quale contribuirono ad accrescere la sua nomea altri filosofi come Senofane, Melisso e Zenone.

Fioriscono le polis nella Magna Grecia e tra leggenda e realtà nascono, proprio in questi luoghi, i miti delle Sirene dell’isola di Leucosia presso Punta Licosa, quello del nocchiero d’Enea, il prode Palinuro, e la sosta votiva degli Argonauti presso il santuario di Hera Argiva, l’Heraion appunto un tempo situato alla foce del Sele.

Indovinandone da subito la fertilità e la caratteristiche zonali straordinarie Cesare Ottaviano Augusto eleggerà tutta l’area cilentana a  provincia romana deputata sia all’agricoltura che all’allevamento di bestiame, i cui prodotti verranno portati direttamente sulle tavole della capitale, mentre i pestani continueranno a mantenere una certa indipendenza, potendo continuare a tramandare l’arte del diritto appresa dagli Achei e a battere la propria moneta anche in questo periodo.

Da allora la storia ha continuato a fare il suo corso in un alternarsi di eventi di estrema importanza, nel bene e nel male, per il popolo cilentano e non solo: dopo la perdita di autonomia a causa della municipalizzazione da parte dei Romani nell’88 a.C. Velia entrò in declino e con il potenziamento infrastrutturale e portuale sul versante adriatico e l’interramento del suo approdo venne sistematicamente tagliata fuori dalle rotte commerciali fino a diventare, durante il IX secolo, un villaggio di pescatori costretti all’esodo a causa della malaria e delle incursioni saracene; intanto il Principato Longobardo di Salerno aveva già attestato il suo ruolo dominante in seguito alla frammentazione del Principato di Benevento (851), mentre il sapere rigorosamente accumulato dagli eleatici confluisce nella Scuola Medica Salernitana. Dunque la nascita della Baronia per mano dei Sanseverino e la conseguente rivolta a Capaccio del 1246 contro Federico II e col trascorrere dei secoli si arriva all’insurrezione cilentana del 1828 contro Francesco I di Borbone e ai successivi moti antiborbonici, dopo appena vent’anni. Infine, con l’annessione del Mezzogiorno al resto d’Italia, lo sbandamento dell’esercito borbonico, l’estensione di leggi e tassazioni sabaude, molto più aspre di quelle precedenti, e le ingiustizie subite dai contadini da parte della milizia e dei signorotti del latifondismo favorirono l’insorgenza patriottica meglio nota come Brigantaggio.

Nonostante la millenaria antropizzazione il Cilento vive una condizione naturalistica miracolosamente felice e per ampi tratti incontaminata se non si considera quanto le concessioni edilizie, la mala gestione politica, l’erosione esterna ed i fenomeni carsici a carico dei gruppi orografici, costituiti in prevalenza di calcare del Cretaceo e dolomia, abbiano arrecato non pochi disagi unitamente ad una carenza infrastrutturale dei trasporti e della rete stradale.

Fortunatamente dal 1991, grazie all’istituzione del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Monti Alburni, questa terra ha visto l’estensione dei suoi confini geografici e una buona parte del territorio è protetta ( 181 mila ettari, 8 comunità montane e 80 comuni su 99); dal 1997 il Cilento è diventato una delle 350 riserve particolari protette dal programma “Man and Biosphere” dell’Unesco, mentre è dal 1998 che i siti archeologi di Paestum, di Velia e del Vallo di Diano, assieme alla Certosa di San Lorenzo a Padula, sono stati dichiarati patrimonio mondiale dell’umanità.

Soria in Spagna, Koroni in Grecia e Chefchaouen in Marocco sono dal 2010 le aree elette assieme al Cilento quali luoghi della Dieta Mediterranea, patrimonio culturale immateriale dell’umanità dal 2010 (privilegio esteso dal 2013 a Tavira in Portogallo, Agros a Cipro ed, infine, alle isole di Brač e Hvar in Croazia, un tempo Brazza e Lesina). Ulteriore vanto per i cilentani l’elezione del Castello dei Principi Capano a osservatorio permanente della Dieta Mediterranea e Pioppi, nel comune di Pollica, sua indiscussa capitale mondiale. Infatti con una profusione di tali prelibatezze quali la mozzarella e gli altri latticini (inclusa la “muzzarella ca’ murtedda“), il caciocavallo podolico (latte del discendente diretto del “bos primigenius“), il cacioricotta di capra, il pecorino locale, la cipolla di Vatolla, il cece di Cicerale, il fagiolo di Controne, il maracuoccio di Lentiscosa, il Carciofo bianco di Pertosa ed il carciofo tondo di Paestum, l’oliva Salella ammaccata, il grano Russulidda, il grano Ianculidda e il grano Carosella di Pruno, tutto l’olio extravergine territoriale ( quello di Roscigno ad esempio), il fusillo di Felitto, la salsiccia e la soppressata del Vallo di Diano, la soppressata di Gioi, i vini delle d.o.c. Cilento e Castel San Lorenzo, le castagne di tutto il territorio e il marrone di Roccadaspide ed il fico bianco del Cilento.

Pare che la bellezza del Cilento, per naturalistica, colta e gustosa che sia, abbia causato proprio ai cilentani una sorta di assuefazione visiva, o meglio, l’incapacità di rinnovare in loro stessi lo stupore e la gioia che il forestiero vive continuamente ad ogni passo e durante i ripetuti soggiorni. Sembra che i collegamenti interrotti da anni dalle frane, lo scippo del Leone di Caprera dal suo stesso antro a Marina di Camerota, vivere immersi in un’oasi fantastica e mangiare cibo assolutamente sano sia, in tutt’uno, la normalità, mentre la normalità sarebbe pretendere la messa in sicurezza del territorio e la riapertura di alcuni tratti stradali chiusi da anni, la preservazione di tutti i monumenti, i cimeli ed i reperti della storia cilentana in loco ed insistere sulla promozione congiunta di natura, storia ed eccellenze gastronomiche locali con rinnovata passione, di modo che questo territorio, unico nel suo genere, possa diventare davvero famoso in ogni suo singolo aspetto e un modello di normalità da imitare, almeno sotto il profilo nutrizionale e di eco-sostenibilità.

E Giuseppe Pastore è un raro fautore di questa filosofia di promozione congiunta delle risorse territoriali del Cilento.

Giuseppe Pastore nel suo punto vendita e laboratorio di prodotti tipici cilentani

Nato nel 1965 a Varese in pieno boom economico del dopoguerra da padre salernitano e madre cilentana (diversamente salernitana pertanto) si ritrova a breve, a causa di necessità lavorative familiari, a godere dell’ospitalità del parentado cilentano fino ai cinque anni d’età dopo i quali, grazie alla nuova attività dei genitori nel campo alimentare, ha inizio una permanenza più stabile a Salerno città. In Giuseppe il valore di riunire la famiglia attorno agli eventi della tradizione e coinvolgerla nelle attività produttive che si avvicendano di stagione in stagione si radica da subito. Arrivano gli anni della scuola superiore e dopo un percorso coronato dalla maturità tecnica industriale, i primi lavoretti nel mondo della ristorazione, inizia ad intraprendere gli studi fisici… qualcosa non va, sente che non è la sua strada e, mentre si occupa di sperimentazione di fibra ottica, avveniristica per quei tempi, decide di abbandonare l’università non senza essersi cimentato prima nel campo del marketing e della comunicazione. Cominciano i viaggi: tutta la Liguria dapprima e, dall’87 al ’90, un lungo percorso per capire la Sicilia… Piazza Armerina, Modica e il suo cioccolato, Lentini e, dal ’93 al ’95, le città di Trapani e Marsala; poi oltralpe verso Marsiglia e Chambery e a seguire gran parte della Svizzera. Giuseppe apre, forte dei suoi ricordi d’infanzia, un’attività di produzione di biscotteria secca ma, venuta meno la collaborazione familiare sulla quale l’impresa era fondata, dovrà riformulare la sua vita professionale: avviene un consolidamento delle sue capacità di comunicazione e tutela del marchio in ambito regionale e la sua collaborazione nella ricerca di nuovi mercati, promozione dei prodotti e sviluppo del brand, diventa fondamentale per aziende ed enti territoriali. Molte sono le giornate spese lontano dalla sua sposa e Giuseppe si rende conto che più si allontana per lavoro e più trascina in cuor suo gli affetti ed il suo amato Cilento sentendone la mancanza e realizzando che la maniera migliore di fare promozione del territorio doveva avvenire sul territorio. E così, dopo l’illuminazione durante un suo intervento a Milano, decide di lanciarsi a capofitto nella sua impresa più grande: Cilento, i sapori della terra. Grazie ad essa Giuseppe oggi vive con la sua famiglia e ha sposato definitivamente il suo amato Cilento; è diventato un artigiano provetto e scrupoloso, l’uomo che è riuscito a fare del fico del Cilento d.o.c. una quintessenza in forma liquida nella sua espressione essiccata e riproducente fedelmente tutte le caratteristiche organolettiche del frutto, con una lavorazione genuina e semplice ed un risultato gusto-olfattivo davvero sorprendente nella sua complessità. Giuseppe è meticoloso in qualsiasi cosa lui faccia ma nel privato gli piace prendere la vita non troppo sul serio. E’ aperto ai commenti. li elabora e li adegua al suo quotidiano, perfettamente alla maniera sua, infatti Giuseppe adora le improvvisazioni e quindi il Blues, perché è un genere musicale a suo modo selvaggio che non deve dare spiegazioni e, non di meno, ama Eduardo Bennato; legge Topolino, reputandolo una miniatura della realtà ed uno dei primi modi per avvicinare il giovane lettore ai libri gialli; segue con attenzione i programmi ed i documentari di scienza, storia ed astronomia ma se c’è una cosa che lo fa stare davvero bene è muoversi attraverso la Natura, essere parte di essa e vivere grazie ad essa, sfruttando le risorse del territorio e difenderlo e…

Quando si tratta di difendere il territorio cilentano, qualsiasi sia il contesto o gli interlocutori, Giuseppe non le manda certo a dire e nel farlo non si può fare a meno di notare la sua puntualità, la sua competenza tecnica, la generosità di nozioni e la passione che ci mette. Un capitale umano prezioso, investito con abnegazione verso la terra.  E le persone si emozionano, si lasciano rapire quando s’avvedono che un tale ambasciatore del territorio crede, sente e ama ciò che sostiene e narra…..

Ci descriva il suo Cilento, di quanto e in che misura sente di esserne parte e cosa l’ha fatta innamorare di questa terra così tanto da eleggervi dimora? 

Il Cilento ha ampi tratti di natura incontaminata, un complesso selvaggio di luoghi che si snodano tra montagne e spiagge spesso inavvicinabili e impervie che contribuiscono, assieme ad altre caratteristiche, a renderlo unico. Credo anche in me ci sia qualcosa di selvaggio ed il Cilento riesce a riflettere e catturare questo aspetto della mia natura che solo qui riesco ad esprimere appieno, sentendomi parte di esso; non di meno è qui che ho i ricordi d’infanzia più piacevoli, proprio quando venivo circuito dalle amorevoli cure delle mie zie cilentane e mentre andavamo a far visita ai nonni sia nei week end che durante le fasi del raccolto di ortaggi e frutta; era sempre una festa ed io osservavo con attenzione le fasi di trasformazione dei prodotti che la terra ci donava e l’operosità dei grandi.

Cosa è cambiato e cosa invece è rimasto immutato del Cilento rispetto ai suoi ricordi di fanciullo?

Il Cilento in fanciullezza l’ho sempre vissuto come una vacanza, con la spensieratezza dei bambini… in cuor mio è così che continuo a vederlo, talvolta non senza una certa ostinazione. Difendo questa veduta privilegiata dalla decadenza della fascia costiera sospesa tra cementificazione e dissesto idrogeologico e da una certa maniera, quantomeno riduttiva, di intendere il Cilento da parte di chi vi è nato e vi vive  la cui vista è forse troppo abituata alla bellezza per coglierne lo spirito e quel senso profondo di essere cilentano. Guardo dunque le cose con occhi da bambino per evitare di soffrire per le barbarie e gli scempi fatti al territorio e resto sorpreso dal fatto che il territorio riesca ostinatamente ad essere più forte della mano dell’uomo.

Casal Velino e Pioppi sono ancora le stesse da quando Ancel Keys coniò il concetto di Dieta Mediterranea?

Urbanisticamente sono città profondamente cambiate, antropologicamente e caratterialmente pure. Si vive solo sull’eredità degli studi di Ancel Keys, eredità diluita e sovente interpretata in malo modo. La Dieta Mediterranea è un concetto che va difeso sempre, una forma di pensiero da assumere proprio mentre si compiono piccoli e grandi gesti quotidiani. Adesso sembra ci sia un recupero sull’identità del territorio ma la strada da fare è lunghissima, tortuosa e non priva di vicoli ciechi: basterebbe sentirsi meno padroni e più ospiti per cominciare ad amare questa terra come si conviene e restituirle quanto essa effettivamente ci dà, senza abusarne.

Ma “Cilento” è anche il nome che ha dato alla sua attività… da cosa è nata l’idea di stravolgere completamente la sua vita lavorativa ed investire totalmente sul territorio?

Sul territorio avevo cominciato a lavorare facendo marketing e comunicazione territoriale un po’ di tempo fa. Purtroppo non sempre tentare di trasmettere il terroir con una buona dialettica garantisce una forma attiva di partecipazione e coinvolgimento da parte dell’ascoltatore. Per non vanificare gli sforzi fatti per il territorio e corroborare il tono ho deciso di fare comunicazione attraverso le produzioni enogastronomiche autoctone in modo da legare indissolubilmente la Dieta Mediterranea di concetto emersa dagli studi di Keys ai sapori e alla cultura dei luoghi d’origine quindi Pioppi, la frazione di Pollica famosa per essere la patria della Dieta Mediterranea, e Casal Velino in primis e a seguire il Cilento in generale. L’attività di comunicazione iniziata nel 2006 è sfociata, dopo una serie di vicissitudini, nell’attività di produzione in cui sono impegnato dal 2012 come sperimentatore e artigiano di unicità dei prodotti tipici.

L’idea mi balenò qualche tempo prima presso la Fiera di Milano durante “La Campionaria delle Qualità Italiane” organizzata dalla fondazione Symbola in un momento di forte pressione delle eccellenze agroalimentari: Luigi Cremona introdusse la mozzarella di bufala campana ed un consulente della comunicazione iniziò ad illustrarla sommariamente… si favoleggiava essa potesse durare al massimo due giorni e che dovesse andare poi subito in frigo; mi offrii di tagliarla e, ovviamente, approfittai per dissentire sfatando certe tesi astruse spiegando cosa fosse l’acqua di governo e a cosa servisse; d’appresso venne il momento per Nerio Baratta, ex responsabile del presidio Slow Food del cacio-ricotta del Cilento, di fare la sua presentazioni sui formaggi, dunque Cremona chiese circa gli abbinamenti e tutti cominciarono a dissertare sul miele. Fu allora che io lanciai il fico bianco d.o.p. del Cilento, il resto è venuto da sé.

L’attività si chiama appunto “Cilento, i sapori della terra“. Dal mio laboratorio propagando la tradizione, la cultura ed il cibo di questa area del mondo, cercando a mio modo di creare nuove sinergie ed essere un tramite per gli altri produttori e le associazioni locali sinceramente votate alla promozione di questa terra.

Il Fico Bianco del Cilento D.O.P

La tipologia della sua clientela ed i prodotti ai quali sono più affezionati e perché secondo lei… ed i suoi preferiti?

La clientela è abbastanza eterogenea e trasversale e tra turisti italiani e forestieri, ristoratori e residenti il filo conduttore è  sempre la ricerca della genuinità, autenticità e tipicità di quanto il luogo ha da offrire. Mi piacciono molto le persone attente all’alimentazione e soprattutto quelle interessate a panel degustativi del fico. I prodotti a cui i miei clienti sono più affezionati indubbiamente sono il Fico Liquor, frutto della macerazione alcolica di fichi bianchi del Cilento essiccati, il Fico Balsamico, una melassa di fichi utile per preparazioni che vanno dall’antipasto al dolce, il Fior di Fico, fatto di fichi primitivi verdi in olio extravergine d’oliva), l’Oliva Salella “Ammaccata” del Cilento, oggi presidio Slow Food e la Ficata, una crema di fichi secchi, carrube e zucchero di canna. Fondamentalmente sono un debole, a me piace tutto quello che produco e scommetto che anche per lei sarà difficile resistere alle tentazioni… alle volte sono proprio i colori ed i profumi della natura ad innescare quella curiosità che conduce all’assaggio, dopodiché innamorarsi è facile. Amo anche i prodotti che altri artigiani, grazie ai miei modesti suggerimenti, stanno tirando su: da quando hanno assaggiato il mio succo di frutta al mirto, che qui chiamiamo “mortella“, il passo per convincerli a fare un gelato al mirto oppure ad avvolgere il cacioricotta (solo di latte di capra e diffidate dalle imitazioni) nelle sue foglie è stato breve.

Davvero piacevole ed esemplare il suo rapporto diretto con la terra. E i produttori coi quali ha a che fare condividono la sua filosofia?

Certo, mentre vado alla ricerca di bacche, erbe e radici essenziali per i miei liquori ed infusi ho il privilegio di respirare aria buona e tenermi in forma. Come ho avuto modo di dire prima io cerco sempre di collaborare con i colleghi produttori e gli altri addetti ai lavori purché siano propositivi per il territorio, perché il nostro momento di incontro è indubbiamente un confronto efficace che affronta ovviamente questioni legate al business certo, ma a patto che questo sia sostenibile per il Cilento e sia un veicolo per accrescerne la conoscenza; questa sorta di approccio alla green economy territoriale, chiamiamola pure così,  non può che essere anche un dialogo filosofico che ognuno di noi comunica all’altro e che delinea il rapporto che ciascuno ha con la terra, traendo nuove idee e linee guida dalle reciproche professionalità e da un pizzico di orgoglio per le proprie radici… in fondo siamo ad un tiro di schioppo dagli scavi dell’antica Elea.

Cosa pensano di lei?

Che sono un pazzo scatenato e a me onestamente piace.

Hanno anche loro una visione e la sua stessa tenacia?

Sono più tenaci di me alle volte, non mollano la presa su un certo modo di operare che sovente non condivido e questo perché credono di avere una visione più ampia che in realtà mira a risultati immediati.Io posso solo apprendere da loro, limitarmi ad ascoltare, per quanto possibile, e cercare di riportare un certo esempio sulla base delle mie esperienze più positive, tentando di trasmettere loro, anche grazie a quello che di buono ho conseguito, il know how per ottenere gli stessi buoni risultati da me ottenuti, col tempo che ci vuole e più duraturi.

Una scelta decisamente in controtendenza la sua, almeno rispetto alle decisioni di molti giovani che, ieri come oggi, cercano di farsi una vita abbandonando i luoghi in cui lei stesso è tornato, si è stabilito e ha costruito dal nulla un’attività a misura d’uomo, affascinante e propositiva per la valorizzazione e la divulgazione della realtà cilentana. Cosa è che fa la differenza tra chi come lei resta e chi decide di andarsene… assenza della capacità di vedere in prospettiva, burocrazia ostile?

È solo questione di scelta appunto e bisogna attendere una certa maturità prima di poter realmente apprezzare le cose. I giovani hanno voglia di vivere, divertirsi, viaggiare, conoscere, apprendere, fare l’amore… anche io, per questo son tornato. Questo territorio ti fa vivere, ti fa divertire, ti fa viaggiare, ti fa conoscere, ti fa apprendere, ci fai l’amore persino. Di burocrazia invalidante ed incapacità di innovare senza snaturare il territorio ne abbiamo a iosa; non posso fare a meno di essere fiducioso per il futuro però: mi riferisco proprio ad alcuni tra i più giovani produttori e comunicatori… loro si che hanno una buona prospettiva ed anche una certa lungimiranza, sentono con grande intensità il legame territoriale.

Dal logo che accompagna i suoi prodotti si nota che ha saputo porre l’accento sull’aspetto culturale della sua terra sposandone il concetto. Spesso si pensa che il Cilento sia soltanto rappresentato dal cibo e dal territorio marittimo e montano, che offrono già di per sé infiniti percorsi tematici, tralasciando di sottolineare però la cultura di questi luoghi ha influenzato di molto il corso della storia irradiandosi nel tempo sino ai giorni nostri e diventare patrimonio comune di tutti gli italiani. Ci dica di più…

Ho semplicemente girato il Cilento in lungo ed in largo ed ho appreso la profonda cultura di questo territorio, le sue origini, le sue peculiarità. Ho scoperto che prima di me qui ci sono stati “illustri sconosciuti” come Gian Battista Vico, Gioacchino Murat, Goethe, Manuel Ortega, Ungaretti, giusto per fare qualche nome, ma ce ne sono tantissimi altri che hanno imparato a conoscere in profondità il Cilento e hanno trasmesso benissimo ciò che rappresenta. Alle mie etichette ho voluto dare, dice bene, un forte accento culturale proprio per sottolineare da quanto tempo e per fortuna sino ai giorni nostri il Cilento continui ad essere una delle capitali della conoscenza occidentale, non solo un’oasi naturalistica e un paradiso di sapori; tra le mie etichette infatti vi troverete la testa in profilo di Parmenide. Mi piace la sua barba e mi piace rammentare che è stato tra i primi a ribadire che bisogna essere e non apparire. E questa dovrebbe essere la massima aspirazione di ciascuno ovunque

Ha tutte le carte in regola per essere l’ambasciatore ideale del Cilento all’Expo di Milano… a proposito, la troveremo lì con un suo banco di degustazione?

No. Ho qualche buon motivo per non essere presente. Perché non mi sento all’altezza di questo grande attrattore. Expo vuol dire freddezza, lucidità e risolutezza a fare business e non posso “exposare” questa causa, la mia ludoteca è il Cilento. Voglio essere giocoso e innocente, risoluto si ma a fare bene il mio lavoro: difendere e trasmettere il territorio sul campo, raccoglierne i frutti, elaborarli e proporli nel giusto contesto e durante una pausa che sia piacevole, golosa e colta allo stesso tempo. Non ci sarò perché devo lavorare seriamente, sentendomi libero da chiunque e da qualsiasi logica di mercato, soprattutto divertendomi mentre lo faccio. E poi non amo gli sprechi, di alcun genere.

E le associazioni presenti sul territorio intanto… quanto spendono in termini di comunicazione e promozione del Cilento?

Giusto, spendono. Bisogna investire e non spendere. Investire per preservare le risorse, non dissiparle.

Dal suo punto di vista non si fatica a capire che questa terra meravigliosa abbia ancora tanto da raccontare. Reputa si possa fare di più per valorizzare il Cilento?

No, per me basterebbe  si facesse di meno purché lo si faccia bene, evitando di essere pacchiani, spreconi, fare cose fini a sé stesse o utili solo a sé stessi, il che è peggio. Potrei rischiare di contraddirmi in questo momento: secondo me basta un aeroporto in Cilento capace di far decollare ed atterrare aerei di media capacità per dare uno sviluppo serio al territorio sia in chiave lavorativa sia in chiave turistica, basterebbe individuare la giusta ubicazione adeguando lo scalo con criteri di sostenibilità. Non abbiamo ancora organizzato una rete di trasporti marittimi pensata per sia per i passeggeri che per gli abitanti lungo la costa, pochissimi i treni, due strade statali di cui una costiera ed una interna tuttavia interrotta da una frana. Siamo quasi isolati e lavorare ad uscire dall’isolamento è importante, la connessione di idee non basta, occorre un piano infrastrutturale serio, articolato e sostenibile.

Se dovesse disegnare un percorso ideale quali tappe suggerirebbe e quali consigli darebbe ai visitatori?

Vivere il Cilento senza meta ma con un punto di riferimento a piacere ed il tempo per godersi il soggiorno. Entrare nel territorio in punta di piedi, sbirciare ogni angolo, beneficare della sua ospitalità, quella dei luoghi e delle persone. Solo così si capisce il Cilento. Per andare sul pratico perché non partire proprio da Elea ad esempio? Visitare la costa ove approdarono i Focèi, gli esuli che da Ionia nei pressi di Smirne salparono per fondare la nota città nel IV secolo a.C., poi divenuta dimora della scuola eleatica, alternando tappe rivierasche a cittadine nascoste nell’entroterra sarà certo un’esperienza straordinaria.

LINK CONSIGLIATI:

www.ficata.org

 

3 thoughts on “Cilento: la terra, il pensiero e l’attività di Giuseppe Pastore

  1. Quanti ricordi ha risvegliato in me questo articolo, la mia infanzia, la mia giovinezza. E adesso che vivo e lavoro in un posto altrettanto bello mi rendo conto della stupidità di noi italiani che facciamo le vacanze a sharm El sheik. E ci perdiamo il sole che tramonta nel mare di s Maria, la splendida lentezza della vita di quei posti, punta dell’ inferno. I colori i sapori i profumi che solo il sud del mondo ci può regalare è per sud intendo anche in concerto che travalica quello spaziale ma che abbraccia quello mentale. Nessuno potrà farmi cambiare per esempio il modo in cui presento il crudo nel mio ristorante. Perché non c e il tonno, perché non c e l’ostrica mi chiedono. Il mio sud e dentro di me e qundi vorrei che la gente capisse la iodo da libidine di mangiare il pesce crudo insieme ai pescatori direttamente in barca al porto di San Marco di castellabate in un tramonto di….. Migliaia di anni fa. O forse la nostalgia mi annebbia oltre che il concetto spaziale anche quello temporale. Bellissimo articolo complimenti

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